Primi segnali per una riconvergenza euroamericana pragmatica
In preparazione dello scenario 2026 dove il punto sarà o un rientro dalla fase di metastabilità globale verso una ristabilizzazione grazie alla riconvergenza euroamericana oppure una fluttuazione del sistema mondiale verso una configurazione frazionata e instabile, il mio gruppo di ricerca sta annotando un’iniziale tendenza positiva. Viste le domande in materia da parte di attori economici italiani, nonché una loro propensione al rinvio delle decisioni di investimento per incertezza, ritengo utile segnalarla pur ancora senza assegnazione di probabilità.
Un punto positivo è che l’amministrazione Trump appare in fase di apprendimento del come armonizzare la politica Maga con il realismo politico verso l’estero (e l’interno). In America non ci sono segnali, a parte alcune dichiarazioni sporadiche, di abbandono della Nato pur nella pressione di riduzione della spesa militare per questo geo-settore a favore di un rischieramento verso altri considerati prioritari. Sembra un ritorno alla dottrina repubblicana del National Interest (2000) poi abbandonata dall’Amministrazione Bush a seguito dell’attacco Jihadista del 2001: ingaggi solo per minacce dirette e fornitura di un “ombrello” indiretto di superiorità strategica agli alleati delegando alla loro responsabilità la sicurezza regionale. Assomiglia al lead from behind (guidare da dietro) perseguito dall’Amministrazione Obama. E’ in valutazione il tentativo statunitense di annullare il conflitto con la Russia, via tregua in Ucraina e incentivi per convincere Mosca a staccarsi da Pechino, per lo scopo di concentrare risorse nel Pacifico contro la Cina. Stesso motivo per chiudere anche il conflitto in Medio Oriente. Sul piano dei dazi i miei ricercatori ed io ritengono, diversamente da molti analisti, come positiva la recente dottrina Trump della reciprocità commerciale: se tu nazione anche alleata mi metti barriere commerciali te le pongo anche io, simmetricamente. Questa impostazione non sembra “dazismo” generalizzato, ma il precursore di negoziati perché significa che se le nazioni, per lo meno quelle alleate, tolgono le barriere lo farà anche l’America. Ovviamente la transizione tra il commercio internazionale asimmetrico a quello simmetrico, dopo decenni di prevalenza del primo, è un grosso problema per il protezionismo sociale ed ambientale europeo. Tuttavia, indica una via negoziale per le euronazioni più dipendenti dall’export, in particolare Germania ed Italia, ed il Giappone. Il punto: ci sono indizi che Washington si stia rendendo conto di non avere da sola forza imperiale sufficiente senza le alleanze. E vedendo che alleati importanti come Regno Unito ed India stanno preparando un trattato di libero scambio, che anche l’Ue e l’India stessa stanno perseguendo, che Emirati ed Arabia convergono economicamente con l’Italia via accordi massivi di investimento e di collaborazione per la penetrazione in Africa, ecc., l’amministrazione Trump teme che gli alleati abbiano una capacità di autonomia maggiore di quella stimata. Per questo sta ricalibrando verso una versione più morbida il Maga riferito alle relazioni esterne. Per quelle interne ci sono segnali di dissenso verso la conduzione Trump che rendono probabili ammorbidimenti delle misure annunciate, per esempio il licenziamento brutale di troppo personale pubblico. Ed il mercato finanziario mostra un’iniziale calo della fiducia. In attesa di conferme, la direzione storica appare meno discontinua di quanto sembrava qualche settimana fa, a favore della stabilità finanziaria. Non è ancora un segnale netto per investire, ma certamente il segnale stesso è sufficiente per studiare la ripresa di investimenti: tutto balla – in gergo tecnico si chiama “metastabilità” - ma non necessariamente crolla.
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