La ricerca per la deterrenza senza cadere in un’economia di guerra
Nel generare il programma di ricerca continuativa “Deglobalizzazione conflittuale e riglobalizzazione selettiva”, cioè uno scenario proiettivo bipolare, nel 2013 ne aggiunsi uno laterale dedicato all’individuazione di quale riarmo dell’alleanza tra democrazie avrebbe soddisfatto i requisiti sia di deterrenza sia di sviluppo economico civile. Questo secondo progetto non suscitò interesse tra i ricercatori del mio think tank, i più giovani – sia europei sia statunitensi - all’inizio della carriera accademica perché preoccupati di essere percepiti come bellicisti nei contesti dove prevaleva una cultura debellicizzata. Qualche mese fa i colleghi britannici mi hanno scritto: ci siamo, percepiamo come sdoganato e tema di analisi urgente una deterrenza come strumento di sviluppo e non costo depressivo. Tale missione ha mobilitato tutto il resto del gruppo di ricerca in geopolitica economica e finanziaria di cui sono coordinatore.
L’oggetto di studio è come trasformare la spesa per la sicurezza in investimento espansivo per l’economia civile. Nella storia ci sono esempi multipli, il più rilevante è il trasferimento degli investimenti militari all’innovazione civile in America durante la prima Guerra fredda. Ma oggi c’è una rivoluzione tecnologica in atto che suggerisce nuova teoria. Ne ho proposto un precursore basato su un requisito ed una osservazione empirica: a) bisogna evitare un’economia di guerra nella democrazie perché impoverente; b) la superiorità cognitiva potenziale nelle democrazie si basa su un’interazione espansiva tra tecnologia, capitale e libertà dove il fattore moltiplicativo è la libertà stessa (varietà innovativa) mentre nei regimi autoritari questa manca deprimendo la pur ampia disponibilità di capitale e capacità tecnologica (cfr il mio Il nuovo progresso, Angeli, 2012).
Lo stimolo all’ambiente militare, in particolare al procurement, è quello di cercare strumenti di superiorità interagendo in modi crescenti con l’industria civile, stimolando, per semplificare, fantascienza con ricadute rapide (pur degradate) sul mercato civile. In tal modo il riarmo utile per la deterrenza (strumento realistico per mantenere la guerra sotto la soglia macrocinetica) si trasforma da costo in investimento sistemico. In parte ciò è già noto e praticato, per esempio l’agenzia finanziaria Darpa del Pentagono, il nuovo fondo Nato da un miliardo di dollari per le start up, il nuovo programma britannico per la difesa (molto innovativo), l’osservazione degli strumenti di difesa ed attacco dell’Ucraina basati sul minimo costo e massima efficacia, ecc.
Ma ho la sensazione che ci voglia di più, ampliando la relazione tra industria militare, civile e finanza di investimento. I dati sociologici mostrano che non c’è ancora sufficiente consenso, pur crescente, in molte democrazie per tale evoluzione industriale/finanziaria. Ma quelli di partecipazione degli investitori finanziari mostrano un consenso crescente. La dottrina “duale” dell’interazione civile-militare si sta consolidando. In sintesi, la tendenza c’è, ma ci vorrebbe un moltiplicatore più forte, nuovo oggetto di ricerca. Cerchiamolo.
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