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Carlo A. Pelanda
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IL PUNTO

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20/10/2024

L’evoluzione del G7 verso una comunità di difesa

La riunione dei ministri della Difesa del G7 a Napoli ha un significato particolare: è la prima del genere in questa organizzazione, merito della presidenza italiana. E fa ipotizzare una tendenza alla convergenza tra alleanze militari compatibili dell’Atlantico (Nato) e del Pacifico, per altro segnalata da eventi multipli recenti. Pertanto ritengo si debba dare più attenzione al processo di costruzione di un’alleanza militare globale delle democrazie, chiarendone i motivi.
Nel mondo si è formato nuovamente un bipolarismo conflittuale, come nella prima Guerra fredda, dove si confrontano l’alleanza dei regimi autoritari (Cina, Russia, Iran e Corea del Nord) e quella delle democrazie. La prima è molto aggressiva ed ha una spesa militare crescente. Sul piano tecnologico – sistemi di superiorità – alcuni analisti valutano che il blocco autoritario sia ancora inferiore a quello delle democrazie. Ma ci sono dubbi crescenti da parte di altri specialisti, soprattutto, al riguardo della Cina. Tali dubbi, in verità, erano presenti anche nell’Ufficio Scenari (Net Assessment) del Pentagono quando a metà degli Anni 90 ci fu un incontro tra Difesa italiana, guidata dal generale Giuseppe Cucchi ai tempi Direttore del Centro militare di studi strategici, a cui fui invitato in qualità di ricercatore in scenaristica strategica (ed economica), e quell’ufficio statunitense che stava raffinando uno scenario mirato a capire quali sistemi avrebbero assicurato la superiorità futura, con lo scopo di istruire la domanda della Difesa all’industria. Lo scenario statunitense concluse che nel 2024 la Cina avrebbe raggiunto la capacità di poter sfidare l’America, in particolare per il dominio sul Pacifico. Per inciso, sostenni che Pechino, per poter dominare il Pacifico, si sarebbe espansa globalmente, trovando consenso sul punto. Che ora è cronaca. La Russia è più arretrata, ma in alcuni settori è molto evoluta, quindi da non sottovalutare. L’Iran e la Corea del Nord ricevono tecnologia da Cina e Russia. In sintesi, il blocco autoritario guidato dalla Cina è forte e, qualora lo fosse di meno, la sua spesa militare combinata con le capacità tecnologiche – in buona parte ricavate da spionaggio industriale, ma da qualche anno autonome – sta sviluppando rapidamente sistemi competitivi. Inseriamo anche un dato di sensazione, però corroborato da tanti indizi: Pechino favorisce un varietà di conflitti con lo scopo di erodere la capacità militare statunitense impegnandola su fronti molteplici. Come? Più fronti caldi implicano aumentare le spese operative dell’avversario a scapito di quella per investimento tecnologico nonché costringere l’America a prendere atto che non può presidiare tutti i fronti, costringendola a chiedere maggiori contributi ai suoi alleati che però non hanno il consenso popolare per farlo. L’ufficio strategico di Pechino ha capito che la maggiore debolezza dell’alleanza amerocentrica è costituita dal fatto che le democrazie sono de-bellicizzate, cioè che non c’è consenso per investimenti di sicurezza e deterrenza sufficienti.
Quindi, più che misurare di quanti anni tecnologia il G7 e dintorni siano avanti o indietro al blocco autoritario, il punto è diffondere una cultura del realismo nell’alleanza delle democrazie per produrre il giusto investimento dissuasivo nei confronti del blocco avversario e così limitarne i comportamenti. Perché se Pechino o Mosca percepiscono debolezze nel blocco democratico aumenteranno la loro aggressività. Pertanto rafforzare il blocco delle democrazie, strutturandolo, è un passo necessario nel nuovo contesto mondiale. Lo scopo non è la guerra, ma l’equilibrio tra potenze basato sulla dissuasione per evitare la guerra stessa: se attacchi pagherai un prezzo che non puoi sostenere. Poi c’è un secondo scopo: i regimi autoritari sono instabili perché, diversamente dalle democrazie, i cambi nel potere interno tendono ad essere conflittuali. Se in tali cambi emergesse una leadership troppo aggressiva, bisognerebbe avere dei sistemi di superdifesa, possibili solo aumentando la collaborazione tra più democrazie. E c’è anche un terzo scopo collegato al secondo: nel caso – non improbabile – di un crollo di un regime autoritario bisognerà sia intervenire finanziariamente per risollevare la nazione implicata sia essere pronti a correggere eventuali degenerazioni aggressive nella stessa. In sintesi, lo scenario a 15 anni mostra che l’alleanza delle democrazie dovrà avere i mezzi ed il formato geopolitico sufficienti per gestire tutti e tre i problemi detti. Per questo sottolineo la rilevanza dell’incontro tra ministri della Difesa del G7 a Napoli più il nuovo Segretario generale della Nato, Mark Rutte.
Ma c’è un secondo evento importante nell’ambito del primo: l’incontro trilaterale tra Giappone, Italia e Regno Unito per dettagliare di più l’accordo finalizzato alla costruzione congiunta del Gcap, una piattaforma aerea di sesta generazione capace di gestire uno sciame di droni ed eventualmente essere robotizzata essa stessa, con capacità di raggio globale. Sarebbe un sistema di superiorità, stimando oggi i requisiti del 2035 quando tale oggetto potrebbe essere in linea. Ma interessa un altro punto che ritengo chiave. Poiché la spesa militare per la superiorità, anche se divisa tra nazioni, è notevole, bisogna capire se tale costo possa essere bilanciato dall’innovazione così prodotta e scaricata pur a livelli degradati nel mercato civile, dandogli impulso di crescita. L’analisi dell’impatto sul civile della spesa militare statunitense durante la Guerra fredda e negli anni recenti mostra un impatto positivo enorme, pur differito nel tempo. Mi sembra una buona base per migliorare la relazione produttiva tra economia militare e civile.

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