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Carlo A. Pelanda
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IL PUNTO

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3/12/2023

Dall’irrealismo all’ecorealismo, lentamente

La serie delle Cop annuali, è appena terminata la 28 a Dubai, va seguita con attenzione dagli attori finanziari nonostante l’inconcludenza operativa degli accordi internazionali sul cambiamento climatico, per mitigarne l’impatto, perché è una palestra di future convergenze e nuovi standard globali, nonché un terreno di nuove frizioni/cooperazioni geopolitiche. Quest’anno si notano alcune novità che fanno ipotizzare una pur solo iniziale transizione dall’irrealismo all’ecorealismo. Qui una visione selettiva della tendenza più rilevante.

Chi scrive da sempre sostiene – in base ai dati e a proiezioni ecorealistiche elaborati dal suo gruppo di ricerca – di aumentare l’enfasi e gli investimenti sull’ecoadattamento in relazione alla decarbonizzazione pur continuando a perseguirla. Appare evidente, infatti, che la probabilità – in base alle tendenze correnti - di contenere l’aumento della temperatura media nel mondo entro 1,5 gradi è bassa mentre quella che si arrivi ben oltre è più elevata e che in alcune aree del pianeta l’impatto sarà più forte che in altre. Tale evidenza è dovuta alla lentezza prospettica della riduzione dei gas serra: la soluzione di decarbonizzazione accelerata non è compatibile con la possibilità/volontà/sostenibilità economica di cambiamento dei sistemi energetici. Ma vanno inserite nel calcolo anche altre cause del riscaldamento che vengono contestate, ma raccolgono un numero rilevante di consensi scientifici: ciclo solare, spostamento dell’asse terrestre, ecc. In sintesi, non c’è una ragionevole certezza che lo sforzo decarbonizzante possa ridurre sostanzialmente l’impatto sui sistemi umani o che possa farlo in tempi utili. Da qui prende rilievo una maggiore attenzione sull’ecoadattamento. Nella Cop 27 fu lanciato il Global Goal on Adaptation, ma senza dettagli operativi. In sintesi, si tratta di ridurre la vulnerabilità di territori più esposti a rischi di inondazione e situazioni climatiche distruttive. Le nazioni povere chiederanno soldi. Nelle nazioni più ricche sarà possibile avviare programmi di “terraformazione” contro il rischio idrogeologico, agricolo, di viabilità, ecc. Inoltre, servirà energia sia più abbondante (per la microclimatizzazione a costi sostenibili) sia pulita. Questa consapevolezza sta aumentando il consenso per l’energia nucleare a fissione di nuova generazione a sicurezza intrinseca e ad un maggior impiego dell’idrogeno (ancora costoso, ma efficientabile nel medio periodo) come fonti costanti pur mantenendo quelle intermittenti, come solare, eolico, ecc., ad un certo livello integrativo dove, però, sono più efficienti. Il punto: si sta rovesciando la matrice delle fonti portando nucleare ed idrogeno in alto e le intermittenti al secondo posto. Ma sarà un processo lento, attorno ai 30 anni, per la transizione dai combustibili fossili verso le nuove fonti, in alcune nazioni più rapido in altre molto più lento. Tale bozza di scenario implica forti e discontinui mutamenti di indirizzo nel settore degli investimenti, già oggi.              

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