E’ iniziata la presidenza italiana del G7. Tale ruolo non implica un potere particolare, ma comunque ne ha uno di fissazione dell’agenda. Roma ha messo in priorità la relazione con l’Africa e lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale. Bene. Chi scrive, però, ritiene più importante per Roma un obiettivo generale, o meta-obiettivo: prendere più peso nell’alleanza delle democrazie evolute verso lo status di “Italia globale” (Rubbettino, 2023) che permetta un tiraggio esterno forte per l’economia interna, altrimenti declinante, pur lentamente. Il 2024 sarà un anno molto complicato sul piano geopolitico e per la molteplicità di elezioni nazionali con impatto rilevante, tra cui la più critica sarà quella presidenziale negli Stati Uniti a novembre. Possibile?
La possibilità è data dal fatto che l’America, pur superpotenza, ha limiti di presidio globale ed ha bisogno di alleati più attivi per colmare il gap. Contro chi? Il blocco dei regimi autoritari guidato dalla Cina che include Russia, Iran e Corea del Nord ed ha influenza su Sudafrica, Brasile, Venezuela, Etiopia, Myanmar ed altri. Stati Uniti e Cina non hanno intenzione di arrivare ad un confronto militare diretto – pur la vittoria (chi scrive applaude) del partito indipendentista anti Pechino di Taiwan un fattore di tensione forte – ma perseguono l’inclusione nella loro sfera di influenza della maggior parte del Sud globale, cioè Africa, Sudamerica e nazioni emergenti asiatiche nonché il mondo islamico. E’ convinzione del think tank di chi scrive che Pechino abbia sollecitato e stia stimolando decine di conflitti locali con lo scopo non tanto di destabilizzare il pianeta quanto di segnalare all’America che deve mettersi d’accordo con la Cina per ridurre la turbolenza mondiale che, appunto, tende ad eccedere la capacità statunitense di contenerla. Non ci sono prove, ma gli indizi sono forti. Per esempio l’aggressione genocida di Hamas contro Israele stimolata dall’Iran appare correlata con l’interesse cinese di sabotare l’accordo (via dissenso di massa nell’area islamica) per connettere l’India ed il Mediterraneo via penisola arabica, con sbocco ad Haifa, siglato lo scorso settembre da Arabia, Emirati, America, India, Francia, Germania ed Italia. Precursore di una penetrazione anticinese in Africa. Si annoti un dettaglio: gli Houthi in Yemen usano missilistica cinese, travestita, data loro dall’Iran. In tale situazione cosa può fare l’Italia per prendere peso offrendo un contributo di presidio attivo? Chi scrive ha suggerito da tempo una strategia “neocavouriana”: l’Italia (decima potenza militare mondiale, Francia la nona) offra presidio militare integrativo per ottenere in cambio vantaggi geoeconomici (oltre all’interesse diretto di rendere sicuri i traffici Pacifico – Mediterraneo) e di peso nell’alleanza sia Nato, sia Ue e quella in formazione nel Pacifico. Il Regno Unito sta seguendo questo approccio nella sua strategia di “Britannia globale”. Le recenti azioni di Londra integrate con quelle americane di bombardamento delle risorse Houthi in Yemen e l’accordo di sostegno militare (notevole) all’Ucraina hanno colto la necessità di Washington di avere maggiore contributo dagli alleati, spiazzando la Francia (che però ha subito inviato a Kiev il suo nuovo ministro degli Esteri per rincorrere Londra) ed anticipando la Germania che con un riarmo accelerato sta preparandosi ad essere pilastro del contenimento della minaccia russa con lo scopo di prendere merito dall’America (e probabilmente in cambio il permesso di mantenere un certo livello di mercantilismo non eliminabile in poco tempo con la Cina) permettendole di concentrare più risorse economiche nel Pacifico ed in altre aree turbolente. In tale contesto l’Italia non ha molto geospazio ed è quasi costretta a puntare dove altri alleati fanno più fatica ad andare: tralasciando la spinta verso i Balcani che è fisiologica, l’Africa. Roma si è accorta che ci vorrebbe di più ed ha lanciato partenariati nell’Asia centrale, uno iniziale tratteggiato con l’India ed uno solido con il Giappone. Ma nel momento in cui altri alleati entro il G7 stanno aumentando le loro proiezioni di “forza integrativa”, l’Italia si trova ad averne di meno per limiti di bilancio e atteggiamenti sia prudenziali sia debellicizzati. Potrà l’Italia utilizzare la necessità di presidio integrativo dell’America per prendere più peso nelle sue alleanze, evidentemente in concorrenza con altri alleati? Al momento sembra svoltare verso una postura di Honest Broker, cioè di mediatore credibile, piuttosto che di punta militare integrativa. Da un lato, tale posizione è intelligente per sperimentare un piano Mattei (vantaggio reciproco) con nazioni africane. Dall’altro, il mondo sta entrando in una fase di prevalenza dei rapporti di forza dove le nazioni si collocano non solo con chi avere relazioni di vantaggio reciproco, ma anche con chi rappresenta la forza. Pertanto, Roma dovrebbe valutare un “vettore strategico” dove unire affidabilità negoziale, reciprocità economica e forza ottenuta attraverso contributi militari attivi nelle sue alleanze.
Sarà in grado di farlo? Ha già dato prove di buona visione nel 2023 attivando proiezioni globali multiple. La calibratura del contributo militare ed il suo impiego più attivo richiedono una discontinuità con il passato: da forza di pace passiva a contributo attivo dissuasivo (presidio) entro le alleanze. Ci vorrà un tempo di apprendimento. La presidenza del G7, nel suo lato informale, dovrebbe diventare una palestra dove capire come l’Italia possa diventare un esportatore di sicurezza. O così o non potrà ottenere vantaggi in un mondo tornato alla “normalità storica”: il conflitto, la forza, la deterrenza.