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Carlo A. Pelanda
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IL PUNTO

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5/5/5

Macron pensa di usare la Cina ma è Pechino che sfrutta lui

L' iperattivismo del presidente francese, alla vigilia della visita di Xi a Parigi, è musica per le orecchie del Dragone che punta a diventare una potenza globale scatenando i suoi alleati iraniani e russi.
La visita di Xi Jinping a Parigi offre l'opportunità di esplicitare un tema che da quasi un biennio è oggetto di analisi nei think tank del mondo democratico: la Cina potrà essere un partner per il raffreddamento dei conflitti in corso oppure sarà necessario indirizzare più deterrenza e sanzioni direttamente su Pechino per farle togliere il sostegno all'aggressività della Russia e dell'Iran, il secondo manovratore- pur con divisioni interne - delle milizie
di Hamas, Hezbollah e Houthi, nonché per dare un limite alle ambizioni espansive globali della Cina stessa?
Questo tema non ha ancora trovato una soluzione consensuale, ma sta emergendo la consapevolezza che per fermare le guerre bisogna risolvere la «questione cinese».
L'ipotesi, corroborata da molti dati oggettivi, è che la Russia non avrebbe attaccato in modo massivo l'Ucraina agli inizi del 2022 senza il sostegno, pur indiretto, concordato con la Cina e che non continuerebbe a farlo in mancanza di esso. Lo stesso per l'Iran al riguardo dell'attacco ad Israele attraverso i suoi proxy. Ma qual è l'interesse di Pechino? Non è quello di una guerra estesa, ma di costringere l'America ed i suoi alleati a trattare con la Cina per contenere la molteplicità dei conflitti. Questa strategia cinese punta al riconoscimento di potenza globale primaria. E ha come scopo intermedio il distacco o comunque la non piena convergenza tra America ed Ue. Come scopo finale ha quello di raggiungere in 10-15 anni lo status di potenza primaria mondiale, tempo stimato per conquistare una superiorità, o almeno parità, tecnologica con gli Stati Uniti.
Per inciso tecnico, questa strategia di sostenere una conflittualità diffusa costringe l'America a spendere di più in consumi militari che in investimenti di superiorità futura. Mentre la Cina, non direttamente ingaggiata nei conflitti che sostiene, può dirottare più risorse verso la superiorità futura: esospazio, strumenti di controllo dell'orbita, portaerei equivalenti al potere marittimo statunitense, ecc.
In sintesi, la Cina persegue una strategia di erosione del potere globale americano.
Da un lato, è da metà degli Anni Novanta che l'America sconta questo possibile scenario: quando il generale italiano Giuseppe Cucchi, poi a capo del Dis, ed io come ricercatore part time del Centro militare di studi strategici (Ce.Mi.S.S) presso il Casd della Difesa italiana visitammo l'ufficio scenari del Pentagono (ai tempi Net Assessment) prendemmo visione di una forte consapevolezza americana del fatto che attorno al 2024 la Cina avrebbe conquistato un potenziale militare competitivo e che pertanto puntava a nuovi strumenti per mantenere la
superiorità, e deterrenza derivata, considerando che dal progetto alla messa in linea di un sistema d'arma complesso erano necessari almeno 20-25 anni. D'altro lato, i tempi ora sono più brevi grazie alle nuove tecnologie ed al fatto che molta ricerca industriale civile è impiegabile per sistemi militari. Inoltre, la Cina, grazie ad uno spionaggio tecnologico non ben controllato dall'America almeno fino al 2017, è riuscita ad accelerare la modernità
del proprio sistema militare. Infatti sta riducendo la dipendenza da sistemi di produzione russa perché in molti settori riesce a farne di migliori. Pertanto, pur immaginando che l'America al momento riesca a mantenere una certa superiorità tecnologica, non è certo che Washington la manterrà nel prossimo futuro.
Infatti sta cercando di impedire a Pechino l'accesso a tecnologie futurizzanti, chiedendo all'Ue ed al G7 un coordinamento. Inoltre, sta concentrando gli sforzi nel Pacifico per aumentare ed integrare le capacità di deterrenza contro l'espansione cinese ed incrementare le risorse mare, cielo, cyber ed eso. Ma, appunto, la Cina, sapendolo, ha interesse ad usare una pressione erosiva sull' America allo scopo di ridurre i suoi investimenti sulla
superiorità futura costringendola ad aumentare la spesa per impieghi militari contecnologie mature, invecchiate.
L'America se ne rende conto, ma attuare una deterrenza più forte sulla Cina è un tema divisivo dove l' Amministrazione Biden cerca una via di mezzo tra linea morbida e dura entro la logica tipica dei democratici del
«contenimento». Tale scelta si basa sulla speranza che la Cina possa essere preoccupata da una crisi globale che
riduca il suo export nel momento in cui produce più beni di quanto il mercato interno possa assorbire, precursore
di una implosione economica.
Ma sottovaluta la capacità dei sistemi autoritari di gestire le crisi economiche meglio delle democrazie per
mancanza di libertà nel sistema interno.
Inoltre l'alleanza sinocentrica basata sulla convergenza, pur non ancora saldata e senza potere superiore, con Russia, Iran, Corea del Nord e Venezuela combinata con la sua influenza su alcune nazioni del Sud globale ha una
scala sufficiente per mettere in difficoltà il potere dei G7 ed alleati ed alimentare la speranza di potere globale da
parte della Cina. L'America recentemente ne ha preso atto: nella sua recente visita a Pechino Anthony Bllnken ha
detto chiaramente a Xi Jinping che o la Cina smetteva di sostenere da dietro i conflitti o diventava oggetto di sanzioni.
La Cina non vuole essere sanzionata in fase di difficoltà economica e probabilmente cercherà di moderare temporaneamente i propri alleati.
Ma sarà una finzione, pur utile nel breve per permettere al mercato finanziario di sottopesare il rischio bellico
diffuso, perché Pechino deve assecondare gli obiettivi locali dei suoi alleati per non perdere l'influenza su di loro. Soluzioni? Iniziano da un G7 più compatto. Speriamo che Emanuel Macron segua questa linea invece della tentazione di rendere autonoma l'Ue dall'America, obiettivo primario della Cina.

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