Nel 2013 avviai il programma di ricerca “deglobalizzazione conflittuale e riglobalizzazione selettiva” quando l’Amministrazione Obama lanciò il progetto di due mercati americocentrici, nel Pacifico e nell’Atlantico, che escludevano Russia e Cina. Era un tentativo di riequilibrare le relazioni economiche tra America e mondo. Nel dossier infilai le note prese quando ero giovane studente a Washington e casualmente presi visione del progetto di Kissinger, primi anni 70, di transizione dalla gestione singola economica e militare statunitense del pianeta ad una collettiva con gli alleati, via burden sharing (Library Group), che fallì. Nel 2017 aggiunsi nel dossier che l’Amministrazione Trump 1 aveva perso la speranza di un riequilibrio con buone maniere negoziali e vi infilai l’articolo di Condolezza Rice su Foreign Affairs della primavera del 2000: The National Interest. Dove il punto era ridurre l’ingaggio militare statunitense solo per casi di minaccia diretta, lasciando agli alleati la gestione della sicurezza regionale aiutandoli solo con un “ombrello”. L’Amministrazione Trump 2 sta seguendo tale strategia. In sintesi, c’è una continuità dal 2000 al 2025 nella politica statunitense che, al netto di analisi emotive, si basa sulla necessità di risolvere un’equazione difficile: la relazione tra debito, deficit commerciale, sicurezza e superiorità dove la priorità è ridurre debito interno e deficit commerciale senza rinunciare alla superiorità stessa.
Penso che Mario Draghi conosca bene questo problema americano e per tale motivo preveda la necessità di maggiore spesa europea per sicurezza e competitività. Ma, di scuola keynesiana, punta su un maxi debito per finanziare investimenti. Però così importa nell’Ue il problema della relazione tra debito, sicurezza e consistenza competitiva di difficile soluzione. Mentre l’America ha come soluzione sia il rischieramento delle sue risorse militari, riducendo, in particolare con la Russia, un eccesso di fronti aperti sia l’eccesso di deficit, l’Ue ha un gap di forza militare (e deterrenza nucleare autonoma), di coesione e di poco spazio fiscale per il debito nonché per ridurre deficit e protezionismo sociale. Da un lato, la visione di Draghi del problema è realistica. Dall’altro, la soluzione debitoria che implica la confederalizzazione dell’Ue non lo è. Soluzioni? Tre, combinate: 1) ridurre la scala del piano Draghi per renderlo fattibile e limitare solo a pochi settori critici, senza desovranizzare gli Stati, il debito comune Ue per investimenti; 2) accelerare i trattati commerciali Ue esterni con Mercosur, Australia, Regno Unito, ecc. per aumentare sia lo spazio di mercato sia la rilevanza europea per l’America; 3) spingere molto la coesione geoeconomica del G7, allargandolo. La Germania? Scambiare la sua ostilità al debito comune con una proiezione Ue esterna più ampia, utile per l’export. Opzione anche rilevante per l’Italia. Possibile? Certamente è scenario meritevole di studio.
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