IL PUNTO
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17/7/2023
La priorità di una dedebitazione parziale secca
L’aumento del debito dovuto a quello assunto dal Pnrr e l’incremento del costo di rifinanziamento causato dall’aumento dei tassi, mette in priorità la ricerca di opzioni per ridurre almeno una parte del debito stesso via operazioni “patrimonio pubblico contro debito” non recessive. Sarebbe recessivo, infatti, aumentare il volume di spesa pubblica per servire il debito a scapito di investimenti e detassazioni stimolative in un periodo 2023 – 2025 dove è probabile una bassa crescita del Pil italiano, forse riuscendo ad evitare momenti recessivi, ma difficilmente un andamento stagnante dell’economia che potrebbe diventare duraturo, ipotesi di scenario questa, corroborata dai dati tendenziali correnti. La teoria lapalissiana della dedebitazione recita che bisogna aumentare la crescita reale per ridurre il debito in rapporto al Pil. Ma senza una maggiore fiducia sul debito italiano fondata su una sua pur parziale, ma significativa, riduzione, manca la condizione di spazio fiscale (detassazione ed investimenti) per accendere più crescita. Tale impostazione è contrastata da chi predica che solo una crescita più forte è la soluzione, sottovalutando il passo preliminare della dedebitazione parziale stessa. Inerzia politica? Difficoltà tecniche? Timore che una riduzione secca del debito poi porti la politica a fare più spesa pubblica dissipativa che a risanare il bilancio statale? Comunque sia, la sottovalutazione della riduzione secca di almeno una parte del debito non deve essere più fatta, anche perché la riduzione secca di parte del debito è possibile tecnicamente.
Quale dimensione dell’operazione può produrre un effetto fiducia propilusivo? Un calcolo spannometrico indica circa 600 miliardi nell’arco di 10 anni, considerando che l’annuncio di un programma credibile prospettivo avrebbe un effetto immediato sul rating, costo di servizio del debito, capacità negoziale dell’Italia nell’Ue sull’aumento della fiducia dei mercati sull’Italia. Con quale soluzione? Banca Intesa ha calcolato e comunicato con enfasi un potenziale ricavo di 500 miliardi del patrimonio immobiliare pubblico se gli immobili trasferiti agli enti locali, oltre che statali, venissero raggruppati in un unico gruppo di fondi. Vendita diretta? La formula che chi scrive preferisce, anche osservando la lentezza delle alienazioni dirette da parte della funzione statale dedicata, è l’acquisto da parte di tale fondo del patrimonio immobiliare pubblico non con cassa, ma con azioni del fondo stesso caricate di potenziale di rendimento da mettere al servizio della dedebitazione. Gli altri 100 miliardi sono ricavabili da un migliore sfruttamento delle concessioni: l’obiettivo è portare il debito verso il 100% del Pil con una formula che dia fiducia prospettica al mercato, nel contempo non appesantendo il potenziale di crescita del Pil. Altre opzioni? Il prestito irredimibile secolare allo Stato con pagamento di interessi, ma senza ritorno del capitale, ha limiti di scala e di concorrenza ai titoli di Stato. L’aumento del possesso dei titoli posseduti nazionalmente, con premio per i residenti, implica la sovranità monetaria e un metodo di sterilizzazione del debito – come in Giappone- che provoca distorsioni nell’economia. Un po’ è utile per prevenire il rischio di speculazioni esterne, ma non troppo. Cerchiamo di progettare bene la via più semplice, credibile e misurabile: patrimonio contro debito.
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(c) Carlo Pelanda