Gli attori finanziari ed industriali europei, in particolare gli italiani, dovrebbero prestare più attenzione all’allargamento dell’Ue, tema che si sta scaldando nell’agenda della Commissione. Poiché è un tema di massima complessità e rilevanza per la teoria delle relazioni tra architetture istituzionali e ciclo del capitale, da anni lo propongo come esercizio simulativo ai dottorandi di ricerca in Geopolitica economica e finanziaria che seguo. Ora è il momento giusto per trasformare tali esercizi in scenari strategici applicativi in quanto l’America, pur restando superpotenza, sarà troppo piccola per essere da sola potere globale (concetto elaborato da Kissinger nei primi anni 70) e che pertanto ci vorrà un successore/integratore nell’area del capitalismo democratico mondiale. Nostalgie imperiali? Senza impero (con ovvie conseguenze monetarie) non si fa finanza e se non lo facciamo noi lo faranno altri. Aggiungo che è sbagliato proiettare le difficoltà correnti dell’Ue perché nell’analisi di destino a 15-20 anni prevale il suo potenziale di potere globale primario.
Ma a condizione che l’espansione dell’Ue sia articolata su tre (geo)livelli: a) europerimetro sotto gestione diretta Ue; b) accordi associativi strutturati (inclusa la sicurezza) tra Ue e aree viciniori, per esempio un mercato mediterraneo (Ekumene) e un nuovo trattato con Londra; c) perimetro globale, per esempio accordi commerciali nel Pacifico e nell’Atlantico australe. L’evoluzione raccomandata all’Ue è di armonizzare entro un’agenda sistemica tutte e tre le azioni, che per altro sono in atto. Intensità? Dipende dall’opposizione delle forze contrarie e, soprattutto, dalla postura convergente o divergente degli Stati Uniti. Lo scenario oscilla, ma è probabile un grado di convergenza tendenziale euroamericana medio, cioè senza ostilità grave, ma nemmeno collaborazione profonda: l’America ha bisogno di alleati, ma non vuole un’Ue troppo potente qualsiasi colore abbia la sua amministrazione contingente. Tuttavia, i primi due livelli possono essere attivati senza divergenze eccessive euroamericane con esiti entro il decennio. I Balcani occidentali sono una priorità. Non hanno un ordine interno sufficiente, ma tenerli in un limbo sarebbe pericoloso: andrebbe esplorato un precursore in forma di accordo transnazionale, tipo l’antico Alpe-Adria in versione +, con il nome di “Lago Adriatico” per anticipare gli effetti economici positivi dell’associazione con l’Ue. La Turchia va associata entro il secondo livello, Ekumene, in quanto alleato non facile, ma necessario, analizzando le possibilità di includerla nella Via del cotone (Imec) cioè il collegamento tra India e Mediterraneo. Una parte del terzo livello sembra già praticabile via accordi multipli di libero scambio precorsi da partenariati binazionali. Per gli scopi inclusivi del primo livello è importante enfatizzare, allo scopo di evitare frammentazioni, un’architettura non confederale dell’Ue, ma come come succedaneo di tale architettura stessa, cioè “meno di un’unione, ma molto molto più di un’alleanza tra sovranità convergenti e reciprocamente contributive”. Oggetto di ricerca come compromesso pragmatico tra coesione interna ed apertura esterna.
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