La politica energetica italiana e, con primi indizi, quella europea sta passando dell’irrealismo al realismo: 1) si va verso la produzione di energia nucleare di nuova generazione; 2) e, pur con ancora ostacoli, verso una variazione pragmatica degli ecostandard europei non armonizzati con la sostenibilità economica.
E’ una svolta che produce ottimismo perché gli scenari prodotti dal mio gruppo di ricerca (Stratematica) nel 2023 rendevano probabile un impatto economico depressivo in Italia ed Europa se non fosse cambiata la politica energetica troppo dipendente da fonti intermittenti (solare) o troppo localizzate (eolico, geotermico, idrico, ecc.). Attenzione: la soluzione individuata e raccomandata non favoriva i combustibili fossili né l’econegazionismo né tantomeno sottovalutava la dipendenza geopolitica e geoeconomica della regione europea occidentale dalle importazioni di gas e petrolio, motivo pressante sul piano economico per un cambiamento energetico. Invocava, invece: a) un’accelerazione prioritaria per la diffusione di centrali nucleari di nuova generazione a sicurezza intrinseca; b) più investimenti per ridurre i costi di produzione dell’idrogeno per generazione termica; c) accelerazione della ricerca e produzione di biocombustibili compatibili con la continuità di motori termici; d) senza abbandonare altre fonti di energia, ma considerandole solo integrative se veramente efficienti in dati luoghi e non primarie come invece sostenuto dall’eco-irrealismo. Inoltre, nel settembre 2024 un altro (macro) scenario dei miei ricercatori ha rinforzato la proposta di modificare gli ecostandard europei perché questi creavano una incompatibilità tra sostenibilità ambientale come definita dall’Ue via divieti eccessivi e sostenibilità economica degli stessi, per esempio nel settore della mobilità.
L’Ue ha incluso nelle fonti energetiche approvate e da incentivare un modello di mini centrale nucleare di 4° generazione prodotto da scienziati e tecnici per lo più italiani: inseribile in piccoli spazi, a sicurezza intrinseca e, soprattutto, alimentata con scarti nucleari derivanti dalle centrali di generazione precedente, riprocessati. Benefici? Produzione di energia pulita e continua in quantità immensamente più elevate che nel presente e – in prima ipotesi, ma robusta – a costi dell’energia elettrica molto inferiori a quelli attuali. Per inciso, va annotato che i costi energetici in Italia sono superiori a quelli di nazioni comparabili di circa il 25-30%, un peso eccessivo per la nostra competitività industriale. Ora lo scenario rende più prevedibili: innovazione, pulizia (forte contributo decarbonizzante), sicurezza, efficienza a fronte del probabile aumento del consumo di energia elettrica per scopi di aumento dei centri di calcolo energivori e per l’ecoadattamento a fronte del cambiamento climatico, per esempio microclimatizzazioni contro caldo estremo, aumento di desalinizzatori in aree esposte a siccità prolungate. In sintesi, abbiamo bisogno dell’energia nucleare e nel momento in cui la scienza ne ha trovato un modello a sicurezza intrinseca e che perfino usa le scorie radioattive rendendo minore il problema del loro smaltimento, i dubbi e le paure al riguardo di questa fonte energetica non hanno più senso realistico di esistere.
Anche perché più nucleare elettrificante, sperabilmente con tempi di diffusione accelerati, comporta una riduzione dell’impatto antropico sull’ambiente rendendo non necessari eccessivi divieti per scopi di decarbonizzazione. Tale considerazione si sposa con la ricerca dei combustibili a bassa contaminazione per motori termici che permettono la loro continuità e non l’abolizione nel 2035. Gli e-fuel (basati su una formula dove è prevalente l’idrogeno) sono già stati ammessi dall’Ue. I biocarburanti non ancora e dovrebbero esserlo. Poi ci sono i motori a Fuel Cell alimentati ad idrogeno (che muovono un motore elettrico) con ossigeno come scarico. La combinazione tra più elettricità pulita e combustibili a minore o zero impatto ambientale nei prossimi 30 anni può evitare l’abolizione dei motori termici ed altre misure ecorepressive che creano l’incompatibilità tra sostenibilità ambientale ed economica. Secondo me deve essere il mercato a decidere quali opzioni di mobilità sono più efficienti, non burocrati o politici ideologizzati. In sintesi, questi cenni servono anche ad avviare una riflessione su un’ecopolitica che non distrugga il lavoro, come sta succedendo nell’industria della mobilità, ma lo sostenga attraverso scienza ed innovazione.