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Carlo A. Pelanda
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IL PUNTO

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15/10/2023

La posta in gioco è il dominio del triangolo India-Mediterraneo-Africa

L’attacco ad Israele è stato condotto solo dall’Iran, attraverso il suo proxy Hamas, oppure L’Iran ha soddisfatto una richiesta della Cina? Chi scrive ha posto questa domanda al suo gruppo di ricerca dedicato alla “geopolitica economica”. Il tema è ovviamente oggetto di intelligence. Ma è interesse generale capire il prima possibile se si tratta di una guerra locale oppure di un episodio del conflitto globale tra Pechino e G7 con i rispettivi alleati. Qui si ritiene importante includere il lettore nell’analisi pur essa in corso.
Nel G 20 di settembre in India fu siglata un’intesa selettiva tra nazioni, a cui partecipò anche l’Italia, per la creazione della “Via del cotone” che dovrebbe connettere India e Mediterraneo via penisola arabica con sbocco nel porto israeliano di Haifa: 40% di costi in meno grazie a questa connessione. L’India, poi, invitò l’organizzazione degli Stati africani a partecipare su base permanente al G 20, trasformato in G21. Da quel momento chi scrive si aspettò una risposta cinese che sabotasse sia l’essenziale accordo bilaterale (all’ultimo miglio) tra Arabia ed Israele e la proiezione indiana convergente con il blocco delle democrazie verso l’Africa perché contrastava quella cinese e prometteva di ridurre sostanzialmente l’influenza di Pechino (e Mosca) sull’Africa. E’ stata Pechino a chiedere all’Iran di muovere Hamas per creare un conflitto aperto con Israele che aizzasse tutto il mondo islamico impedendo all’Arabia di concludere l’accordo con Israele stessa senza il quale sarebbe mancato un pezzo essenziale della Via del cotone? O è stato l’Iran ad offrire i suoi servizi a Pechino? Al momento non c’è risposta certa, ma sono tanti gli indizi di una convergenza sino-iraniana. Tra questi la riservata pressione cinese per far dichiarare all’Iran la falsità provabile che non c’entrava, l’azione di Pechino per ripristinare le relazioni diplomatiche tra Arabia e Iran, scopo evidente di insinuarsi come mediatore nel mondo islamico, strategia anche connessa con la penetrazione cinese nelle aree islamiche in Asia centrale e Afghanistan e per contenere la penetrazione dell’Isis-K nello Xiniang musulmano. Al momento la strategia di bloccare l’accordo arabo-israeliano ha avuto un mezzo successo: Riad ha sospeso i negoziati per non farsi imputare di amicizia con Israele in una fase di mobilitazione islamica contro Israele stessa.
Ma li ha sospesi e non interrotti per sempre. E’ interesse statunitense, europeo ed italiano che riprendano nel futuro e forse ciò spiega, tra altri motivi di sicurezza, la pressione su Israele affinché la sua reazione armata sia selettiva contro Hamas senza fare danno mortale ai palestinesi di Gaza. L’idea è che tale selettività potrà permettere all’Arabia di riprendere il negoziato con Israele, ottenendo da questa più garanzie per i palestinesi di quante richieste finora e quasi accettate da Gerusalemme. Ma il punto non è solo l’enorme complessità per Israele di eliminare il rischio Hamas (e poi eventualmente Hezbollah) entro il vincolo della proporzionalità. Lo è il concedere all’Arabia quello che chiede all’America: nucleare civile, in realtà primo passo per bilanciare la capacità nucleare iraniana. Ed in questo quadro negoziale entra anche l’Italia: l’Arabia ha chiesto di poter partecipare al programma anglo-italo-nipponico del caccia di sesta generazione Gcap. Londra si è detta favorevole, il Giappone contrario. L’Italia? Ha una posizione potenzialmente mediatrice sul tema, pur non facile.
Quanto è rigido o fluido lo scenario? Molto fluido. Alla Cina potrebbe bastare il blocco temporaneo della via del Cotone per avere il tempo di offrire all’Arabia forti vantaggi per ostacolarla. Potrebbe anche lavorare sull’Egitto interessato a preservare la centralità esclusiva del Canale di Suez. Poi il comportamento di Hezbollah fa pensare: finora ha sparacchiato, ma anche dichiarato che attaccherà Israele quando sarà il momento: è una presa di distanza da Hamas? La Cina ha detto di non esagerare perché le basta così oppure l’Iran ha visto che la reazione di Israele potrebbe essere distruttiva per il regime di Teheran? L’autorità palestinese, la Giordania e l’Egitto ovviamente tengono conto della massa popolare in questi giorni mobilitata contro Israele, ma è osservabile una posizione di cautela dei loro governi. Gli Emirati che hanno già siglato un accordo con Israele?  Chi scrive segue dal 2019 i lavori e le pubblicazioni di un loro istituto strategico: non stanno enfatizzando l’ostilità verso Israele. Cercando una sintesi, si può ipotizzare la volontà del mondo arabo sunnita guidato dall’Arabia di contenere il conflitto per poi raffreddarlo, con l’intento sottostante di non lasciare che l’Iran sciita prenda il ruolo di vero protettore dei palestinesi. Potrebbe essere un messaggio riservato ad Israele? Per esempio, bonifica Gaza da Hamas con estrema selettività, ma agisci pure duramente contro l’Iran, depotenziando così anche Hezbollah in Libano? L’analisi continua in attesa di nuovi fatti. La Russia? Dovrebbe prendere atto che l’Iran la considera un ascaro della Cina e che non basta l’accordo con la Corea del Nord di aiuti nucleari, anche in funzione potenzialmente anticinese, per invertire tale immagine.
L’interesse nazionale italiano, dove Roma ha peso nel teatro facendo parte del “quintetto” con America, Regno Unito, Germania e Francia? Correttamente, ridurre l’estensione del conflitto, favorire l’accordo arabo - israeliano per la connessione tra India e Mediterraneo come sostegno per la penetrazione, collaborativa, in Africa riducendo la presenza cinese in essa. E collocarsi nell’Indo – Pacifico con più peso, strategia abbozzata nel libro “Italia globale” (Rubbettino, 2023) tra poco in libreria.

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