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Carlo A. Pelanda
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Lettere a CP del 2004

16/12/2004

Carissimo CP,

il nesso del tuo articolo con quello del prof. Sgarbi è subito chiarito: le tue incendiarie proposte di riforma (rivoluzione cognitiva, garanzie attive, capitalismo di massa, cessione temporanea di sovranità, etc.) vengono penalizzate, oltre che dalle circoscritte, benchè notevoli, dimensioni del bacino di utenza (forzitaliani, neocons, curiosi limitrofi), anche dalla desolante insonorità degli amplificatori (intellettuali), che il suddetto quantifica nella misura del 20 per mille, ossia 2 per cento, rispetto a quanti militano a vario titolo nei paraggi della sinistra.  Dato che il modo di agire rappresenta lo specchio fedele del modo di pensare, ed entrambi si riflettono alla fine sui nomi da votare, ecco che il problema tempestivamente sollevato dal bel Vittorio si presenta oggi tra le priorità assolute all’ordine del giorno del centrodestra. Chi infatti, se non l'intellettuale, può dirsi depositario, garante e sacerdote del pensiero qualificato e illuminato? Lo scopo di questa missiva consiste dunque nel tentativo di  di offrirti lo spunto e lo stimolo per trovare ed e indicare possibili vie di soluzione al problema, sulla scia di quelle che spontaneamente, sulla base di partenza del senso comune, andrò ad elencare. Per fare questo trascurerò volutamente l’aspetto genealogico, etimologico e storico-cronologico della figura-ruolo, di cui sopra, per cercare semplicemente di descrivere come essa si presenta nel mondo attuale e come in tal modo descritta possa essere utile alle nostre piccole o grandi missioni. L’intellettuale di oggi è un personaggio  legato sì alle dimensioni del dire, ma ancor di più a quelle dell’apparire e del presenziare. Tralasciando per brevità il percorso dimostrativo che sta a monte della mia convinzione, utilizzerò una definizione-descrizione che inquadra l’intellettuale come un tipo particolare di specialista votato per indole all’ecclettismo e alla prevaricazione (vuole con-vincere). Si tratta cioè quasi sempre di persona che, godendo di ampia notorietà e di autorevolezza per i meriti acquisiti in un ambito specifico, avverte come restrittivo e mortificante il dover rimanere nel predetto ambito, e tende ad esprimere giudizi su tutto lo scibile. Se sostanzialmente si può quindi definire un maestro del parlare con autorevolezza di ciò che non si conosce, formalmente è colui che emette giudizi, spesso perentori, esimendosi, con sapienti accorgimenti retorici, dal fornire motivazioni. Ovviamente  il mezzo televisivo è quello ideale per valorizzare l’azione dell’intellettuale e massimizzarne l’efficacia. Qual è dunque, da parte di chi intende o pretende di gestire il potere politico, l’atteggiamento da tenere nei suoi confronti?

  1. Svalutare il ruolo dell’intellettuale e trattarlo da inconcludente ciarlatano, non considerando il suesposto problema meritevole di soluzione. Innanzi tutto questo atteggiamento non porta all’aumento dei consensi nell’ambito dei pragmatici ingenui, che “non hanno tempo per occuparsi di queste cose” oppure “non ci capiscono niente” oppure “sono stufi di chiacchiere e vogliono i fatti”. Tali soggetti, considerando la politica semplicemente in funzione del soddisfacimento dei beni primari, si illudono di fare una scelta antifilosofica, mentre si iscrivono a pieno titolo alla ricerca di “rimedi” tipica della filosofia tradizionale. In questo caso il rimedio consisterebbe nell’attivismo istintivo e nel disprezzo per ogni forma di teoria. Oltre a non aumentare il numero di elettori in questo settore chiuso e rigido, l’opzione 1. fa perdere potenziali elettori tra i sempre più numerosi soggetti che, a vario titolo e con diversi intenti, aspirano a un miglioramento della loro cultura. Significativo appare, a tale proposito, ciò che è accaduto a Brescia, dove alcune mosse e dichiarazioni propagandistiche malamente improntate all’atteggiamento sub 1. hanno aperto la strada alla dittatura illuminata del filosofo diessino Corsini.
  2. Si può  formare l’intellettuale alla stregua di un dirigente d’azienda o di partito? La risposta diventa affermativa se si riesce a sostituire la chiara fama, che un giovane o un homo novus per definizione non può avere, con la ricorrente presenza televisiva. Anzi, ultimamente tale fattore si è rivelato non un surrogato, ma uno strumento addirittura più efficace del talento o dello studio, al fine di creare autorevolezza. Ottima la soluzione di catturare consensi mediante il reclutamento di gente di spettacolo, purchè il personaggio prescelto, ben disposto a giovare alla causa, dimostri affinità con l’idealtipo sopra descritto e soprattutto venga di fatto considerato dall’opinione pubblica autorevole nel senso già indicato. Ricordiamo che, indipendentemente dal livello delle prestazioni artistiche, si tratta di persone che hanno dimestichezza col mezzo di comunicazione oltre che con la parola e sanno arrivare al cuore, più che al cervello del popolo.  Invece di usarli come semplici specchietti per le allodole, come per altro si è già fatto con successo, per poi sostituirli con professionisti, si possono davvero affiancare loro dei mentori, che garantiscano la dignità e il decoro del discorso. Dunque rispondo alla domanda che si può, ma è un’arte difficile. Indispensabile, a mio avviso (e di chi se no?) disporre di un valido armamento di controsatira, di cui attualmente siamo privi, da utilizzare o meno in modo strategico al momento giusto. Perché fare solo da bersaglio?
  3. Discutere,  rivedere, riformulare la definizione di intellettuale in modo da ricomprendere un maggior numero di soggetti. Ad esempio estendendo la definizione precedente a illustri  specialisti che parlino solo della loro materia con competenza, ma in termini correnti e comprensibili. In una parola, ai divulgatori o aspiranti tali. Siccome i più seri tra costoro si rifiutano, per natura o per deontologia, di muovere un passo fuori dal loro terreno, si potrebbe utilizzare a fini elettorali la loro immagine catturandoli proprio con la strategia di garantire la loro assoluta indipendenza e contando sulla propensione del pubblico ad associare immagini e idee. Anche questa è un’arte difficile, e ben conosciuta a sinistra.
  4. Fare campagna acquisti nel campo avverso, ovviamente cercando sia di includere i voltagabbana definitivi e legittimamente rancorosi, che di escludere i potenziali doppiogiochisti e le spie. Dati gli acquisti strepitosi che avete fatto a suon di incentivi, pare che quest’arte la conosciate meglio voi.
  5. Altri eventuali (erano “atteggiamenti”)

Alla fine, dopo questo escursus all’interno del vecchio buon senso e dell’ovvio, concludo che c’è molto, molto da lavorare. Quindi, non contate su di me!

Con l’augurio che le ferie natalizie e gli eccessi, che ne seguiranno, non intorpidiscano il tuo animo indomito e guerriero, ti saluto con affetto

Ferruccio Sangiacomo

16/12/2004

Carissimo CP,
il nesso del tuo articolo con quello del prof. Sgarbi è subito chiarito: le tue incendiarie proposte di riforma (rivoluzione cognitiva, garanzie attive, capitalismo di massa, cessione temporanea di sovranità, etc.) vengono penalizzate, oltre che dalle circoscritte, benchè notevoli, dimensioni del bacino di utenza (forzitaliani, neocons, curiosi limitrofi), anche dalla desolante insonorità degli amplificatori (intellettuali), che il suddetto quantifica nella misura del 20 per mille, ossia 2 per cento, rispetto a quanti militano a vario titolo nei paraggi della sinistra. Dato che il modo di agire rappresenta lo specchio fedele del modo di pensare, ed entrambi si riflettono alla fine sui nomi da votare, ecco che il problema tempestivamente sollevato dal bel Vittorio si presenta oggi tra le priorità assolute all’ordine del giorno del centrodestra. Chi infatti, se non l'intellettuale, può dirsi depositario, garante e sacerdote del pensiero qualificato e illuminato? Lo scopo di questa missiva consiste dunque nel tentativo di di offrirti lo spunto e lo stimolo per trovare ed e indicare possibili vie di soluzione al problema, sulla scia di quelle che spontaneamente, sulla base di partenza del senso comune, andrò ad elencare. Per fare questo trascurerò volutamente l’aspetto genealogico, etimologico e storico-cronologico della figura-ruolo, di cui sopra, per cercare semplicemente di descrivere come essa si presenta nel mondo attuale e come in tal modo descritta possa essere utile alle nostre piccole o grandi missioni. L’intellettuale di oggi è un personaggio legato sì alle dimensioni del dire, ma ancor di più a quelle dell’apparire e del presenziare. Tralasciando per brevità il percorso dimostrativo che sta a monte della mia convinzione, utilizzerò una definizione-descrizione che inquadra l’intellettuale come un tipo particolare di specialista votato per indole all’ecclettismo e alla prevaricazione (vuole con-vincere). Si tratta cioè quasi sempre di persona che, godendo di ampia notorietà e di autorevolezza per i meriti acquisiti in un ambito specifico, avverte come restrittivo e mortificante il dover rimanere nel predetto ambito, e tende ad esprimere giudizi su tutto lo scibile. Se sostanzialmente si può quindi definire un maestro del parlare con autorevolezza di ciò che non si conosce, formalmente è colui che emette giudizi, spesso perentori, esimendosi, con sapienti accorgimenti retorici, dal fornire motivazioni. Ovviamente il mezzo televisivo è quello ideale per valorizzare l’azione dell’intellettuale e massimizzarne l’efficacia. Qual è dunque, da parte di chi intende o pretende di gestire il potere politico, l’atteggiamento da tenere nei suoi confronti?
Svalutare il ruolo dell’intellettuale e trattarlo da inconcludente ciarlatano, non considerando il suesposto problema meritevole di soluzione. Innanzi tutto questo atteggiamento non porta all’aumento dei consensi nell’ambito dei pragmatici ingenui, che “non hanno tempo per occuparsi di queste cose” oppure “non ci capiscono niente” oppure “sono stufi di chiacchiere e vogliono i fatti”. Tali soggetti, considerando la politica semplicemente in funzione del soddisfacimento dei beni primari, si illudono di fare una scelta antifilosofica, mentre si iscrivono a pieno titolo alla ricerca di “rimedi” tipica della filosofia tradizionale. In questo caso il rimedio consisterebbe nell’attivismo istintivo e nel disprezzo per ogni forma di teoria. Oltre a non aumentare il numero di elettori in questo settore chiuso e rigido, l’opzione 1. fa perdere potenziali elettori tra i sempre più numerosi soggetti che, a vario titolo e con diversi intenti, aspirano a un miglioramento della loro cultura. Significativo appare, a tale proposito, ciò che è accaduto a Brescia, dove alcune mosse e dichiarazioni propagandistiche malamente improntate all’atteggiamento sub 1. hanno aperto la strada alla dittatura illuminata del filosofo diessino Corsini.
Si può formare l’intellettuale alla stregua di un dirigente d’azienda o di partito? La risposta diventa affermativa se si riesce a sostituire la chiara fama, che un giovane o un homo novus per definizione non può avere, con la ricorrente presenza televisiva. Anzi, ultimamente tale fattore si è rivelato non un surrogato, ma uno strumento addirittura più efficace del talento o dello studio, al fine di creare autorevolezza. Ottima la soluzione di catturare consensi mediante il reclutamento di gente di spettacolo, purchè il personaggio prescelto, ben disposto a giovare alla causa, dimostri affinità con l’idealtipo sopra descritto e soprattutto venga di fatto considerato dall’opinione pubblica autorevole nel senso già indicato. Ricordiamo che, indipendentemente dal livello delle prestazioni artistiche, si tratta di persone che hanno dimestichezza col mezzo di comunicazione oltre che con la parola e sanno arrivare al cuore, più che al cervello del popolo. Invece di usarli come semplici specchietti per le allodole, come per altro si è già fatto con successo, per poi sostituirli con professionisti, si possono davvero affiancare loro dei mentori, che garantiscano la dignità e il decoro del discorso. Dunque rispondo alla domanda che si può, ma è un’arte difficile. Indispensabile, a mio avviso (e di chi se no?) disporre di un valido armamento di controsatira, di cui attualmente siamo privi, da utilizzare o meno in modo strategico al momento giusto. Perché fare solo da bersaglio?
Discutere, rivedere, riformulare la definizione di intellettuale in modo da ricomprendere un maggior numero di soggetti. Ad esempio estendendo la definizione precedente a illustri specialisti che parlino solo della loro materia con competenza, ma in termini correnti e comprensibili. In una parola, ai divulgatori o aspiranti tali. Siccome i più seri tra costoro si rifiutano, per natura o per deontologia, di muovere un passo fuori dal loro terreno, si potrebbe utilizzare a fini elettorali la loro immagine catturandoli proprio con la strategia di garantire la loro assoluta indipendenza e contando sulla propensione del pubblico ad associare immagini e idee. Anche questa è un’arte difficile, e ben conosciuta a sinistra.
Fare campagna acquisti nel campo avverso, ovviamente cercando sia di includere i voltagabbana definitivi e legittimamente rancorosi, che di escludere i potenziali doppiogiochisti e le spie. Dati gli acquisti strepitosi che avete fatto a suon di incentivi, pare che quest’arte la conosciate meglio voi.
Altri eventuali (erano “atteggiamenti”)
Alla fine, dopo questo escursus all’interno del vecchio buon senso e dell’ovvio, concludo che c’è molto, molto da lavorare. Quindi, non contate su di me!
Con l’augurio che le ferie natalizie e gli eccessi, che ne seguiranno, non intorpidiscano il tuo animo indomito e guerriero, ti saluto con affetto
Ferruccio Sangiacomo

10/12/2004

premessa
E' possibile ipotizzare una attività politica dove la realizzazione di un progetto, definito in tutte le coordinate, abbia come referente principale lo stesso autore del progetto?
E' possibile governare ipotizzando un ruolo attivo nella gestione del leader politico ancorchè diverso dall'autore del progetto?
E' possibile che il leader politico sia al tempo stesso autore del progetto e dominus del governo?
Qualora il ruolo "tecnico" di gestione e il ruolo "politico" del governo siano demandati ad una sola leadership, la chiamiamo "dittatura" o "governo dei tecnici"?
Qualora "l'impolitico (tecnico-politico)" riceve il consenso - da suffragio universale - e questi rappresenta e rispetta il mandato ricevuto possiamo parlare di una forma evoluta di democrazia rappresentativa e qualificata?
Le scelte individuali su problematiche relative ad interessi che coinvolgono il singolo patrimonio "di coscienza, di religione, di etica e di natura" se sono delegate a consultazioni telematiche ( come avviene in certi casi in alcuni cantoni svizzeri) rappresentano un limite della partecipazione democratica e/o uno snellimento della proceduralità burocratica?
tesi

La novità del Governo Berlusconi, intesa - a mio parere - a creare uno spartiacque tra il metodo tradizionale dell'agire politico e una nuova forma di partecipazione responsabile ed attiva da parte di ceti produttivi, non riduce e mortifica la spinta elaborativa di nuove forme di pensiero e di valutazione sui contenuti della produzione del governo stesso. Costituisce, invero, una formidabile ipotesi concreta di "essere" cittadinanza attiva, laddove una nuova genia di ceto dirigente è in via di formazione.
Il limite e, al tempo stesso, il traguardo che ci si può porre, risiedono nella globalizzazione delle idee e della loro realizzazione.
Il rischio non è del singolo, ma di tutta la collettività, che di fatto si trova a selezionare le energie migliori, prelevandole dalla contingenza epocale.
Forse aboliamo - in un colpo solo - le doppiezze e le ambiguità storiche che ci portiamo appresso come Nazione e diventiamo finalmente un Popolo.
Sic transit gloria mundi.

giovanni battista saulino

10/12/2004

premessa
E' possibile ipotizzare una attività politica dove la realizzazione di un progetto, definito in tutte le coordinate, abbia come referente principale lo stesso autore del progetto?
E' possibile governare ipotizzando un ruolo attivo nella gestione del leader politico ancorchè diverso dall'autore del progetto?
E' possibile che il leader politico sia al tempo stesso autore del progetto e dominus del governo?
Qualora il ruolo "tecnico" di gestione e il ruolo "politico" del governo siano demandati ad una sola leadership, la chiamiamo "dittatura" o "governo dei tecnici"?
Qualora "l'impolitico (tecnico-politico)" riceve il consenso - da suffragio universale - e questi rappresenta e rispetta il mandato ricevuto possiamo parlare di una forma evoluta di democrazia rappresentativa e qualificata?
Le scelte individuali su problematiche relative ad interessi che coinvolgono il singolo patrimonio "di coscienza, di religione, di etica e di natura" se sono delegate a consultazioni telematiche ( come avviene in certi casi in alcuni cantoni svizzeri) rappresentano un limite della partecipazione democratica e/o uno snellimento della proceduralità burocratica?
tesi

La novità del Governo Berlusconi, intesa - a mio parere - a creare uno spartiacque tra il metodo tradizionale dell'agire politico e una nuova forma di partecipazione responsabile ed attiva da parte di ceti produttivi, non riduce e mortifica la spinta elaborativa di nuove forme di pensiero e di valutazione sui contenuti della produzione del governo stesso. Costituisce, invero, una formidabile ipotesi concreta di "essere" cittadinanza attiva, laddove una nuova genia di ceto dirigente è in via di formazione.
Il limite e, al tempo stesso, il traguardo che ci si può porre, risiedono nella globalizzazione delle idee e della loro realizzazione.
Il rischio non è del singolo, ma di tutta la collettività, che di fatto si trova a selezionare le energie migliori, prelevandole dalla contingenza epocale.
Forse aboliamo - in un colpo solo - le doppiezze e le ambiguità storiche che ci portiamo appresso come Nazione e diventiamo finalmente un Popolo.
Sic transit gloria mundi.

giovanni battista saulino

7/12/2004

Sondaggio: Torna a tingersi di rosa l'indice BSI Gamma - Economia

E Piazza Affari brinda con fiducia
Da gennaio la Borsa è salita del 13% ed anche i piccoli azionisti, dopo il pessimismo di settembre, riprendono coraggio per la corsa di fine anno
 
 
 In ripresa. La fiducia dei piccoli azionisti d'Italia ha fatto un notevole rimbalzo. Nel mese di novembre l'indice Bsi Gamma - Economia è salito a 37,04% dopo essere finito, ad ottobre, in un colpo solo a quota 29. Il barometro quindi ha recuperato i punti persi in ottobre, guadagnandone uno in più se si guardano i valori di settembre (36,47%).
 La Borsa quindi fa meno paura sembrano dire i 305 investitori che hanno risposto al sondaggio. Forse anche perchè sono definitivamente archiviati i nervosismi legati alle elezioni americane. Lo stato influenzale di ottobre era legato anche all'incertezza sul risultato delle presidenziali. Un tema che ha toccato in profondità gli investitori nella contingenza del momento, ma che sembra aver meno impatto sulle proiezioni future.
 Il mondo comunque soffrirà gli squilibri dell'economia americana, dicono le famiglie italiane interpellate. Che però, evidentemente, hanno già metabolizzato almeno in parte rischi e paure.
 
 Ma vediamo nel dettaglio le diverse "anime della fiducia".
 
 
 I) L'INDICE di OTTIMISMO, quello che misura la speranza da qui ad un anno, è al 38,67%, vale a dire quattro punti più in alto di un mese fa e ben sei punti in più rispetto a settembre (32,86%).
 Gli ottimisti a dodici mesi, quindi, restano sempre in minoranza, ma stanno acquistando via via qualche simpatizzante in più. Le aspettative sono modeste da un lato e non troppo negative dall'altro. Chi vede rosa pensa che Piazza Affari in media salirà del 3,62% e chi vede nero la pensa in modo assolutamente speculare, attribuendo in media un calo del 3,63%.
 
 II) Davvero significativa è stata poi la rimonta dell'INDICE "NO CRASH", spedito all'inferno dalla rilevazione del mese scorso. Questo barometro conta gli scettici in merito ad una catastrofe azionaria (-30%) nei prossimi sei mesi.
 A novembre l'indicatore è tornato all'83,28%, più o meno lo stesso livello di settembre. In ottobre era crollato al 65,58%. Il miglioramento del clima generale, quindi, ha probabilmente convinto molti a tornare sui propri passi, escludendo la possibilità del "Giudizio Universale finanziario".
 
 III) Perde invece ulteriore terreno rispetto al mese scorso l'INDICE di RIMBALZO, ovvero il termometro del giorno dopo, quello che misura i fiduciosi in una resurrezione di Piazza Affari il giorno dopo un crac. A novembre l'indice è sceso a 31,45% contro i 35,47% di ottobre. A settembre, addirittura, i rimbalzisti delle ventiquattrore erano il 47%.
 
 IV) Migliora invece sensibilmente la speranza sui tre mesi. L'INDICE di INCERTEZZA, quello che mostra la differenza fra ottimisti e pessimisti da qui a fine febbraio, è in negativo di soli 5 punti. Contro i 16 di ottobre ed i 17,4 di novembre. Anche in questo caso, dunque, chi vede nero ha sempre la meglio, ma il sentimento generale è in miglioramento.
 
 
 Quanto alla GEOGRAFIA della FIDUCIA si confermano in parte alcuni "trend".
 Il tasso di ottimismo del Nord Ovest è decisamente superiore alla media nazionale (37,04%). A Nord Ovest, infatti, la speranza nella Borsa va al 42,75%.
 Sorprendente il Nord Est: questa zona dell'Italia, che di solito porta la bandiera del pessimismo, questa volta vede rosa al 40,01%. Al Centro ed al Sud, invece, l'ottimismo è decisamente sotto la media: 31,86% e 32,03% sono rispettivamente i due indici di ottimismo regionale.
 Guardando invece all'ampiezza dei centri urbani il maggior tasso di speranza si concentra nelle città di media grandezza, quelle che hanno fra 30 mila e 100 mila abitanti (40,4%), mentre nei centri più grandi (oltre 100 mila abitanti) la speranza viaggia al 37,3%.
 Il tasso di pessimismo cosmico più alto è invece nei piccolissimi centri: i paesi con meno di diecimila anime hanno una fiducia media del 33,64%.
 Le donne rimangono convinte pessimiste (33,78%), mentre gli uomini sono molto più possibilisti: 42,02%. Gli anziani non vedono particolarmente rosa (33,21%  il tasso degli ultrasessantaquattrenni), mentre nella fascia che va dai 35 ai 64 anni si spera al 38 - 39%. Vale a dire sopra la media nazionale.
 
 
 
 
Disponibile ad ogni tipo di chiarimento
Porgo cordiali saluti, Buon Natale ed un felice 2005
 
 
 
Lorenzo Polojac
7/12/2004

Egregio professore buongiorno.

Diciamolo alla milanene:"Piuttosto che tacer, dice mèrda".
Stavolta il Prode l'ha fatta fuori dal vaso! Neppure il suo amico ciclista,
nel senso del meccanico che ripara le biciclette, dice di averlo mai
conosciuto.
Ed a nulla serve l'excusatio non petita del dire "Allora anche LUI, con
'tutto il male possibile', aveva detto una cosa brutta".
Come un bambino dell'asilo.
Evidentemente i succhi biliari in eccesso per bile verde ipertrofica hanno
dissolto la maschera di sacrestano perbene e dato la stura alla maldicenza
livida e meditata, di chiara marca leni-stali-nista.
Lo dicevano anche gli antichi. "In bile veritas!"

Mi sono chiesto: è meglio esercitare il mercenariato e prender soldi per un
lavoro politico oppure esercitare il meretricio e vendersi a chiunque, con
madri e figli, per una carica, uno stipendio, un potere, una pensione, un
posto in consiglio d'amministrazione, un postimbanca, un posto da leader
politico? Ma poi mi sono risposto che nessuno, mai mai, soprattutto in
Italia , oserebbe vendere l'anima democristiana per far carriera. L'afflato
purificante della tensione morale democristiana trasformerebbe ogni
traditore in una statua di sale.
Ahimè Cossiga, Ahimè Andreotti, rimasti fedeli alla coscienza pure nelle
bufere più tempestose e sanguinarie, tra le calunne più smaccate e
devastanti, a CHI avete lasciato spazio. Bah!

Ma forse in fondo qualcosa di vero c'è: i ragazzi di Forza Italia non sono
animati da quell'integralismo sanfedista che anima i servizi d'ordine
sindacalcomunisti, gli scrittori murali ed i cuocitori di salamelle da
Festa dell'U.
Credo che quasi tutti i giovani di Forza Italia perseguano un'idea di
lavoro politico "per l'amministrazione politica". Nella loro testa
l'impegno partitico è qualcosa di non totalizzante, fatto a margine di una
normale esistenza lavorativa, un di più di fatica offerto al paese. In
questo racchiudono il loro lavoro di partito in un ambito che si può
definire "spirito di servizio". Non pongono a questo lavoro un fine
ideologico, nè un fine economico e di realizzazione di sè ( e questo è un
limite). Lasciano alla normale professione l'incarico di risolvere i
problemi dell'esistenza loro e della loro famiglia.
Perciò affrontano l'impegno di partito cone un'attività secondaria,
appunto, con SPIRITO DI SERVIZIO.

Diversa è la posizione dei giovani e meno giovani di sinistra: essi sono
ancora animati dall'ideologia della Lotta di Classe, di qualcuno CONTRO
qualcun altro, ed in fondo sono animati da uno SPIRITO DI DOMINIO ,
integralista e totalizzante.
Mediti il prof se è meglio questa gioventù oppure la prima.

Cordialità.
G. Pinciroli

7/12/2004

Sondaggio: Torna a tingersi di rosa l'indice BSI Gamma - Economia

E Piazza Affari brinda con fiducia
Da gennaio la Borsa è salita del 13% ed anche i piccoli azionisti, dopo il pessimismo di settembre, riprendono coraggio per la corsa di fine anno
 
 
 In ripresa. La fiducia dei piccoli azionisti d'Italia ha fatto un notevole rimbalzo. Nel mese di novembre l'indice Bsi Gamma - Economia è salito a 37,04% dopo essere finito, ad ottobre, in un colpo solo a quota 29. Il barometro quindi ha recuperato i punti persi in ottobre, guadagnandone uno in più se si guardano i valori di settembre (36,47%).
 La Borsa quindi fa meno paura sembrano dire i 305 investitori che hanno risposto al sondaggio. Forse anche perchè sono definitivamente archiviati i nervosismi legati alle elezioni americane. Lo stato influenzale di ottobre era legato anche all'incertezza sul risultato delle presidenziali. Un tema che ha toccato in profondità gli investitori nella contingenza del momento, ma che sembra aver meno impatto sulle proiezioni future.
 Il mondo comunque soffrirà gli squilibri dell'economia americana, dicono le famiglie italiane interpellate. Che però, evidentemente, hanno già metabolizzato almeno in parte rischi e paure.
 
 Ma vediamo nel dettaglio le diverse "anime della fiducia".
 
 
 I) L'INDICE di OTTIMISMO, quello che misura la speranza da qui ad un anno, è al 38,67%, vale a dire quattro punti più in alto di un mese fa e ben sei punti in più rispetto a settembre (32,86%).
 Gli ottimisti a dodici mesi, quindi, restano sempre in minoranza, ma stanno acquistando via via qualche simpatizzante in più. Le aspettative sono modeste da un lato e non troppo negative dall'altro. Chi vede rosa pensa che Piazza Affari in media salirà del 3,62% e chi vede nero la pensa in modo assolutamente speculare, attribuendo in media un calo del 3,63%.
 
 II) Davvero significativa è stata poi la rimonta dell'INDICE "NO CRASH", spedito all'inferno dalla rilevazione del mese scorso. Questo barometro conta gli scettici in merito ad una catastrofe azionaria (-30%) nei prossimi sei mesi.
 A novembre l'indicatore è tornato all'83,28%, più o meno lo stesso livello di settembre. In ottobre era crollato al 65,58%. Il miglioramento del clima generale, quindi, ha probabilmente convinto molti a tornare sui propri passi, escludendo la possibilità del "Giudizio Universale finanziario".
 
 III) Perde invece ulteriore terreno rispetto al mese scorso l'INDICE di RIMBALZO, ovvero il termometro del giorno dopo, quello che misura i fiduciosi in una resurrezione di Piazza Affari il giorno dopo un crac. A novembre l'indice è sceso a 31,45% contro i 35,47% di ottobre. A settembre, addirittura, i rimbalzisti delle ventiquattrore erano il 47%.
 
 IV) Migliora invece sensibilmente la speranza sui tre mesi. L'INDICE di INCERTEZZA, quello che mostra la differenza fra ottimisti e pessimisti da qui a fine febbraio, è in negativo di soli 5 punti. Contro i 16 di ottobre ed i 17,4 di novembre. Anche in questo caso, dunque, chi vede nero ha sempre la meglio, ma il sentimento generale è in miglioramento.
 
 
 Quanto alla GEOGRAFIA della FIDUCIA si confermano in parte alcuni "trend".
 Il tasso di ottimismo del Nord Ovest è decisamente superiore alla media nazionale (37,04%). A Nord Ovest, infatti, la speranza nella Borsa va al 42,75%.
 Sorprendente il Nord Est: questa zona dell'Italia, che di solito porta la bandiera del pessimismo, questa volta vede rosa al 40,01%. Al Centro ed al Sud, invece, l'ottimismo è decisamente sotto la media: 31,86% e 32,03% sono rispettivamente i due indici di ottimismo regionale.
 Guardando invece all'ampiezza dei centri urbani il maggior tasso di speranza si concentra nelle città di media grandezza, quelle che hanno fra 30 mila e 100 mila abitanti (40,4%), mentre nei centri più grandi (oltre 100 mila abitanti) la speranza viaggia al 37,3%.
 Il tasso di pessimismo cosmico più alto è invece nei piccolissimi centri: i paesi con meno di diecimila anime hanno una fiducia media del 33,64%.
 Le donne rimangono convinte pessimiste (33,78%), mentre gli uomini sono molto più possibilisti: 42,02%. Gli anziani non vedono particolarmente rosa (33,21%  il tasso degli ultrasessantaquattrenni), mentre nella fascia che va dai 35 ai 64 anni si spera al 38 - 39%. Vale a dire sopra la media nazionale.
 
 
 
 
Disponibile ad ogni tipo di chiarimento
Porgo cordiali saluti, Buon Natale ed un felice 2005
 
 
 
Lorenzo Polojac
7/12/2004

 Egregio professore buongiorno.

Diciamolo alla milanene:"Piuttosto che tacer, dice mèrda".
Stavolta il Prode l'ha fatta fuori dal vaso! Neppure il suo amico ciclista,
nel senso del meccanico che ripara le biciclette, dice di averlo mai
conosciuto.
Ed a nulla serve l'excusatio non petita del dire "Allora anche LUI, con
'tutto il male possibile', aveva detto una cosa brutta".
Come un bambino dell'asilo.
Evidentemente i succhi biliari in eccesso per bile verde ipertrofica hanno
dissolto la maschera di sacrestano perbene e dato la stura alla maldicenza
livida e meditata, di chiara marca leni-stali-nista.
Lo dicevano anche gli antichi. "In bile veritas!"

Mi sono chiesto: è meglio esercitare il mercenariato e prender soldi per un
lavoro politico oppure esercitare il meretricio e vendersi a chiunque, con
madri e figli, per una carica, uno stipendio, un potere, una pensione, un
posto in consiglio d'amministrazione, un postimbanca, un posto da leader
politico? Ma poi mi sono risposto che nessuno, mai mai, soprattutto in
Italia , oserebbe vendere l'anima democristiana per far carriera. L'afflato
purificante della tensione morale democristiana trasformerebbe ogni
traditore in una statua di sale.
Ahimè Cossiga, Ahimè Andreotti, rimasti fedeli alla coscienza pure nelle
bufere più tempestose e sanguinarie, tra le calunne più smaccate e
devastanti, a CHI avete lasciato spazio. Bah!

Ma forse in fondo qualcosa di vero c'è: i ragazzi di Forza Italia non sono
animati da quell'integralismo sanfedista che anima i servizi d'ordine
sindacalcomunisti, gli scrittori murali ed i cuocitori di salamelle da
Festa dell'U.
Credo che quasi tutti i giovani di Forza Italia perseguano un'idea di
lavoro politico "per l'amministrazione politica". Nella loro testa
l'impegno partitico è qualcosa di non totalizzante, fatto a margine di una
normale esistenza lavorativa, un di più di fatica offerto al paese. In
questo racchiudono il loro lavoro di partito in un ambito che si può
definire "spirito di servizio". Non pongono a questo lavoro un fine
ideologico, nè un fine economico e di realizzazione di sè ( e questo è un
limite). Lasciano alla normale professione l'incarico di risolvere i
problemi dell'esistenza loro e della loro famiglia.
Perciò affrontano l'impegno di partito cone un'attività secondaria,
appunto, con SPIRITO DI SERVIZIO.

Diversa è la posizione dei giovani e meno giovani di sinistra: essi sono
ancora animati dall'ideologia della Lotta di Classe, di qualcuno CONTRO
qualcun altro, ed in fondo sono animati da uno SPIRITO DI DOMINIO ,
integralista e totalizzante.
Mediti il prof se è meglio questa gioventù oppure la prima.

Cordialità.
G. Pinciroli

18/11/2004

Illustre Dottor Carlo Pelanda,

Almeno è sempre stuzzicante leggere i Suoi dotti articoli, per quanto propone e per come si lasciano leggere, con linearità e scorrevolezza: lo so che Lei non abbisogna delle mie parole, ma è bello il poterglielo dire.

Ho appena letto il Suo articolo su il Giornale di oggi dal titolo “ Soluzione Tecnologica” che approvo in parte si ed in parte no, me lo consenta.

Trovo giusta la Sua idea di come reperire i fondi per l’abbassamento delle Tasse, facendo coinvolgere le “Grandi Società” , “ I Giganti Globali della Tecnologia” sfruttando ( brutta parola) i loro mezzi di ricerca megagalattici, citando nomi come Eds, Ibm, Sun, Microsoft, HP, Dell, A.T, Kearney, Accenture ecc.

Non mi sembra di aver intravisto, tra le Aziende da Lei citate, un nome che sia Italiano, o che si trovi nelle vicinanze ( per quanto mi consta di sapere): mi sono domandato pertanto, ma chi gliela fa fare ad uno di quei colossi, ad investire in Italia i loro denari: siamo così appetibili, secondo Lei ?: capisco che viviamo in un mondo globalizzato, ma  secondo Lei, il nostro “euro” ( che aborro) per loro, è così  appetibile ?: e se sì, crede si farebbero coinvolgere ?.

Che vantaggi ne trarrebbero nel nostro Paese, quelle Aziende, nel quale basta un Montezemolo qualsiasi, secondo me così sprovveduto nel posto in cui è stato collocato, che un giorno spara a favore e l’altro contro il Governo, a diventare Presidente della Confindustria italiana ( parole grosse) solo per le “aderenze”  avute con l’Avvocato ?.

 Sappiamo tutti che la nostra Italia non possiede grandi Industrie, e l’unica che avevamo, la Fiat, abituata a vivere attraverso sovvenzioni governative, oggi non può dare (se ha mai dato) nulla di positivo, avendo tali Dirigenti che la comandano: sappiamo tutti che chi ha portato avanti l’Italia negli anni, sono sempre state le Piccole Imprese, il così detto Terziario, e allora, è questa la sfida ?.

Come vorrei sbagliarmi, Dottor Pelanda, come vorrei che Lei avesse ragione, tanto da spazzare via tutta quella feccia Sinistra, parlamentare ed extra, alla quale, se andiamo avanti così, stiamo per consegnarle su di un piatto d’argento, la nostra meravigliosa Terra.          

Comunque un tentativo è lecito farlo: anch’io, se potessi, direi a Berlusconi, <<..provaci ancora Sam.. >>, parafrasando il film di Woody Hallen, e…complimenti per i Suoi scritti

Grazie in anticipo, se avrà la pazienza e voglia di leggermi, Edoardo A.        Padova        

16/11/2004

Caro Pelanda,
       e adesso? Con questo ministro dell'economia ( che potrebbe tranquillamente essere del centrosinistra ) e questa legge finanziaria ( leggi l'apprezzamento di Visco ! su La Repubblica dell' 11 novenbre) cosa resta del partito azzurro?
Cosa resta del ceto produttivo al potere?
Restano democristiani e post alleanza nazionalisi neo missini che stanno facendo il 99% della politica economica; restano milioni di cittadini delusi.
Otre ad una Confindustria che si rivela ottusa quando chiede sgravi per se a spese dei consumatori, come se avesse altrove per vendere i prori prodotti carissimi.
Liberalizzazioni, privatizzazioni, delegificazione, semplificazione burocratica, per non parlare di tasse ( +0,7 % nel 2003, fonte OCSE ) sono parole che da anni non hanno più senso.
Il bilancio dello Stato è diventato l'economia dell'Italia; questa cultura delirante, o solo furbetta, ci sta trascinando verso una marginalità ancora più periferica.
Qualcuno che afferma di capire di cose di economia si scaglia contro l'acquisto di aziende italiane da parte di stranieri; non sembrano in grado di capire che senza soldi non si fa nè una banca nè un'industria, nè si può mantenerla.
E che per avere soldi bisogna fare fatturato ed utili per anni.
A questo punto l'unica via d'uscita per Berlusconi è dimettersi, salvando quel poco di faccia che gli rimane, lasciando a Letta ufficialmente l'incarico.
Ogni altra soluzione confermerebbe i peggiori commenti che il premier ha ricevuto in questi anni.
Cordiali saluti

ROBERTO ALESSI

10/11/2004

Gentile prof. Pelanda

1) Per inciso, il botswana da me citato, era ripreso da un’indagine, dal resto da me non valutabile, che poneva il nostro paese dopo quello citato in una classifica di concorrenza  e quindi non c’erano meriti per il prossimo governo.

2) Circa il problema del debito pubblico americano c’è da dire che se fin dal prima dopoguerra si fosse adottata una moneta internazionale terza rispetto agli stati molti problemi si sarebbero potuti risparmiare. Curiosamente l’Euro, così svicolato dalle politiche nazionali, potrebbe servire meglio da valuta per gli scambi internazionali
Oggi gli americani possono pagarsi il loro debito stampando e facendo accettare la loro carta a tutto il mondo. Profondamente ingiusto. Certamente poco da “libero mercato”.

3) Proposta su lavoro:
libertà completa di licenziare, anche senza giusta causa, assunzioni determinabili con procedure certe, svincolate dall’arbitrio aziendale. Se uno perde il lavoro, sa quali corsi di aggiornamento deve fare per vedere minimizzato il suo tempo di attesa tra un lavoro e l’altro. Informatica per l’incontro tra domanda e offerta, mercato strettamente controllato dal potere pubblico.
Ci sarebbe pure una minimizzazione dei costi sociali di aggiornamento.

Regole certe uguali per tutti.

Suo

Giovanni Gualtiero

9/11/2004

Gentile Professore,
 mi complimento per il suo straordinario curriculum vitae e le esprimo la
mia piena ammirazione per il coraggio e la pregnanza delle sue posizioni
pubbliche (l'articolo di ieri sul Giornale del nostro Berlusconi e'
semplicemente geniale e sottilmente perfido: bellissimo quell'"idioti"
rivolto ai comunisti!!).
 Ma ho una domanda: come ha fatto a raggiungere quell'eccellenza in campo
accademico, se e' vero che l'universita' e in generale il mondo della
cultura e' egemonizzato dai sinistri e dai loro manutengoli?
 Voglia accettare i sensi della mia piu' profonda stima.
 Rino Costa, Udine

8/11/2004

Carissimo CP,
il tuo arrembante elzeviro di oggi, di cui sarai giustamente fiero e
compiaciuto,
dà, come pochi, voce articolata alle frustrazioni di una borghesia
moralmente ridotta a straccetto. Da apprezzare in particolar modo la tua
decisione di
attaccare la sinistra sul suo terreno, quello dell'etica, usando un'arma
impropria,
il concetto-categoria di superiorità, rientrante in quello
aristotelico-kantiano di
quantità. Ben sapendo, da grande stratega, che non sempre, ma talvolta
bisogna
ricordarsi di osare, avevi altrettanto ben presente il fatto che la suddetta
mano,
geneticamente e tradizionalmente meno abile dell'altra, anche a dispetto
delle iperproteine culturali di cui si nutre, aveva maldigerito e poi, senza
ritegno,
ricacciato in gola al Cavaliere lo stesso termine, quando osò adoperarlo in
favore
della civiltà occidentale. Salvo poi servirsene con disinvoltura ad uso
proprio e ad
ogni piè sospinto.
Un altro genio senza virgolette che sta giostrando in punta di fioretto, e
componendo in chiave di violino, è il solito Giuliano Ferrara, il quale con
aria sorniona fa sfilare su LA7 il peggio del peggio dell'opposizione (p.es.
Luigi  Manconi, uno che diceva: uccidere un fascista non è reato e che poi
si è messo a fare la guerra alla polenta e osei; Franco Grillini, uno che,
solo a vederlo, farebbe diventare eterosessuale anche P.P.P. buonanima,
etc.) e lascia che costoro, penosamente incartandosi, spostino i consensi in
nostro favore. Non dimentichiamoci: ormai l'elettore, come l'essere umano in
genere, è prima di tutto un telespettatore, cioè ragiona a due dimensioni.
Quanto meno, se già non lo è, lo diventerà presto: solo il teletrasporto
della
materia potrà soppiantare - sai tu quando - mamma-matrigna tv!
Insomma, dandoci un taglio: applausi, scappellamenti e complimentoni!
Ferruccio Sangiacomo

8/11/2004

grazie, dr. Pelanda per il suo intervento di oggi su Il Giornale.
Avevamo bisogno di questo!!
Finalmente, e con le giuste espressioni veramente adeguate ai sinistri!
Mi unisco al suo sentimento di esasperazione verso la cosiddetta classe intellettuale di sinistra-centrosinistra-gad-asinelli-somari-querce-tutto-quanto-ci-sia-di-botanico-e-animale-senza-l'uomo......

Lei, nel suo articolo, ha espresso quanto molti sentono, senza avere il coraggio di palesarlo.

Ne scriva ancora, almeno una volta alla settimana, sino a che, poco alla volta, le persone prendano coraggio e si ribellino anche loro alla sottomissione culturale sinistrorsa, che da decenni pervade la società a sua insaputa (della società, ovvio).

Cordiali saluti
Maria C. M.

5/11/2004

Caro Dottore, la cosa che riesce a darmi più fastidio adesso, dopo anni di sopportazione, è la pubblicità sui mezzi radio. Capisco che le società private o pubbliche addette alla bisogna debbano sopravvivere e anche guadagnarci, ma le modalità con cui finora hanno soddisfatto questa necessità non sono più sopportabili. Non si può più vedere un film, una cosa qualsiasi, senza essere interrotti dalla pubblicità, che ormai è diventata così sfacciata che io non riesco più a decifrarla e neppure a distinguerla l'una dall'altra. Occorre trovare un'altro sistema di finanziamento. Ecco la mia proposta: con l'avvento della TV digitale e la prevista fine delle trasmissioni analogiche, RAI e MEDIASET dovrebbero mettere in atto un sistema di pagamento analogo a SKY, pay per view. A scelta del cliente il o i canali da sottoscrivere, anche uno solo, tutti a pagamento, e cancellazione del canone, o meglio della tassa di possesso del televisore. Contemporaneo divieto di pubblicità via etere per chiunque. Una rivoluzione, ma salutare. Del resto non credo che sia la RAI che MEDIASET abbiano necessità di ingrassare. Questo é un servizio pubblico e come tale dovrebbe avere la sola necessità di mantenersi in vita. Le porgo i miei migliori saluti. Pierluigi Olmi- Chieri.

16/10/2004

Caro Pelanda

forse questa lettera le potrà sembrare disumana e se non avessi letto le tante missive inviate ai giornali (quelli liberi si intende come il Foglio, Il Giornale, Libero, Il Tempo) da parte di tanti italiani probabilmente non l’avrei scritta. Voglio però offrire anch’io il mio contributo alla campagna di linciaggio delle due Simone ( linciaggio è il termine usato a sproposito dai difensori delle due volontarie per definire le critiche loro rivolte e allora perché non accontentarli).  A differenza di molti miei connazionali, forse la maggioranza, non sono mai stato in pena per le due Simone quand’erano nelle mani dei rapitori. La Pari l’avevo ascoltata mesi fa nell’Infedele di Gad Lerner dove non aveva esitato a manifestare i suoi sentimenti profondamente antiamericani, non si era astenuta dall’attaccare il Governo Italiano e i militari in missione in Iraq e, dulcis in fundo, mi aveva fatto ribrezzo una manifesta esaltazione per la resistenza irachena senza alcuna condanna o riprovazione nei confronti dei tagliatori di teste. Per la Pari insomma erano gli americani i nemici da combattere e non i terroristi. Quando ho saputo del suo rapimento, francamente non ho gioito ma in fondo non mi sono nemmeno dato tanta pena. A rapirla erano stati i suoi amici iracheni, quelli che lei aveva fino al giorno prima difeso e protetto dagli odiati americani. Oggi non sono per nulla pentito di essermi comportato così e non posso che esprimere il mio più vivo compiacimento per la campagna di stampa che i giornali liberi le hanno scatenato contro. Non mi ha stupito il comportamento tenuto dalle due donne all’indomani della liberazione avvenuta grazie al contributo determinante del Governo Berlusconi che entrambe, all’arrivo all’aeroporto si sono ben guardate dal ringraziare. Del resto il governo è retto dall’odiato Berlusconi, amico dell’odiato Bush e alle due pasdaran della pace senza se e senza ma, significava chiedere davvero troppo. Certo se i loro amici iracheni invece di liberarle le avessero uccise, parenti e amici, tutta la sinistra, i pacifisti, i no global ecc. sarebbero scesi in piazza accusando Berlusconi e il governo di non aver fatto abbastanza per salvarle. Poiché ciò, fortunatamente  non è avvenuto, anzi il governo insieme alla Croce Rossa ha fatto il possibile per liberarle, non merita alcun ringraziamento quasi si fosse trattato di un atto dovuto, o meglio lo ha meritato solo in seguito all’indignazione di mezza Italia. Sempre però dopo il popolo iracheno e le associazioni pacifiste. In quel caso forse era meglio che avessero taciuto tanto la toppa è stata peggio del buco. In soccorso delle due Simone, attaccate a ragione dalla stampa libera per il loro scandaloso atteggiamento è scesa in campo l’Unità e naturalmente il telegiornale più rosso d’Italia, il solito, vecchio, fazioso Tg3.  Ma le lettere inviate al Foglio, al Giornale, a Libero, al Tempo da tanti lettori indignati dovrebbe far riflettere le due volontarie con i tacchi a spillo, farle desistere dal proposito di tornare in Iraq e soprattutto consigliarle di stare lontano dagli schermi televisivi evitando di sventolare quelle bandiere della pace che, contrariamente a ciò che pensano, non sono servite neanche un po’ a favorire il loro rilascio.  Se vogliono evitare ulteriori linciaggi a mezzo stampa, la migliore soluzione è infatti quella di chiudere la boccuccia e sparire per un po’ dalla circolazione. Con buona pace di chi già le vorrebbe candidate alle elezioni. Naturalmente a sinistra.

 Americo Mascarucci.

8/10/2004

Gentile professore

“E senza il loro effetto di compensazione della crescita zero dei mercati interni, i Pil delle nazioni dell’eurozona imploderanno di nuovo. Solo la riduzione robusta e competitiva delle tasse potrà evitarlo.”
del suo articolo di ieri non ho capito gran che a parte che serve una robusta riduzione delle tasse. Lei aggiunge anche competitiva, ma penso che l’aggettivo ci stia solo per la musicalità e il ritmo della finale.Non è ancora stanco, professore, di osannare l’inconcludenza economica governativa?Mi permetto poi di contestarle quell’”imploderanno” che per quel che ne so vuol significare un’esplosione verso l’interno, ma più che esplosione, verso l’interno o l’esterno di stagnazione dei Pil dobbiamo parlare.E non continui a scambiare per realtà rivelata una sua teoria (diminuzione delle tasse = crescita economica).Gualtiero Giovanni

8/10/2004

La Neuro-economia si pone la seguente domanda:
COME FA UN CERVELLO CALATO IN UNA PERSONA A PRENDERE DECISIONI ECONOMICHE?
Tre Premi Nobel per l'economia, Friedrich von Hayek, Douglas North e Vernon Smith, concordano sull'importanza di capire il cervello umano per meglio capire le radici della prosperità economica.
Douglas North, lungo tutta la sua carriera, si è arrovellato per risolvere un dilemma: COME MAI LA SPECIE UMANA NON RIESCE A TOCCARE LE VETTE DELLO SVILUPPO OVUNQUE NEL MONDO? La sua risposta fa intervenire le diverse percezioni che le diverse menti hanno del mondo circostante e gli effetti di questa diversità sulle decisioni e sulle attività economiche.
Von Hayek, da parte sua, sosteneva che la mente umana è emersa dalla continua sfida posta al cervello dal dover classificare ed organizzare l'informazione. Ciò che lui chiamò "ORDINE DEI SENSI" era la risposta al cosiddetto comportamentismo in psicologia, una concezione della mente che rischiava d'influenzare anche il pensiero economico. Era, invece, persuaso che la psicologia andasse intesa in termini di ordine mentale, frutto delle connessioni tra i neuroni del nostro cervello.
Quando Vernon Smith (insignito con il Nobel per l'economia nel 2002 assieme a Kahneman) decise di effettuare i suoi primi esperimenti di laboratorio sulle SCELTE ECONOMICHE, iniziò proprio con lo studio delle trattative di scambio, forse memore dell'assioma di Adam Smith, secondo il quale il desiderio basilare degli uomini è quello di barattare, scambiare e trattare il prezzo. I risultati di Smith dimostrano che le istituzioni economiche soddisfano una razionalità ecologica, in parte evolutasi dalla capacità del cervello umano di intrattenere scambi sociali.
ESPERIMENTO:
Immaginiamo di prender parte ad un esperimento per il quale viene garantito un gettone di presenza di 10 euro, sia a noi che ad una controparte. Seduti in isolamento, apprendiamo che siamo liberi di inviare quei 10 euro, o una parte, o anche niente, all'altro partecipante anonimo. Qualsiaisi somma decidiamo di inviare a questo sconosciuto sarà automaticamente triplicata quando gli arriva. Fin qui sembrerebbe un invito a fare la beneficenza all'altro giocatore. Ma poi viene il suo turno, e anche lui ora è libero d'inviarci qualsiasi somma compresa tra zero ed il triplo di quello che noi gli abbiamo inviato e che lui ha, in effetti, ricevuto. Sia noi che lui conosciamo le regole di questo gioco, e ciascuno sa che l'altro le sa. Che fare? Il dilemma è se fidarsi, ed inviare tutti i 10 euro, aspettando di riceverne indietro di più, oppure non fidarsi e tenerseli.
Joyce Berg, John Dickhaut e Kevin McCabe hanno cominciato nel 1994 una serie di esperimenti reali su situazioni come questa. Gli inverterati precetti della cosiddetta razionalità economica suggerirebbero di non fidarsi, assumere che l'altro si terrebbe tutto, e non inviare niente. La sorpresa fu,invece, che oltre il 60% dei soggetti, anche in condizioni di garantito totale anonimato, invia del denaro alla controparte. Di questi, oltre due terzi inviano 5 euro o più. La controparte,poi, "offre un trattamento equivalente" in almeno la metà dei casi.
Attualmente i neuro-economisti cercano di indagare le cause primarie di queste violazioni della razionalità economica convenzionale.
Innanzitutto ci si chiede come si sia adattato evolutivamente l'essere umano agli scambi tra persone.
Poi come fa il cervello a produrre i comportamenti che stanno alla base di questi adattamenti.
Infine come questi adattamenti possono influenzare le decisioni economiche dell'era moderna.
Per esempio: interiorizzare uno scambio sociale come un'occasione per mostrare fiducia all'altro, e per meritarsi la fiducia dell'altro, potrebbe impegnarci maggiormente a ricambiare con generosità. Questa ipotesi è stata messa alla prova da McCabe e collaboratori. In un articolo che uscirà sul prossimo numero del "Journal of Economic Behavior and Organizations", Mary Rigdon dell'Università del Texas a Austin, Vernon Smith e McCabe mostrano che il secondo giocatore è molto più incline a ricambiare, quando interpreta la mossa del primo giocatore come un gesto di fiducia.
Come sondare obiettivamente le interpretazioni della mossa di un giocatore da parte dell'altro giocatore?
Il funzionamento del cervello stesso può fornire una chiave preziosa. Con l'ausilio della risonanza magnetica funzionale, Dan Houser, Vernon Smith e Kevin McCabe, alla George Mason University, e Lee Ryan e Ted Trouard all'Università dell'Arizona, hanno verificato che DUE AREE DEI LOBI FRONTALI (denominate BA8 e BA10) SI ATTIVANO SE, E SOLO SE, IL SOGGETTO SI FIDA DELL'ALTRO GIOCATORE E SI DISPONE A RECIPROCARE. QUANDO LO STESSO SOGGETTO NON SI FIDA, O GIOCA CONTRO UN CALCOLATORE, TALI AREE CEREBRALI RESTANO INATTIVE. Già si sapeva che proprio queste aree sono coinvolte nelle rappresentazioni mentali dei rapporti con gli altri, e nell'attesa di una gratificazione imminente. Questi dati appena pubblicati sui "Proceedings of the National Academy of Sciences", confermano che l'ADATTAMENTO EVOLUTIVO ALLA FIDUCIA E ALLA COOPERAZIONE VIENE ESPRESSO IN CENTRI CEREBRALI SPECIFICI.
DISCUSSIONE:
Le potenziali conseguenze di queste ricerche per l'economia sono notevoli. Oggi come oggi, la chiave della prosperità economica sta nella capacità di negoziare con chiunque e ad ogni momento, senza sapere esattamente con chi stiamo negoziando. Le borse delle grandi capitali ne sono un esempio. Ma il nostro istinto, sviluppatosi lungo milioni di anni, è di entrare in trattative solo con coloro di cui ci fidiamo. Siamo a nostro agio, quindi, solo quando trattiamo con un numero ristretto di persone. Le istituzioni finanziarie internazionali, di conseguenza, devono sempre sforzarsi di garantire controlli adeguati, impedendo il degrado provocato da coloro che vorrebbero sempre e solo trattare tra di loro, in una cerchia ristretta, per ancestrale istinto. Un esempio, questo, di come i metodi e risultati della NEURO-ECONOMIA promettono di cambiare in meglio il nostro modo di pensare l'economia.
Disponibile ad ogni tipo di chiarimento
Porgo cordiali saluti
Lorenzo Polojac
www.imperator.cc

20/9/2004

Caro Pelanda,
anzi, Illustre dottor tetraspecializzato professor direttor Pelanda (capirà dopo il perché di questa sua ampollosa evocazione),
le scrivo per dirle che la correttezza non paga. Sono sposato da diversi anni con una laureata in lettere con il massimo
dei voti, che sogna da una vita di esercitare la professione di insegnante, ed è per me una grossa spina nel fianco tutta
la serie di angherie che ella deve sopportare, di riflesso, intendo.
Noi abbiamo la sfortuna di essere governati dalla borghesia di destra, o in alternativa, dalla borghesia di sinistra,
gente che non capisce (perché ne è ben lontana) la vita della gente media.
Ho visto che mi sono già lasciato prendere la mano dalla critica politica, che non è assolutamente un giardino a me noto,
ergo tralascio tutte le polemiche personali, anche sulle sviste (puntuali, sempre, every time, tout jour).
Anzi non le tralascio, come:
- il foglio non corretto e non valutato al concorso per immissione in ruolo;
- il superamento e la successiva esclusione dal corso abilitante per una numero di ore non sufficiente (una somma di cifre
appartenenti all'insieme dei numeri naturali, si fa a penna, o al pallottoliere, si rifà se c'è qualche anomalia,
mentre era corretto; scusa, se io metto 400, e la tua somma è minore, ti viene almeno il dubbio e rifai il conto?
No esclusa per mancanza requisiti, salvo poi riaprire il foglio, prendere il suddetto pallottoliere e vedere con un sorriso
ebete che il risultato era quello, ma ormai era tardi, ricorso gerarchico al TAR, milioni in avvocato (obviously without
fattura), e reintegrazione nel giusto;
- l'annuale sbaglio dei punti dichiarati al Provveditorato agli Studi di Latina;
- corsi di aggiornamento farsa, tenuti da chi ne samolto meno di lei, che sta' (non è un accento, è un apostrofo, elisione
della 't' latina di 'stat') per prendere la seconda laurea presso la Pontificia Università Lateranense, 3 punti
(al ginocchio), sta' finendo un master in storia del '900, inizia un corso specialistico di insegnamento a sordomuti,
che con me che l'accompagno (e la sprono a non fermarsi) segue a Roma seminari sulle ideologie politiche del '900, sugli
enciclopedisti medioevali, sugli ordini mendicanti, sulla storia moderna, sulla morale dell'epoca globale...
e mi fermo, tanto a parlar male non si finisce più.

Però quest'anno è stato fatto di più: ci sono autocertificazioni false, di titoli non validi, che al provveditorato hanno
accettato ad occhi chiusi, tanto le regole si fanno a posteriori, come l'attribuzione dei punti per servizio in zone
disagiate.
Ho preso una decisione: io sono solo diplomato, ma ho una gran faccia di culo, e quando riaprirà la graduatoria, mi iscriverò
come insegnante alle suddette, tramite una bella autocertificazione. Tanto fare i ricorsi ad ognuno dei punti di cui sopra,
tanto nessuno farà ricorso contro di me, perché costa soldi, poi, magari viene emesso un decreto, e il titolo falso diventa
vero e perdo capre e cavoli.

La saluto attribuendomi dei titoli che non ho, ma di difficile verifica, magari mi fanno preside...

dott.cav.avv.prof.grand'uff. Augusto Mennella Piovasco di Rondò, Signore di Rovigo e di Belluno, maestro Jedi,
conte di Montecristo e Duca di Orvieto, Barone di Munchausen e principe di Galles, Vescovo di Civitavecchia e e Parroco di
Maenza, sindaco di Frittole, primario d'ostestricia e andrologia (conosco bene le TDC) presso la clinica S.Maria del Folle
in Vaticano, acceleratore nuclecare al ciclosincrotone di Frascati, premio Nobel per la pace insieme a Sharon e Arafat
(dubito, comunque, che loro due l'abbiano avuto), emissario pontificio a Cuba, pilota di F24 e di Formula 1, cintura nera
di karate III dan, maestro muratore della massoneria, amico del colonnello Gheddafi, primatista mondiale del metro in
discesa, ospite della stazione internazionale come veterano delle Soyuz e dello Sputnik, medaglia d'oro al valor militare
e civile, croce di ferro del Reich, abate della certosa di Parma, confessore di Carol Woitila; attualemente in servizio
come ufficiale degli alpini presso la capitaneria di porto provvisoria presso la fossa immensa piena d'acqua sulla strada
in via degli Astrini in Santa Palomba fuori Pomezia; lavora anche nel gruppo che si sta' occupando di ritradurre in lingua
originale bibbia e vangeli, apocrifi e non, sta' scrivendo un vangelo; le tempo liberò da' lezioni di canto a Luciano
Pavarotti, di solfeggio al maestro Riccardo Muti e Claudio Abbado e di pianola a Stevie Wonder.

17/9/2004

Ho letto il suo articolo del 17/07 (il foglio) sulla situazione delle donne islamiche. (cercavo di vedere se da qualche parte c’era qualche accenno alla legge 40 e qui si parlava di femministe)

Qualche anno fa ho partecipato al funzionamento organizzativo di una mostra di un mio amico sulla scrittura iraniana, e ho potuto leggere un libricino sulla condizione femminile nel mondo islamico. Terribile.

Lo sa quale era un modo di riconoscere se un paesino afgano era nelle mani dei liberatori islamici o nelle mani degli oppressori sovietici? Se le bimbe andavano a scuola oppure no.

A proposito, il TG1 del 13 settembre informava che la CIA ha finanziato le milizie Afgane e Osama bin Laden fino all’agosto del 2001. praticamente hanno pagato il biglietto agli attentatori delle torri gemelle!!

E insisto: da che parte sta sul referendum intorno alla legge 40?

Suo

Giovanni Gualtiero

13/9/2004

Padova, 12 Settembre 004
Illustre Dottor Carlo Pelanda,
mi permetta di testimoniarle la mia gratitudine per il Suo dotto articolo apparso su il Giornale di oggi titolato “Governanti della Storia”.
E’ un articolo che mi auguro sia stato letto da molti lettori del nostro quotidiano, perché spiega, a mani aperte ed alla luce del sole, con dovizia di particolari, le vicissitudini tragiche che l’emisfero Occidentale sta passando per colpa del fondamentalismo Islamico, della Sua barbarie, di quello che si presenta come lo scontro più cruento e crudele tra culture, Occidentale ed Orientale, con chiarezza e facile assimilazione per chi legge.

Mi lasci spaziare, per un momento, nella fantasia del mondo verosimile e assurdo della celluloide, per fare un parallelo con Al Qaeda: si ricorda quando imperversava, con molta fortuna, la serie di films di “007”, con il “Bene”, rappresentato dal mondo cosi detto civile, ed il Male, impersonato dalla tanto attuale Spectre ?.

No,non voglio sembrarLe blasfemo, ne mancare di rispetto alle vittime umane che ogni giorno ci propone la tv nazionale e privata, e tanto meno al Suo scritto che considero una pietra miliare del giornalismo dei nostri giorni: ma in quelle menti, evidentemente malate, di popoli orientali islamici, dimenticati e anche sfruttati, da Dittatori prodotti dalla loro stessa specie, non crede che anche la visione di quei films, possa aver influito in maniera negativa e distruttiva ?: lungi da me sminuire le atrocità commesse da Al Qaeda.

Ma mentre in quei films, il Male, la catastrofe, viene sempre bloccata, sconfitta qualche secondo prima della fine paventata, i fatti che capitano nella vita ci dimostrano che le atrocità subite giorno dopo giorno, sono vere non verosimili, o assurde, come quelle proposte dall’arte del cinema, che per sembrare reali, devono essere più che mai verosimili..

Ciò che stiamo passando quindi, è un male che di giorno in giorno, diventa metastasi, se le nazioni tutte non collaborano tra loro, intervenendo con le proprie forze che tendono al fine di un bene comune: però dobbiamo affrettarci a capirlo, prima che la situazione diventi irreversibile.

La Francia, la Germania, in primis, devono smetterla di essere così extraeuropei e pensare unicamente ai loro interessi privati, invece di dare la priorità al bene supremo di tutta l’umanità: ci stiamo giocando l’esistenza di vita sulla Terra, e Lei, Dottor Pelanda, ha dieci, cento, mille ragioni, quando spiega quanto sia importante che l’America, con Bush, e l’Italia, con Berlusconi, hanno percepito in tempo l’immane pericolo: della coalizione Sinistra italiana meglio non parlarne e stendere un pietoso velo: è una questione genetica, un male congenito che abbiamo noi italiani, proveniente dai defunti regimi dell’Est: hanno paura delle loro ombre, e la confusione è totale nelle loro menti: per niente si affidano al prode Prodi, la nullità, per antonomasia.

Grazie ancora, Dottor Carlo Pelanda, e complimenti per i Suoi scritti.

Con costante stima, Edoardo
Argentino -Padova

13/9/2004

Gentile Professore, in genere condivido le sue analisi politico-strategiche, ma trovo manchevole il suo articolo su “Il Giornale” di ieri 12 /9/2004 dal titolo “Governanti della Storia”, non tanto per ciò che concerne le motivazioni che avrebbero indotto Al Qaida ad attaccare gli USA, quanto per le ragioni che avrebbero convinto questi ultimi a reagire nel modo a tutti noto.

Sul primo argomento mi sembra poco credibile che i capi di Al Qaida nel perseguire i loro obiettivi –così come Lei glieli attribuisce – abbiano omesso di valutare la reazione degli USA conseguente ad un attacco così efferato e proditorio. Non ci voleva molto per capire che il leone ferito, anche se allevato nella democrazia, avrebbe reagito sfoderando gli artigli con ciò vanificando la loro stessa strategia. Io non ho un’idea più realistica della Sua sui perché di questo attacco feroce quanto insensato, ma ritengo che una componente di pura follia alimentata - tra l’altro - dall’odio per i lascivi costumi di vita dell’Occidente abbia avuto la sua parte nel generare questo progetto schizoide e mostruoso.

Ma è sul secondo tema che dissento da Lei, ancorché parzialmente, soprattutto per ciò che non dice (volutamente ?). A mio avviso, infatti, il “piano di riordinamento globale” teso a contrapporsi a gruppi terroristi e Stati sostenitori, pur giustificatissimo sotto il profilo della legittima difesa, non sarebbe bastato da solo a scatenare l’azione americana contro il terrorismo, in particolare sotto la forma della guerra all’Iraq. C’è di più, c’è cioè un’esigenza di lungo termine, già individuabile nell’intervento in Afganistan, che conferisce logica completezza alla visione geostrategica degli USA e attribuisce la necessaria determinazione all’intervento militare, finalizzato a conseguire risultati polivalenti, nell’area mesopotamica: la Cina, o meglio la necessità di creare per tempo barriere difensive all’inevitabile espansionismo cinese, del quale una delle linee di forza passa sicuramente per le contigue aree dell’Asia Centrale, la cui rilevanza strategica per l’Occidente non abbisogna di commenti. E quale miglior garanzia in tal senso di una presenza militare americana o comunque di Stati legati agli USA nella regione? Il colosso cinese per ora abbisogna di quiete (condizione, questa, che tra l’altro dovrebbe essere sfruttata dall’Occidente per coinvolgere la Cina nella guerra al terrorismo)  perché deve crescere ancora e colmare il divario che in molti campi lo separa ancora dal mondo occidentale. Le sue enormi potenzialità sono peraltro già evidenti nel settore commerciale dove la competizione sembra volgere in suo favore. Il futuro non troppo lontano vedrà una nuova superpotenza affacciarsi sulla scena del mondo e sarà sufficientemente minacciosa perché gli USA abbiano inteso prendere preventive misure per arginarne il prevedibile strapotere.

Lei potrà obiettare che non ci sono prove per dimostrare tale tesi ed io non ho obiezioni da formulare. Ma se nella sua qualità di politologo e studioso di strategia globale il presidente degli Stati Uniti (Clinton o Bush) Le avesse chiesto negli anni passati (dopo la fine dell’URSS) chi sarebbe stata la prossima potenza mondiale a contendere il ruolo degli USA cosa avrebbe risposto? Sarei perciò oltremodo sorpreso se valutazioni di questo tipo non avessero avuto un peso rilevante nella decisione di Bush di portare i marines sulle sponde del Tigri e dell’Eufrate.

Conclusione: concordo sulla sua diagnosi, ma aggiungo un aspetto, a mio parere decisivo, circa la decisione USA di attaccare l'Iraq per debellare uno Stato nemico e sostituirlo con uno amico. Che poi ciò divenga realtà è un'altra faccenda.

Mi scuso per la lunghezza della missiva e ad evitare ogni equivoco e non passare per uno convinto che gli USA sono andati in Iraq per il petrolio La informo di essere stato favorevole all’intervento e di difendere a spada tratta le ragioni dell’Occidente e il ruolo fondamentale di Bush, Berlusconi e (mi lasci aggiungere) Blair in questo delicatissimo e pericoloso frangente della nostra storia contemporanea. Voglia Iddio che Lei sia nel giusto quando scrive  “……stiamo vincendo”

La ringrazio per la cortese attenzione e nel comunicarle le mie generalità (Giuseppe Zuccarini generale dell’Esercito nella riserva - Perugia) Le invio i saluti più cordiali.

8/9/2004

Gentile Sig. Pelanda,

 
in primo luogo mi scuso di toccare un argomento risalente a qualche
giorno fa, tuttavia mi è parso interessante farLe avere la mia opinione
e qualche osservazione che formlo in spirito di amicizia e serenità,  sul suo pezzo "Il partito ottimista" apparso lo scorso 3 settembre su "Il Giornale".
 
Vorrei partire proprio tracciando un paragone con il suo "vicino" di
pagina, il Sig. Socci, semplicemente per segnalare in primo luogo
quella che mi semra una differenza notevole tra il Suo pezzo e quello
dedicato al caso dell'eutanasia infantile in Olanda. La differenza è
nella sostanza e nell'argomentazione, elementi che - mi permetta -
trovo assai carenti nel Suo contributo. Non sono assolutamente
d'accordo con quanto espresso da Socci, tuttavia, condivisibile o no,
il Suo collega è riuscito a esprimere un contenuto concreto. Mi pare
invece che Lei, su un tema così rilevante come la sfida Bush-Kerry, si
abbandoni a considerazioni piuttosto fumose, oltre che gratuite e non
argomentate.
 
Naturalmente qualcosa di più consistente si legge fra le Sue righe, ci
mancherebbe; e, se non è certo quanto basta, mi pare, per un articolo
di commento che sia davvero informativo, potrebbe essere interessante
sviscerarlo dalla matassa delle semplificazioni e dalle Sue
affermazioni espresse più come semplice opinione che come conseguenza
di un'argomentazione coerente.
Naturalmente Lei è libero di assumere per sé ogni punto di vista, credo
però che - quando ci si accinge a commentare la realtà dalle pagine di
un quotidiano autorevole - sarebbe benvenuta un po' di concretezza ed
obiettività.
 
I commentatori politici non parlano volentieri di ottimismo, di solito
questa parola ha - piuttosto a ragion veduta - una brutta fama. In
genere l'ottimismo, quando è isolato e non accompagnato dai fatti, è
l'ultimo rifugio prima dell'ammissione di un fallimento.
I problemi in cui versano gli Stati Uniti, e con essi il mondo, non si
possono certo liquidare con generiche professioni di ottimismo. Né -
considerando i "risultati" della dottrina Bush - vedo come si possa
essere ottimisti dopo due interventi militari in Medio Oriente che, non
solo non hanno risolto il problema contingente (terrorismo e
integralismo), ma lo hanno addirittura peggiorato e moltiplicato! Né si
può credere all'ottimistica buona fede di un'amministrazione
responsabile di gravissimi scandali che hanno impoverito fette
consistenti di risparmiatori americani o - peggio ancora - di politiche
vlte a danneggiare gravemente l'ecosistema, che appartiene a TUTTI e
non certo agli USA e al relativo elettorato.
 
Naturalmente Bush sa che l'ottimismo è la prima molla dell'economia,
perché rilancia i consumi, ma se non è accompagnato da fatti che lo
giustifichino, da un reale miglioramento delle condizioni di vita - e
della propensione a spendere, frutto della sicurezza - esso non serve a
nulla, se non come patetico alibi di fronte a un elettorato giustamente
perplesso. Il punto è che i consumatori, negli USA e altrove, si sono
sentiti traditi dalle mancate promesse del liberismo. Insomma, sentono
molto più convincenti la precarietà e i tagli, di qualunque professione
di fede nel progresso.
 
Trovo assai pericoloso, sul piano del rigore intellettuale, plaudire,
come Lei fa alla "profezia ottimistica". Da un lato perché ritenenvo di
essere ormai uscito, con buona pace di ogni "credente", dal mondo e
dale epoche dei profeti. Credo anzi che gettare i profeti - di
qualunque sorta - nella pattumiera, sia una buona pratica di salute
mentale e segno di vera razionalità. Preferisco sinceramente il peggior
"cacadubbi" (parole sue!) al miglior profeta possibile, se non altro
perché il dubbio, per restare nell'ambito scatologico, è il miglior
concime del pensiero. Puzzerà, ma, usato con misura, fa crescere buone
idee. I profeti, invece, chissà perché, di solito sono sempre ostili a
chiunque faccia uso del proprio cervello e a chiunque accampi dubbi in
merito alle loro premonizioni.
 
Come lei amo gli individui attivi, non è quindi per contraddirla a
tutti i costi che Le scrivo, come vede, ma è prerogativa dell'uomo
attivo anche non credere a nessun profeta e non abbandonarsi a un
incosciente "fede nel progresso". Questo male, l'abbandono fideistico
alle "magnifiche sorti e progressive" non è stato un problema esclusivo
del fronte liberista (che per necessità ha bisogno di consumatori
incoscienti e tranquillizzati), ma ha caratterizzato, in tempi meno
recenti, buona parte del pensiero cosiddetto "di sinistra", che ha dato
corso al mito dell'inevitabile vittoria del socialismo.
Essere contro i profeti, tuttavia, non implica rinunciare a fare
previsioni. La differenza è che la previsione - che può essere comunque
smentita dalla realtà, mai completamente prevedibile - si sostiene su
fatti, dati, e argomentazioni, limitate, occasionalmente fallaci, ma
almeno basate sulla razionalità; la profezia si affida al nulla e sul
niente costruisce le sue illusioni.
 
Per questo mi spaventa un po' questa idea: il partito che potrebbe
essere confermato a capo dell'unica superpotenza rimasta si affida alle
profezie, piuttosto che all'analisi dei fatti. A dispetto di quanto Lei
afferma, la volontà da sola, sia pure la buona volontà, non basta.
Sicuramente può essere in qualche modo una scusante morale. Si può
andare fieri, anche nel fallimento più totale, per aver anche solo
"espresso la propria volontà". È una morale che faccio mia per via
della pratica delle arti marziali, ma non mi sognerei mai di
propagandare questa mia convinzione come una prassi razionale,
tantomeno come prassi politica. Il fideismo ottimista è al contrario il
trionfo dell'irrazionalità.
 
Credo, in breve, che i mali denunciati dalla "sinistra", relativi a una
gestione miope della crisi economica e politica in atto, siano delle
minacce concrete e degli elementi che a lungo andare - se non muteremo
radicalmente attitudini e mentalità - cambieranno, in peggio, le nostre
vite. E credo anche che il liberismo economico senza freni sia un male
persino peggiore del comunismo più retrivo. E - Le assicuro - non sono
mai stato un comunista. È proprio questa constatazione che mi spaventa.
Peraltro non credo neppure che Kerry sia una "reale" alternativa a Bush
e che la sfida tra i due sia l'ennesimo tentativo di mascherare una
agenda politica sostanzialmente unitaria delle élites statunitensi.
Insomma scegliere tra Bush e Kerry ha lo stesso senso che scegliere tra
Caligola e Nerone. Sono entrambi esponenti delle stesse élites e
desiderano le medesime cose, la differenza è solo che Bush è più
arrogante e grossolano del collega, per cui è facile farlo sembrare la
"pecora nera" della famiglia. Ma sulla questione Bush-Kerry ho parlato
a lungo sul mio Blog.
 
Francamente, nelle sue parole: «al diritto alla pigrizia promosso dalla
sinistra» non leggo che un'accusa troppo generica e fumosa per essere
presa sul serio. Tanto più che Lei popone come soluzione un paradosso
evidente: "usare le risorse pubbliche - comunqe derivate da meno tasse"
(...). In merito alla filosofia sono d'accordo con Lei - niente di
meglio che insegnare a ognuno, nei limiti delle sue possibilità, a
essere padrone dei propri destini. Non capisco però come lo si possa
fare per una ragione semplicemente matematica: è impossibile sostenere
le necessità (autoformazione, lavoro, emancipazione, sicurezza
economica...) di frange crescenti di popolazione, vuoi per rgioni
squisitamente demografiche - l'invecchiamento medio delle popolazioni
dei paesi evoluti - vuoi per ragioni contingenti (crisi economica
galoppante), con meno risorse. La Sua ricetta: "più possibilità per
tutti con meno risorse" somiglia tanto all'albero degli zecchini di
Pinocchio o a proclami che hanno dimostrato la loro inefficacia. Con
meno risorse è possibile fare - a parità di conduzione ottimale e
riduzione quasi assoluta degli sprechi, quindi nella migliore delle
situazioni - meno, molo meno di quanto sarebb possibile fare dirottando
il danaro speso, per esempio nelle economie doi guerra, ad altri usi e
incrementando la spesa sociale.
 
Sul "disaccordo amchevole" credo - e concludo - che ci sia
semplicemente poco a dire: la Casa dellle Libertà è abbastanza coesa e
coerente nella difesa dei propri interessi da non aver bisogno di
incentivi per l'unità. E non credo afatto a certa sinistra che  dipinge
la compagine di governo come lacerata. Lo è solo in superficie, ma
nella sostanza mi pare assai concorde. Questo, almeno, dovrebbe
rassicurarLa.
 
Con i miei più cordiali saluti e ringraziamenti.
 
Furio DETTI
6/9/2004

Caro Pelanda

Se vivessi negli Stati Uniti e avessi l’opportunità di votare alle presidenziali di novembre voterei senza esitazione per la riconferma di George Bush. Il tanto contestato presidente guerrafondaio merita a mio giudizio la rielezione a pieni voti. Anzi, le dirò di più: se gli americani dovessero preferire lo sfidante democratico allora le dico sin da subito che perderei la stima e la grande considerazione che ho sempre nutrito per il popolo americano. Premetto che il mio non è un giudizio politico. Non mi importa se Bush sia repubblicano o democratico. A me piaceva anche Clinton e ritengo sia stato un ottimo presidente, scandali a parte. Ma la presidenza Bush è stata caratterizzata dalla tragedia dell’undici settembre 2001, da quelle due torri crollate a terra e da ventimila vite umane spezzate per sempre. Vite di persone innocenti, padri e madri di famiglia che non avevano nessuna colpa se non quella di essere americani. Mi sento dire che la guerra contro Saddam  Hussein non andava fatta così come quella in Afghanistan. Il dramma dell’undici settembre però non lo hanno vissuto gli europei, francesi o tedeschi che siano, ma il popolo americano. Che cosa doveva fare un presidente Usa democratico o repubblicano? Restare con le mani in mano? Aspettare con pazienza il prossimo attentato? Lasciare impunito un crimine tanto efferato? Affidarsi all’Onu o alla Comunità Internazionale che, come ha ricordato Oriana Fallaci nella sua recente auto intervista non sono mai stati in grado di cavare un ragno da un buco? Bush ha fatto quello che era giusto fare e cioè colpire i paesi che hanno dato appoggio al terrorismo e che costituivano un pericolo per il mondo occidentale. In Afghanistan è caduto il regime dei talebani che aveva negato ogni libertà alla popolazione riportandola ad una condizione pre medioevale. Il reporter di guerra Mimmo Candito in un suo libro di qualche anno fa ha raccontato nei minimi dettagli alcune scene raccapriccianti viste in quel paese governato dai talebani. Come ad esempio l’esecuzione di un uomo accusato di omicidio sgozzato in mezzo ad uno stadio dal fratello dell’ucciso il quale dopo, si è lavato il viso con il sangue del giustiziato. Come dimenticare poi i magnifici Buddha  distrutti a cannonate  perché offendevano l’Islam. Ebbene oggi in Afghanistan i talebani non ci sono più così come in Iraq non c’è più Saddam Hussein che presto dovrà rispondere dei crimini compiuti negli anni della sua spietata dittatura. Nessuno ama la guerra ma è fuori dubbio che in certi casi la democrazia si può esportare solo con le armi.

Se l’Afghanistan e l’Iraq torneranno ad essere due paesi normali sarà solo grazie all’intervento militare degli americani e dei loro alleati. Certo, c’è il problema del terrorismo: ma sono stati proprio i terroristi a dichiarare la guerra all’Occidente con la strage dell’undici settembre. E’ ridicolo affermare che il terrorismo sia la conseguenza della guerra in Iraq. Tutti nei giorni successivi all’undici settembre ci siamo stretti intorno al popolo americano, ma poi sono stati pochi coloro che si sono ricordati di quel dramma. Tanti, che all’inizio avevano espresso solidarietà all’America, sono poi scesi in piazza a sostegno della resistenza irachena, bruciando le bandiere Usa. Hanno pianto i civili iracheni morti sotto le bombe ma si sono dimenticati dei morti delle torri gemelle e dei carabinieri di Nassiriya. La guerra al terrorismo deve proseguire senza sosta. E’ un dovere soprattutto di fronte alle barbariche esecuzioni di occidentali che ci vengono continuamente trasmesse dalla televisione araba. Una sconfitta dei repubblicani potrebbe risultare una resa dell’America di fronte ai terroristi come avvenuto in Spagna. In questo momento non sono ammesse debolezze. Per questo spero che a novembre trionfi George Bush.

 

 

Americo Mascarucci

19/8/2004

Gentile professore

Il “no” dell’Europa per il calo delle accise sulla benzina è incomprensibile.

Mi ricordo che in situazioni analoghe, negli anni precedenti si ricorse alla riduzione delle accise.

Gli altri paesi Europei che fanno?

Certo che la guerra in Iraq non ci voleva.

Io lo dicevo sempre, se anche gli altri paesi vogliono un’auto a testa sarà il disastro.

Forse qualche investimento, magari pubblico, per ricerche su come estrarre benzine dal carbone …..

O forse cambiare volano, più trasporto pubblico e meno trasporto privato.

Giovanni Gualtiero

18/8/2004

E' di questi giorni il dibattito sulla valorizzazione dei beni patrimoniali pubblici che il Sottosegretario all'Economia Gianluigi Magri stima in circa 200 miliardi di euro e che sono ancora in parte da individuare.

Dall'altro lato il Ministro Urbani si lamenta per la riduzione delle potenzialità di spesa del Suo Ministero che non riesce a far fronte alla cura dei beni artistici pubblici.
Queste due esigenze possono,e credo debbano,trovare una giusta soluzione con solo un pò di coraggio,assimilando i beni artistici a quelli immobili e nello stesso modo valorizzandoli.
Ad oggi l'attenzione è tutta rivolta ai beni immobiliari che saranno oggetto di un'operazione di sell and lease back:ciò potrebbe essere fatto anche con i beni artistici pubblici puntando ad un ricavato rilevante per le Finanze di Stato con il medesimo meccanismo.
Tutti gli edifici pubblici hanno beni ed arredi artistici che sono di proprietà pubblica e che svolgono funzioni decorative e funzionali costituendo però un costo per le necessarie manutenzioni e non dando nessun reddito.
La grande maggioranza di essi non hanno nessuna caratteristica che li renda essenziali per il patrimonio artistico nazionale da essere dichiarati inalienabili:anche se lo fossero in alcuni casi potrebbero essere notificati per impedire la loro esportazione ma il dispositivo non annullerebbe il senso dell'operazione.
La loro presenza all'interno degli edifici è ormai ritenuta essenziale anche ai giusti fini di rappresentanza istituzionale.
Si può quindi ragionevolmente pensare alla vendita di questi beni ad un fondo d'investimento,magari riservato agli investitori qualificati,che li valorizzi e li riaffitti alle stesse amministrazioni assicurando un reddito sicuro a lungo termine oltre alla rivalutazione del patrimonio.
E pensiamo a ciò che giace nei magazzini od è obliato in alcuni uffici(il patrimonio artistico IRI/Rai può essere un esempio).
 
giancarlo graziani
17/8/2004

Stimatissimo dott.Pelanda,

mi chiamo remo francia e leggo sempre con estremo piacere i suoi inserti sul Giornale,
è evidente il suo campo professionale, ma fra i tanti temi e problemi toccati, non ho mai letto, da parte sua, l'argomento del petrolio correlato all'economia.
Le sarei molto grato se gradisse spiegarmi alcuni non interventi delle autorità occidentali su queste mie considerazioni:
a) la domanda determina il prezzo di vendita di ogni tipo di prodotto.
b) più alta è la richiesta più alto è il prezzo di vendita.
c) questo è quanto avviene da molti anni a questa parte per il caro petrolio.
Domande:
               è evidente che l'occidente, più di ogni altro paese nel mondo necessita per il suo sviluppo di una sempre maggiore quantità di greggio; lo stesso greggio è dagli occidentali trasformato in prodotto al consumo, ricavandone già un quadagno.vero?
Ora noi tutti sappiamo che i paesi produttori del petrolio, necessitano, per attivare l'estrazione del greggio di tegnologia che loro non hanno.
Sono carenti di ogni tipo di prodotti diciamo moderni,alimentari,industriali ecc.ecc.
Bene, se questa è la realtà ed i nostri cari amici produttori non sono in condizione di calmierare i prezzi a livello mondiale( non lo vogliono fare,il loro è unicamente un ricatto, esistono molti modi per islamizzare l'occidente,leggere a questo proposito il corano) perchè il mondo occidentale continua a farsi ricattare e non impone un allineamento dei prezzi di vendita dei prodotti occidentali, legandoli alla domanda greggio=prodotti industriali: prodotti industriali = greggio, in funzione della richiesta?
E' vero che noi necessitiamo del petrolio e non potremmo forse farne ,oggi a meno,
ma quanto tempo potrebbero resistere gli arabi senza le nostre materie prime?
Noi un'alternativa la possediamo, anzi più di una, ma questi nababbi che utilizzano la loro ricchezza naturale, solo per arricchire se stessi e non il popolo, ridistribuendo il
quadagno sulle masse come facciano noi, quanto potrebbero resistere senza i nostri prodotti che solo in piccolissima parte finiscono al popolo?
Per certo avrebbero molte rivoluzioni bolsceviche in casa.
Se lo desidera mi può dare una risposta?
Cordialmente remo francia.
14/8/2004

Caro signor Carlo, ho letto l'introduzione al suo libro.
Prima che mio cugino economista ruoti il tiro delle sue batterie nella sua
direzione, lasci perdere la balla del Futuro che il suo capo tenta
invano di strappare alle sinistre con i suoi milioni di posti di lavoro

Come sanno bene gli Ammiragli e Gianfranco Fini la velocità non è nulla
se non si dispone di una buona corazzatura.

Pero' lei non ha tutti i torti a dire che la lentezza è pericolosa. Al
contrario di quello che affermano matematici, Achilli e Tartarughe, una
serie a termini infinitesimi si ammoscia e schiatta.

Forse il Futuro l'ha trovato l'ineffabile Monsieur Carteron da Monte
Carlo.
Ha scritto un libro "La fin des arrogances" che tradotto in Italiano
vuol dire "La fine della vostra arroganza e l'inizio di quella mia"

saluti e metta on-line foto migliori: quelle che ho visto mi sembrano una
versione vampiresca di Al Bano
--Ferrante

12/8/2004

Gentile Carlo Pelanda,
la minaccia iraniana e la difficoltà di
affrontarla in modo efficace mi spingono a formulare un'ipotesi, sulla
quale sarei interessato ad avere un suo parere.

Mi pare che i termini
del problema possano essere così sintetizzati:

1) un'azione militare
diretta semplicemente a fermare i piani atomici del regime avrebbe
costi molto elevati, scatenando un'ondata di terrorismo e portando
Teheran a destabilizzare l'Iraq e benefici limitati nel tempo, perché
il progetto potrebbe riprendere tra qualche anno

2) la
destabilizzazione del regime dall'interno, attraverso il sostegno a
dissidenti e gruppi di opposizione avrebbe tempi troppo lunghi,
rispetto al rischio imminente di un Iran nucleare

3)l'invasione
dell'Iran sarebbe avversata dalle opinioni pubbliche, creerebbe
divisioni nella comunità internazionale e comporterebbe i costi  e le
difficoltà evidenziate dall'esperienza irachena

Esiste una quarta
ipotesi? Si può determinare il cambio di regime in Iran in tempi brevi,
senza un'invasione e una successiva occupazione?
In particolare,
sarebbe possibile un guerra aerea diretta contro il regime, un attacco
a sorpresa che elimini i vertici della Repubblica islamica, i quadri
del regime e l'apparato di forza islamista, lasciando deliberatmente
intattte le forze armate e creando un vuoto di potere che possa essere
riempito dagli oppositori ? Magari prima del 22 agosto, tanto per
andare sul sicuro?

Cordiali saluti
F. M.

24/7/2004

SCUSATE L'INTRUSIONE, MA...

Domani a L'Aquila avremo i primi cinque laureati del Corso di Laurea in Scienze dell'Investigazione.
Per noi è un avvenimento; ne parlerà anche l'opinione pubblica
(ad esempio, in data 20 luglio dovrebbe uscire in proposito un articolo sul quotidiano LIBERO, che segue altri articoli apparsi recentemente sul VENERDI' DI REPUBBLICA e vari altri organi d'informazione).
Mi è sembrato opportuno informare amici e conoscenti che in vario modo potrebbero essere interessati a questa notizia.

Saluti a tutti e auguri di buone vacanze,
Francesco Sidoti
http://criminologie.net

22/7/2004

Caro Pelanda,
      a quanto pare siamo giunti alla fine della corsa, che purtroppo
 tale non è mai stata. La speranza di traformare l'Italia in un paese
 civile capace di affrancarsi da una classe dirigente cialtrona ed
 incapace sta naufragando.
 Gli ultimi episodi: consistente aumento della tassazione sulla casa e la
 nomina di Buttiglione alla carica di commissario europeo, sono il
 sintomo finale di un degrado fatale dell'esperienza iniziata pochi anni
 fa. Non si è varata alcuna riforma importante, si continua ad aumentare la
 pressione fiscale ed i balletti attorno alle poltrone ricordano tempi
 che speravamo morti e sepolti.
 Il "ceto produttivo" ha oramai perso ogni illusione ed è senza punti di
 riferimento.
 Gli errori si pagano, e questo è stao un errore fatale: dare ad una
 pletora di democristiani un numero enorme di seggi sicuri e quindi di
 scranni parlamentari ha decretato la morte annunciata del governo
 Berlusconi e la sua impossibilità a fare quello che andava fatto.
 Ma c'è Gianni Letta...
 Comunque oggi il governo potrebbe chiamarsi Rumor o Andreotti nulla di
 diverso ne nascerebbe.
 Avere il coraggio di rovesciare il tavolo e chiamarsi fuori dalla
 tramoggia che sta distruggendo il primo  e ( per molto tempo a venire)
 unico partito liberale mai nato in Italia!
Ma, caro amico, non accadrà; peccato, dobbiamo rassegnarci a vivere nel
 paese delle occasioni perdute.
 Saluti.

 Roberto A  Arezzo

12/7/2004

SIAMO ALLA FRUTTA
Alleanza Nazionale : siamo alla frutta. Storace e Matteoli danno i numeri. Dall' autoreferenziale adunata -. ad Orvieto - della cosiddetta destra sociale, la nuova boutade : l'Alemanno come ideale ministro dell'economia. Ma vogliamo scherzare ? E tutti gli Altri, in An, che fanno ? Silenzio assoluto....Nessuno ha il coraggio di raccogliere la nostra sfida : riunite il Partito ovvero i circoli territoriali e di ambiente, di tutta Italia, almeno tutti quelli rimasti e che non avete - ancora - distrutto, e avrete la risposta, idonea, che meritate. ( Arturo Stenio Vuono - Napoli )*

12/7/2004

Falce e martello - peretta e succhiello.
Un pò come ai vecchi tempi: libro e moschetto - fascista perfetto.

E' un grande piacere leggere alcune grida così velatamente
antiberlusconiane tra le lettere che arrivano a codesto sito. Si trova a
volte tra esse la dimostrazione scientifica, la prova provata della
giustezza dell'analisi antropologica di Giovanni Guareschi. Esistono
veramente degli esseri umani a cui, a colpi di succhiello, è stato
perforato un canale di drenaggio tra la narice destra e quella sinistra;
quel canale che Guareschi chiamava con padana ironia "terza narice".
Una vera e propria "Terza via" attraverso la quale, con l'aiuto di una
peretta più o meno grande, secondo la capienza dell'involucro, prima si
risucchia l'Ideale precedente e poi, dopo adatto lavaggio contro il
marciume residuo,si reimmette l'Ideale aggiornato.
Oggi questo canale quasi quasi non si percepisce, con le techiche
laparoscopiche lo fanno piccolissimo. Le operazioni di aggiornamento del
cervello le fanno con dei tubi capillari finissimi e flessibili. Ti fanno
dei veri ricamini, non rimane segno visibile. In un futuro ormai prossimo
anche questo sarà preistoria: la sostituzione dell'Ideale avverrà con il
cambio di un microchip: si evita la marcescenza del materiale, quella
dello spirito è congenita, non si può far niente.
Con un sondino ti estraggono il chip della "gioiosa macchina da guerra" e
ti introducono quello della "guerra giudiziario-mediatica", ti estraggono
quella della "moderazione pre-elettorale" e ti introducono quello di
"dagli al puzzone!" , ti estraggono il programma "Europe forever" e ti
immettono "Fedro, se non sei stato tu allora fu tuo padre, mehercule! "
Tutto ben coordinato, come nel branco dei lupi.
Pochi si avvedono del cambiamento del giochino in quella specie di
Play-station che diventa il cranio con drenaggio, finchè questo tace. Il
dramma arriva quando comincia ad esternare! Mamma mia, scappate, scene da
malavita!
Me ne ricordo in particolare una , di queste storie, risale ai tempi di
Bassolino vicerè.
Entrò in voga il videogame "Patria". Nel caso del personaggio l'operazione
ebbe qualche intoppo e se ne ottenne la coloritura con una leggera
balbuzie: "P-P-Patria!" .Si sa, l'emozione: la cosa è grossa.
Da quel grido di dolore "Patria, sì Patria, non vi sorprenda questa parola
detta da uno di noi...P-Patria!"
In quel momento scomparvero cinquant'anni di sovietismo, di grande madre
Russia, di vilipendio della nazione e delle forze armate, di sputi alle
forze dell'ordine , di Piesse-Esse Esse, di vilipendio di Giovanni Leone
con gentile signora e relativi figli, di sarcasmo sull'Italia: da quel
momento tutti i drenati divennero aedi cantori di gloria patria, maestri
di canto d'inno nazionale, direttori d'orchestra della Canzone del Piave.
Lasciamo stare le belle ciao, non ne usciremmo più.
Perchè poi qualunque cosa nuova facciano, i drenati negano di essere mai
stati quelli di prima, essi sono maestri in quello che pensano oggi: hanno
la maestritudine congenita. Eliminata la RAM dal cranio non si ricordano
di nulla, hanno nuova vita, identità e memoria.
In questo somigliano ai DemoCratici rilasciati per buona condotta.

Prima o poi arriverà il gioco del "Perfetto liberista" Allora tutti gli
economisti saranno sorpassati in tronco, i drenati saranno i nuovi guru
Lib-Lab oppure Neo-Con o anche Neo-lib-con-lab.
Intanto dovunque governino, dopo pochi anni la gente si trova alla fame o
con duemilionicinquecentomila per dieci alla nona lire di debito. Tanto
qualche santo provvede.

Tanti saluti G. Pinciroli

P.S. Il mio frisson su LCdM era sacrosanto: "L'italia è una repubblica
democratica fondata sulle fondazioni"
Ri- saluti.

11/7/2004

Guevara soffriva d'asma e, proprio per non darla vinta alla malattia, si
 dedicò con fanatismo alla pratica sportiva in molteplici discipline, dal
 rugby al salto con l'asta: è notorio che Follini, a causa dell'allergia
 sviluppata nei riguardi del Cav, si sta esercitando in una specialità
 tipicamente democristiana come il salto della quaglia, per seguire le orme
 di campioni affermati del calibro di Mastella e Cirino Pomicino. Il
giovane Fuser, laureato in medicina dopo un breve innamoramento per l'ingegneria,
si specializzò in allergologia, probabilmente sempre in conseguenza dell'asma
 che lo affliggeva: il supcomandante udicino trascorre le notti nella
 compulsazione frenetica dei testi sacri del biancofiorismo storico,
cercando il centro di gravità permanente cantato dal maestro sufi Battiato.
 L'Ernesto, inseguendo la fama nel campo scientifico, sterminò i gatti del
 quartiere dove abitava per i suoi esperimenti: il Marco si limita
 ossessivamente a ripetere che non c'è trippa per i gatti maniaci delle due
 aliquote al fine di dimostrare che le tasse fanno bene alla salute.
Infine, per sconfiggere il dittatore cubano Batista, il futuro 'Che' non esitò a
 imbarcarsi su una carretta dei mari chiamata Granma per raggiungere con
 un'ottantina di disperati l'isola caraibica: Follini sta progettando il
varo di un traghetto dal nome beneaugurante di Mamma DC per imbarcare un 4% di
 matti decisi a rovesciare il tiranno Silvio. Strasburgo sarà la sua Sierra
 Maestra? Si stanno assoldando truppe boliviane per contrastare il
pericoloso guerrigliero.

                            Giovanni Maria Mischiati - Torino

11/7/2004

La corte internazionale dell'Aja ha letto la sua sentenza! Pollice verso per Israele. Smantellare la barriera di sicurezza perche' contraria al diritto internazionale e perche' , secondo i giudici dell'ONU, non e' un deterrente del terrorismo.
E Israele ringrazia.
Da quando c'e' la barriera il terrorismo e' a crescita zero, e' diminuito del 90% non perche' non ci siano piu' terroristi ma perche' non passano piu'. La barriera salva le vite degli israeliani, dunque vi siete sbagliati signori giudici!
Mentre voi della Corte leggevate il vostro responso in Israele si piangevano i morti innocenti, i bambini bruciati vivi, le famiglie distrutte e in alcuni casi scomparse del tutto. Mentre leggevate la vostra iniqua sentenza, signori giudici, Israele capiva una volta di piu' di essere l'unico paese al mondo di cui non si vuole riconoscere il diritto all'esistenza.
E Israele ringrazia.
I giudici dell'ONU, sprezzantemente, non hanno tenuto conto dei dati che si possono leggere sul sito del Governo di Israele, dati chiari e lampanti:
Negli undici mesi trascorsi dalla costruzione del primo segmento di barriera all'inizio del mese di agosto 2003, fino alla fine di giugno 2004, i gruppi terroristici che fanno base in Samaria (Cisgiordania settentrionale) sono riusciti a realizzare solo tre attentati mortali all'interno di Israele. Tutti e tre questi attentati sono stati realizzati nella prima metà del 2003, causando 26 morti e 76 feriti o mutilati. (In due casi, i terroristi erano penetrati in Israele dalla Cisgiordania settentrionale attraverso punti in cui la barriera non era ancora completata; nel terzo caso, una donna terrorista era entrata attraverso il passaggio di Barta'a, utilizzando un passaporto giordano).
Per contro, durante i 34 mesi precedenti, dallo scoppio delle violenze palestinesi nel settembre 2000 fino all'inizio della costruzione della barriera difensiva verso la fine di luglio 2003, i gruppi terroristici con base in Samaria avevano realizzato 73 attacchi mortali (attentati suicidi, sparatorie, auto-bomba) all¹interno di Israele, provocando 293 morti e 1950 feriti o mutilati.
Di questi 73 attentati, 32 (per un totale di 45 morti e 723 feriti o mutilati) erano stati realizzati dopo l'inizio dell'Operazione Scudo Difensivo (31 marzo 2003) con la quale le Forze di Difesa israeliane erano state rischierate in tutta la Cisgiordania per la prima volta dopo i ritiri del 1994-1999.

Il confronto fra i dati sopra citati mostra dunque un calo di poco più del 90% nel numero di attentati nella parte di Israele protetta dalla barriera: da una media di 26 attentati all'anno prima della barriera, a una media di tre attentati all'anno dopo la barriera. A questo calo, corrisponde una diminuzione di più del 70% nel numero di israeliani uccisi negli attentati: da una media di 103 all'anno prima della barriera a una media di 28 dopo la costruzione della barriera. Analogamente, il numero di feriti e mutilati è diminuito di più dell'85%: da una media di 688 all'anno prima della barriera a una media di 83 dopo la barriera.
Quindi, alla luce di questi dati statici, possiamo tranquillamente affermare che i giudici della Corte dell Aja non riconoscono a Israele nemmeno il diritto alla difesa.
E Israele ringrazia!
Quando si e' aperto il processo il gruppo israeliano Zaka, con l'aiuto degli Evangelici, ha portato davanti al tribunale dell'Aja l'ultimo autobus esploso, un ammasso di lamiere contorte dentro le quali erano rimaste imprigionate e bruciate vive decine di vittime innocenti. Lo avranno visto i giudici? Lo avranno guardato bene? Avranno pensato ai loro figli vivi mentre i bambini degli israeliani contro i quali avrebbero legiferato erano morti assassinati da bombe umane?
Avete pensato a questo signori giudici? Credo di no e per questo, per questa vostra mancanza di umanita'
Israele ringrazia.
Quattro anni fa Israele, incredulo, si era visto aggredire dalla piu' feroce e tremenda guerra di terrorismo mai vista al mondo. Migliaia di attentati, quotidianamente saltavano per aria autobus , ristoranti, bar, stazioni degli autobus. Nessuno in Israele era sicuro, chi usciva di casa non sapeva se vi sarebbe ritornato vivo, nessuno sapeva se avrebbe rivisto i figli o i genitori. I funerali , le lacrime, la disperazione scandivano la nostra vita. Ogni giorno per quattro lunghi.
Il terrore, il panico erano i nostri sentimenti. Ogni giorno per quattro lunghi anni.
In questo periodo Israele, difendendo il suo diritto alla vita colle unghie e coi denti e col suo valoroso esercito, e' riuscita a sgominare le organizzazioni del terrore.
Arafat, il mandante, e' stato imprigionato a Ramallah, i capi piu' pericolosi sono stati ammazzati e arrestati. Ci siamo difesi strenuamente per la sopravvivenza e abbiamo vinto.
Abbiamo vinto la sesta guerra per l'annientamento ma abbiamo fatto i conti senza l'oste perche' le vittorie di Israele chiamano sempre odio, odio implacabile e rabbia, rabbia feroce.
Questa vittoria di Israele sul terrorismo palestinese non e' stata accettata dal mondo, gli e' rimasta la' come un cipollone che non va ne' su ne' giu' e ci ha fatto capire quanto il cipollone sia duro da digerire condannandoci per l'ennesima volta.
Hanno dato un'altra vittoria ai nostri assassini, hanno voluto far vincere Arafat che infatti sta gongolando felice di non essere stato tradito dei suoi amichetti.
Il terrorista piu' coccolato del mondo e' soddisfatto di voi, giudici dell'Aja. Non lo avete deluso. Gli avete dato nuova linfa vitale, gli avete coperto le spalle, avete giustificato e approvato i suoi crimini. Avete stretto la sua mano sporca di sangue.
Giudici dell'Aja, avete sputato, insieme a lui, sui nostri morti.
E Israele ringrazia.
Deborah Fait.
www.informazionecorretta.com

10/7/2004

Quelli che lavorano al dopo Berlusconi

Nell’ultimo decennio la coalizione di centro destra si è contraddistinta per la fedeltà alla sua guida, che non è mai stata messa in discussione, né quando gli attacchi più veementi sono piovuti dalla magistratura, né in occasione di sconfitte elettorali. Silvio Berlusconi indubbiamente faceva comodo, ed è sempre stato al comando dell’alleanza senza indugi. Ma dieci anni di leadership sono logoranti, soprattutto per chi è restato nell’ombra, pur ambendo ad un ruolo diverso. Così è forte la tentazione di immaginare scenari fino ad oggi appannaggio esclusivo del centrosinistra, famoso per fare terra bruciata intorno al suo leader di comando, scelto dalla coalizione ma mai condiviso e amato.
Mentre l’Ulivo ha sempre puntato alla vittoria nelle varie tornate elettorali, arrivando alla resa dei conti interna in modo spesso squallido, con largo anticipo sulle scadenze elettorali, ma senza compromettere l’asse antiberlusconiano, il centro destra si è adagiato sulla figura di Silvio Berlusconi e sulle sue capacità catalizzatrici. Non esiste, infatti, nella coalizione una personalità di spessore qual è quella rappresentata da Silvio Berlusconi; Fini e Casini, ovvero i leader dei due principali alleati di Forza Italia, per quanto abbiano lavorato faticosamente all’affermazione della propria immagine e credibilità politica, mostrano ancora evidenti limiti che difficilmente ne fanno potenziali candidati premier. Restano le personalità esterne, vicine all’area della maggioranza. Tra queste, il Governatore della Banca d’Italia, Fazio: ma gli scandali finanziari che hanno travolto il nostro sistema imprenditoriale, con la chiara responsabilità di quello bancario e la conseguente lacunosa vigilanza dell’Istituto, oltre al lacerante conflitto “personale” che ha contrapposto il Governatore della Banca d’Italia all’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, hanno seriamente compromesso la credibilità di una candidatura che sarebbe stata di tipo tecnico, prestandosi quindi ad un possibile cambio in corsa del governo Berlusconi.
Sarà forse pura e semplice fantapolitica, ma l’asse costituito da An e l’Udc sembra intenzionato a lavorare ad un progetto di lungo periodo volto a liberarsi dell’abbraccio invasivo e onnicomprensivo di Silvio Berlusconi, portandolo ad una sicura sconfitta alle politiche del 2006, per poter riscrivere il quadro politico e di alleanze. Solo una netta sconfitta, infatti, legittimerebbe gli alleati a cercare delle alternative. Non trascurando tutti gli scenari possibili, con l’eventuale dissoluzione di Forza Italia o con una sua sopravvivenza nonostante il partito del premier stia vivendo una crisi strutturale di grandi proporzioni. In ognuno di questi casi, tuttavia, si aprirebbe la strada ad un altro abbraccio “politico” ad una lobby di potere economico e finanziaria che si è affermata in questi anni nel nostro Paese e che ha in Luca Corsero di Montezemolo il suo esponente di spicco e quello a più alto impatto mediatico. Nei suoi primi discorsi da Presidente di Confindustria, del resto, è sembrato ascoltare più le parole di un politico che quelle di un capo industriale. E Montezemolo sta costruendo proprio quella immagine già di per sé vincente, con la definizione di una serie di punti che potrebbero costituire l’asse portante di un progetto politico.
Silvio Berlusconi è ormai una figura troppo ingombrante per gli alleati di centro destra, incapaci di brillare di luce propria, e sembrano non essere casuali le voci che dalla maggioranza si sono levate in questi giorni. La leadership berlusconiana può essere scalfita solo da un gruppo di potere tanto forte quanto vincente. E l’unica in questo momento credibile è proprio quella dei Montezemolo boys
Paolo Carotenuto
www.legnostorto.com

10/7/2004

Gentile professore
Ha visto futurizzano i debiti. Alla proposta di Tremonti di ipotecarsi le case i cittadini hanno risposto con un mare di risate. Purtroppo questi lanzichenecchi hanno tutto un patrimonio pubblico da scialacquare. Solo i figli degeneri si mangiano il patrimonio di famiglia o i truffatori glielo svendono. Il nostro caso.
Che vergogna.
Ho sentito adesso che Pisanu propone agli anziani le caserme dei pompieri, dopo la proposta di Sirchia dei supermercati. Noi ridiamo, ma domani ci venderanno anche le nostre case?
Ma come fa a frequentare gente così squallida?
Giovanni Gualtiero

9/7/2004

Parenti di Berlusconi, almeno sino al 7mo. grado, COSTITUITEVI !
 Anche se infanti o minori, COSTITUITEVI !
 Che il parlamento vari una legge che renda ILLEGALE, il DNA di
 Berlusconi.

                   G. Vigni

9/7/2004

Banana-behaviour-economy

 Egregio professore, devo essere invecchiato, non capisco più niente.
 Assisto stupito all'esternazione del Prof. Polojac sulla "behaviour
 economy" e mi trovo d'accordo con lui solo sul fatto che la roba mia, a
me, è più cara che la roba degli altri.
 Mi sembra una cosa positiva che all'uomo oltre che la razionalità piaccia
 il ghiribizzo, il desiderio, la voglia, il capriccio: è il sale della
 vita... cosa saremmo sennò? Degli svizzeri infelici!
 Non conosco i taxisti di New York, conosco i cottimisti della Val
Brembana: quando c'è da guadagnare non si fermano finchè c'è ancora un soldo da
 intascare. Terminano il lavoro sfiniti, ma contenti e col portafogli
pieno.

 E guardi che anche i cottimisti pugliesi e calabresi si comportano così.
 Sono gli impiegati del catasto a comportarsi diversamente, o i lavoratori
 delle "Repubbliche Popolari".

 Vero è che c'è una componente "comportamentale" nell'economia, come in
 tutte le cose umane,ma quanto esposto dal porf. Polojac è una grandezza
del terzo-quarto ordine rispetto ai "fondamentali". Anche questi famosi
 "fondamentali dell'economia" si basano sul comportamento delle persone. Ad
 esempio: " Io lavoro se posso godere i frutti della mia fatica" . Invece
il mettere in primo piano  l'aspetto comportamentale "EFFETTO DOTE" enunciato
 da Polojac mi pare il paradigma del non-ragionamento: inventiamo un
 concetto e poi cerchiamo nella realtà quelle poche cose che lo possono
 dimostrare. Ad esempio diciamo che "quando piove l'acqua va dal basso
verso l'alto" e poi andiamo a cercare quelle poche gocce di rimbalzo che
 dimostrano il nostro enunciato.
 Bè, dopo Galileo la scienza va in modo diverso: "Prima sono le cose e poi
i nomi delle cose". Ciò sta a dire che dall'osservazione del reale si deduce
 la teoria, non il contrario. Ma forse la psicologia è differente.
 Cordialità - G. Pinciroli

7/7/2004

Le deviazioni dalla razionalità della teoria classica
L'esperimento sull'"EFFETTO DOTE" mostra che l'attaccamento alle cose che possediamo altera la percezione del loro valore

Non è sorprendente che le decisioni degli uomini comuni che abitano il mondo che ci circonda devino in vari modi dalle decisioni degli "eroici" uomini economici che popolano il mondo ideale della teoria della scelta razionale. Pochi di noi sarebbero disposti a ritenere che i propri simili siano perfettamente razionali. Siamo consapevoli di essere fallibili, di avere limitate capacità di calcolo, limitato accesso alle informazioni, poca memoria e anche questa poco affidabile. Nella vita di tutti i giorni amiamo, soffriamo, proviamo gioia, paura, rabbia, e altri sentimenti che condizionano le nostre scelte in modo poco "calcolato". Non che gli economisti ne siano meno consapevoli, tuttavia hanno a lungo ritenuto che le deviazioni dal comportamento razionale fossero trascurabili per spiegare il comportamento aggregato degli attori economici ed il funzionamento dei mercati.
La "Behavioral Economics" (Camerer, Loewenstein, Rabin e coll. Princeton University, 2004) mette in discussione questa convinzione di fondo. Venti anni di ricerche sperimentali ed indagini sul campo documentano che le violazioni della razionalità sono abbondanti, diffuse e sistematiche; e, come tali, esercitano un peso considerevole sul comportamento economico. Si prenda un concetto cardine dell'economia come quello di PREFERENZA. In riferimento alle preferenze la teoria della scelta razionale fa alcune assunzioni che sono intuitivamente plausibili, matematicamente trattabili ed empiricamente controllabili. Una di queste è che le preferenze siano "invarianti" rispetto alla transitoria posizione patrimoniale dell'individuo.
Con un semplice esperimento, Dick Thaler ha mostrato che, per quanto plausibile, questa assunzione non è sempre valida. Molti di noi, infatti, risentono dell'"EFFETTO DOTE": richiediamo cioè per un bene in nostro possesso più di quanto noi stessi siamo disposti a pagare per averlo.
Ecco l'ESPERIMENTO:
Una classe di studenti di economia viene divisa a caso in due gruppi. Ad un gruppo viene regalata una tazza, una di quelle tipiche tazzone da caffè americano con il logo dell'università ben stampato. Fra i due gruppi viene bandita un'asta allo scopo di verificare quanti dollari chiedono i possessori di tazza per separarsi dall'oggetto che hanno ottenuto in dote solo pochi minuti prima. E quanti dollari sono disposti a pagare gli studenti senza tazza per averne una.
RISULTATI: i possessori di tazza non sono disposti a vendere mediamente sotto i 5,25 dollari. Gli studenti senza tazza non sono disposti a comperare mediamente sopra i 2,75 dollari. Il solo fatto di essere divenuti proprietari di un oggetto (anche piuttosto insignificante) è sufficiente perchè quell'oggetto venga istantaneamente valutato da chi lo possiede quasi il doppio rispetto a chi non ce l'ha.


L'effetto dote è connesso ad un altro fenomeno particolarmente pervasivo: l'"AVVERSIONE ALLE PERDITE", per cui la disutilità di una perdita è maggiore dell'utilità di una vincita delle stesse dimensioni.
Per vedere questo effetto in azione, occorre lasciare le asettiche aule universitarie per il mondo "selvaggio" dei "taxi drivers". Colin Camerer e colleghi hanno notato che i tassisti di New York sono abituati a decidere quante ore lavorare ogni singolo giorno in base ad un obbiettivo di guadagno: raggiunto il quale, "smontano". I tassisti pertanto lavorano meno ore nei giorni "caldi" di quanto facciano nei giorni con poca richiesta. Durante i primi, banalmente, hanno bisogno di meno tempo per raggiungere il loro obbiettivo. Dal punto di vista della scelta razionale i tassisti dovrebbero sostituire lavoro e tempo libero inter-temporalmente: lavorando quindi più ore quando il tasso di salario è alto e consumando più tempo libero quando quest'ultimo "costa meno", cioè quando il salario cui si rinuncia è basso. I risultati dell'analisi sul campo evidenziano invece una correlazione negativa tra ore lavorative e tasso di salario giornaliero, in linea con il principio di avversione alle perdite. Il fallimento nel raggiungere l'obbiettivo di guadagno è percepito dal tassista come una perdita, per compensare la quale egli è disposto a lavorare più a lungo; al contrario, il fatto di superare l'obbiettivo è percepito come una vincita, ottenuta la quale egli è meno incentivato a lavorare.


L'attenzione rivolta al comportamento effettivamente osservato dell'uomo di strada piuttosto che al comportamento idealizzato dell'homo oeconomicus, aiuta a farsi un'idea degli obbiettivi della neodisciplina. Più precisamente, la "Behavioral Economics" mira ad "accrescere il potere esplicativo dell'economia dotandola di basi cognitive più realistiche", nella convinzione che, importando nella teoria economica gli aspetti procedurali delle decisioni individuali, sia possibile generare nuovi e più plausibili modelli teorici, migliori predizioni e scelte di politica economica più efficaci. Questo approccio non implica il rifiuto in blocco del modello neoclassico. Anzi, la cosiddetta "Rational Economics" continua a costituire il punto di riferimento teorico, in virtù della sua plausibilità normativa; e quello metodologico, in virtù della sua trattabilità e generalità. Tuttavia, invece di considerare non falsificabile la teoria neoclassica, l'economia cognitiva rivendica la fertilità delle confutazioni empiriche in prospettiva di una nuova sintesi "quasi razionale".
Certo, una lista di violazioni ad una teoria - per quanto ben documentata - non costituisce ancora una (buona) teoria alternativa. Lo riconoscono anche Colin Camerer, Gorge Loewenstein e Matthew Rabin: la "Behavioral Economics" si presenta oggi come "una collezione di strumenti o di idee" piuttosto che come una teoria unificata; "uno stile di modellizzazione dei problemi" piuttosto che un paradigma scientifico pienamente articolato. Ciononostante, la loro speranza è che i modelli psico-economici si rivelino presto empiricamente ben fondati, predittivamente accurati e formalmente trattabili. A quel punto - come già è accaduto per lo sviluppo delle scienze più mature - è possibile che le ristrette assunzioni della razionalità economica saranno considerate come un caso speciale di una teoria della razionalità più generale fondata su basi cognitivo-comportamentali. A giudicare dai contributi di Camerer e colleghi, è una speranza ben riposta.



Disponibile ad ogni tipo di chiarimento
Porgo cordiali saluti ed un augurio di una buona estate 2004


Lorenzo Polojac
Psicologo e Responsabile Commerciale Imperator S.r.l.
Trieste
www.imperator.cc

7/7/2004

Caro Pelanda

di fronte alle immagini dei prigionieri caduti nelle mani dei guerriglieri islamici e sgozzati come capre, c’è ancora chi ha il coraggio di parlare di “civiltà” islamica. In nessun paese occidentale si sono mai viste scene del genere. Si è fatto un chiasso incredibile sulle torture dei soldati americani ai danni dei prigionieri iracheni. Tutti ci siamo indignati di fronte a quelle immagini, che tuttavia non rappresentavano affatto gli Stati Uniti e il popolo americano, ma personalmente mi sono altrettanto indignato nel vedere il mondo islamico scendere in piazza protestando contro la violazione dei diritti umani.  La sinistra, con le Lilli Gruber e i soliti No Global alla Gino Strada hanno dato man forte alle proteste degli iracheni unendosi alla richiesta di giustizia. Naturalmente quanti si sono indignati per le scosse elettriche sui prigionieri iracheni se ne sono altamente fregati dell’americano costretto ad inginocchiarsi davanti al video con le braccia legate dietro le spalle, circondato da islamici incappucciati che in nome di Allah gli hanno piantato un coltello alla gola, lo hanno sgozzato fra strazianti grida di dolore e il sangue che scorreva come un fiume sul pavimento. Poi non contenti di ciò hanno alzato la testa mozzata e l’hanno mostrata al mondo intero come un trofeo di guerra. Ho visto le immagine su internet e un brivido di terrore mi ha gelato tutto il corpo. Mi viene da ridere a pensare che ci sono personaggi come Dario Fo che nel 2004 ancora parlano della Santa Inquisizione e dei roghi del Seicento senza accorgersi che in alcune parti del mondo avvengono atrocità come queste. E mi viene da ridere a pensare che in Italia dobbiamo discutere delle pazzie di un certo Adel Smith che ci parla di tolleranza religiosa chiedendo di togliere i crocefissi dai locali pubblici. Da che pulpito arrivano certe prediche. Non si possono accettare lezioni da chi professa una religione che nel 2004 taglia le teste, lapida le donne considerate immorali, costringe le adolescenti alla tortura dell’infibulazione e manda i propri figli al martirio trasformandoli in bombe umane. Senza essere razzista io mi ritengo orgoglioso di appartenere al mondo occidentale che, nonostante le Lilli Gruber, gli Agnoletto e i Gino Strada è decisamente superiore culturalmente e umanamente alla presunta “civiltà” islamica.

 Americo Mascarucci

5/7/2004

Pregiatissimo dr. Pelanda,

 
mi riferisco all'editoriale "PUNTI FERMI" apparso su "Il Giornale" il 25 giugno scorso, e mi complimento con Lei per l'analisi dura ma vera che ha effettuato, e che condivido in pieno.
Ho 40 anni, sono funzionario di banca, e sono diventato missino a 16 anni, più per anti-comunismo che altro. Non vado a votare da 5 anni, dopo esser stato un attivista del partito, e questo perchè sono schifato dal comportamento dei politici che purtroppo pensano troppo ai loro interessi e pochissimo a quelli del Paese.
Le dirò che ora però l'incazzatura è tale, soprattutto verso AN ed UDC, che ho deciso di togliere per sempre il mio voto al partito di Fini.
E' proprio vero, per un misero 1% guadagnato, statalisti del calibro di Alemanno sono pronti a buttare tutto a mare certi di rappresentare quei 4 parassiti assistiti che li hanno votati, ma non si rendono conto che il ricco e produttivo Nord Est ne ha le tasche piene di questi teatrini, della burocrazia, dell'assistenzialismo, e così facendo guadagnano un voto per perderne 5, ma il bello è che se si finisce all'opposizione, ci si rimane per 50 anni, e chi la sdogana più Alleanza Nazionale???
Sono davvero abbattuto, mi cadono le braccia a vedere che si stanno cercando tutti i mezzi per frenare il cambiamento, si sta evocando addirittura il ritorno al proporzionale.
Se Berlusconi durante i primi 100 gg avesse fatto una riforma delle pensioni seria, non una slavarita come quella che forse prenderà vita il 19 luglio, se avesse fatto passare l'art. 18 alla faccia di quei comunisti che vivono al di fuori dalla realtà, se avesse tagliato le spese inutili a molti ministeri ed enti che molto consumano e poco producono, avremmo già ora dei grandi benefici e saremmo il traino dell'Europa, invece no, bizantinismi e beghe clientelari, poche riforme vuote e, bisogna ammetterlo, molti provvedimenti pro Berlusconi.
Perchè non si valorizza il turismo, le opere d'arte, le piccole e medie imprese, la ricerca, le nuove iniziative private, nuove centrali (anche nucleari) e si parla invece di contributi a pioggia, di scaloni che saranno a regime tra molti anni, di generici aiuti au Sud che poi finiscono nelle mani della crimnalità organizzata???
Il colmo è che a sinistra non c'è nessuno di presentabile, e anche se ci fosse sarebbe ostaggio di Bertinotti e Diliberto, e stiamo pian piano consegnando loro su un piatto d'argento la possibilità di governare dal 2006, ad una coalizione quindi che applicherà delle regole di mercato bocciate dalla storia il 9 novembre dell'89. Speravo tanto di non finire nelle loro mani, ma dei galletti vanitosi (Fini e Follni) ed un leader troppo pieno di sè (Berlusconi), stanno trasformando in realtà quello che fino a poco tempo fa credevo impossibile.
Ogni popolo ha il governo che si merita. Che Dio ci assista!
 
             La saluto con stima.
 
                 Marco Nardon.
                    Trento.
5/7/2004

Padova, 5 Luglio 004
A voglia di leggere il mio lenzuolo ?
Caro Dottor Pelanda,

dopo aver letto il Suo articolo su il Giornale di oggi, mi domando e mi ripeto, come darLe torto ?.
A parte il fatto che per le questioni in corso, di cosa stia accadendo politicamente ad alcuni Partiti della nostra Cdl da più di un anno a questa parte, mi sono imposto un rigoroso “silenzio stampa”, della serie <….un po’ per celia e molto per non morire……>, mi permetto di domandarLe due cose tra il serio ed il faceto:
1° ) – In coscienza, reputa positivo il momento scelto da alcuni partitini, dopo le elezioni Amministrative testè svolte e conseguenti risultati, per sconvolgere a tal punto quegli accordi tra Loro discussi, concretizzati e pattuiti anni or sono, per dare inizio ad una Coalizione di Governo, in quelle “Officine di lavoro” dove parlavano di cambiare l’Italia e dare una decisiva svolta, per liberarla dal giogo dei Paesi Comunisti, ad indirizzo Marxista, cartista, massimalista, nichilista, populista, retaggio di epoche non lontane ?; non ci stiamo godendo ancora Cossutta e Bertinotti ?.

Dove è finita quella unione di intenti comune nella coalizione, che doveva prevalere sugli interessi delle singole e pur lecite identità interne ai partiti stessi ?; dove finiranno i nostri voti preferenziali, profusi a braccia aperte, nelle elezioni politiche del 2001 se continueranno queste litigiosità ?; ma quei partitini che ci hanno sconvolto, sanno di sperperare un patrimonio di voti e di maggioranze, mai concretizzatisi nei governi della nostra Repubblica ?; possibile che non abbiano ancora capito che per cambiare volto all’Italia non serve una sola Legislatura ?.

2°) Come pensa che il villano, il cittadino, l’elettore comune, per esempio di Gallipoli, possa aver recepito le Sue dotte parole, come <…la riforma fiscale richiede una composizione tra la visione tecnica e politica del liberismo e quella delle tutele sociali…..> ?; sono certo che neppure”il Massimo” ne abbia colto il significato.
Il cittadino, secondo me, quello di Gallipoli e dintorni in particolare, ha bisogno di semplicità di idee, di comunicabilità, di comprendere che nell’ economia, la riduzione delle tasse è necessaria ed urgente, che la sicurezza venga garantita a tutti, che la Legge, la Magistratura, la Polizia, i Carabinieri, siano dalla sua parte; che in Italia, nelle nostre Città, nelle nostre contrade, nelle nostre case, c’è bisogno di semplicità politica, di chiarezza, di sicurezza di arrivare alla fine del mese; lo so che non scopro nulla di nuovo; questo per dire che le litigiosità da cortile si pagano, eccome.
Ma Fini, Follini, Calderoli ( in mancanza temporanea di Bossi) se lo sono scordato questo assunto dogmatico ?; non sono loro ed unicamente Lo- ro, i politici politicanti della coalizione ?; Il Presidente Berlusconi, nonostante gli errori, ha avuto il grande merito di denunciarlo in partenza, dichiarandosi sempre di non considerarsi un “politico di razza” , bensì un imprenditore, compresi pregi e difetti, confidando nelle persone che aveva scelto e che ora si stanno comportando come dei Giuda iscariota.
Secondo Lei, Dottor Pelanda, i voti degli elettori, come si conquistano ?; nella maniera e forma di come si sta comportando Berlusconi, tentando di portare a termine il suo programma di Governo, oppure come ha fatto D’Alema, il Massimo che, secondo i suoi kompari di falce e martello, ha compiuto il beau-gest, dimettendosi, a mio avviso, invece, per paura di affrontare la realtà che io chiamo, senza se e senza ma, codardia, falsità, di un leader che per non perdere la già persa faccia, si è eclissato nel ventre di “Icarus”, attendendo che torni la bonaccia ?.

P.S. So di aver esposto il fianco ad una frase che mi attendo dal Suo acume di Uomo di spirito <….è questo il suo rigoroso silenzio stampa…..>.(ma se fosse stato un discorso politico, non avrei scritto in questo modo).
Con la stima di sempre, suo
Edoardo Argentino -Padova

2/7/2004

Egregio Pelanda,

l'odierno suo articolo su "il Giornale"" non fa una grinza.

Le allego un mio scritto che speravo Feltri pubblicasse, ma evidentemente non ha ritenuto di poterlo fare.

Per meglio conoscere la realtà italiana col suo "scontro di civiltà" Le invio anche un'altro scritto intitolato "Le due culture di potere".

Li legga: vi sono contenute osservazioni e dati che potranno esserLe utili.

Cordiali saluti

Aldo  Reggiani

 

   Egregio  Feltri,

se l’articolo di Morra “Chi vuole la testa del Cavaliere” sintetizza la volontà degli “zombies” del passato di ritornare ad un nefasto feudalesimo da Prima Repubblica, l’articolo di Veneziani, che esorta Berlusconi a fare meno il re, tenta di giustificare le manovre di palazzo propedeutiche a che la Bisanzio  paventata da Morra  ritorni al potere.

Le vere ragioni dell’incanaglirsi di An ed Udc stanno, però, nel fatto che Berlusconi non solo non è stato digerito a sinistra ma che, soprattutto, è rimasto indigesto al centro ed alla destra.

Se infatti (come sicuramente succederà) malgrado il digrignamento di denti degli alleati di Fi, Berlusconi riuscirà a portare a termine il programma e, cosa altrettanto importante, riuscirà a far percepire agli italiani che, se veramente si vuole, le cose, anche in questo disgraziato (in senso politico) paese, si riesce a farle, per  Fini e Follini (oltre che per l’attuale sinistra) sarebbe la fine. Nessuno tace che le famose politiche sociali, soprattutto per il sud, non sono sociali per niente bensì  frutto di quell’assistenzialismo che lungi dal premiare le persone oneste ed in gamba ha creato un bacino di finti disoccupati, finti indigenti, finte “vittime del sistema”  che invece lavorano in nero ma che vanno ad ingrossare le allarmistiche statistiche diffuse dai mezzi di comunicazione.

Quando Berlusconi, uomo pratico e che conosce la realtà delle cose, disse che i lavoratori di Termini Imerese, nel caso  fossero stati licenziati dalla Fiat, avrebbero svolto uno o due lavori invece che due o tre,  fotografava una realtà diffusissima nel nostro stivale: si prese degli insulti solo perché diceva che il re è nudo.

Il pericolo a cui Fini e Follini espongono la nazione è ben più grave del semplice ritorno ad un governare in modo confuso ed inadeguato un paese che si trova oggi a competere con paesi europei che da tempo si sono dati strutture  “fisiche” (ferrovie, autostrade, porti ed aeroporti) di trent’anni avanti a quelle italiane e strutture amministrative agili ed al servizio dei cittadini ( in cui la produttività nell’impiego pubblico è quasi all’altezza di quella del privato)  anni luce avanti la burocrazia italiana, soprattutto nel sud,  ma  si  estende anche alla sicura sconfitta nella sfida della mondializzazione. Sono sicuri, i Signori difesi da Veneziani, che una volta riportato indietro il paese di  vent’anni  la Lega, ad esempio, stia a guardare? L’errore dei politici della Prima Repubblica fu quello di non capire che la grassa vacca del nord non era più disposta a farsi mungere fino allo stremo per perpetuare un modo di governare che non aiutava il resto del paese ad evolversi ( nel suo tour elettorale in Sicilia, Calderoli incitava i siciliani a darsi da fare dato che dispongono di spiagge al cui confronto il mare di Rimini è un “bidet”): oggi, che bene o male si è messo in moto un meccanismo che dovrà portare il nostro paese a cambiare mentalità politica ed amministrativa nel segno di una più sana efficienza, tornare indietro porterebbe ad una spaccatura molto più forte  che quella prospettata  dalla Lega quando chiedeva, e con ragione, la secessione per salvare almeno un pezzo d’Italia dal completo disastro a cui l’inadeguatezza della classe politica tradizionale stava portando tutto il paese.

Ecco perché, a chi non ha le fette di prosciutto ( o di soppressata) sugli occhi, tutto questo “misirizzi” di partiti e partitini appare molto pericoloso: se si dovesse dar retta alle loro narcisistiche istanze l’Italia andrebbe sicuramente non verso un semplice impoverimento mitigato dall’assistenzialismo, come alcuni pur autorevoli commentatori politici  hanno profetato, ma verso un vero e proprio disastro. I Fini, i Follini ed i De Michelis è meglio che si accorgano per tempo che il dado è tratto e che non si può più tornare indietro: in Italia le ghigliottine, per fortuna o per disgrazia, non sono mai entrate in funzione, vediamo che ciò non succeda nel prossimo futuro.

                                                                                                           Aldo  Reggiani

Roma, 2 luglio 2004

30/6/2004

Caro Pelanda

di fronte alle immagini dei prigionieri sgozzati come capre, c’è ancora chi ha il coraggio di parlare di “civiltà” islamica. In nessun paese occidentale, cristiano o di altra fede si sono mai viste scene del genere. Si è fatto un chiasso incredibile sulle torture dei soldati americani ai danni dei prigionieri iracheni. Tutti ci siamo indignati di fronte a quelle immagini, che tuttavia non rappresentavano affatto gli Stati Uniti e il popolo americano, ma personalmente mi sono altrettanto indignato nel vedere il mondo islamico scendere in piazza protestando contro la violazione dei diritti umani.  La sinistra, con le Lilli Gruber e i soliti No Global alla Gino Strada hanno dato man forte alle proteste degli iracheni unendosi alla richiesta di giustizia. Naturalmente quanti si sono indignati per le scosse elettriche sui prigionieri iracheni se ne sono altamente fregati dell’americano costretto ad inginocchiarsi davanti al video con le braccia legate dietro le spalle, circondato da islamici incappucciati che in nome di Allah gli hanno piantato un coltello alla gola, lo hanno sgozzato fra strazianti grida di dolore e il sangue che scorreva come un fiume sul pavimento. Poi non contenti di ciò hanno alzato la testa mozzata e l’hanno mostrata al mondo intero come un trofeo di guerra. Ho visto le immagine su internet e un brivido di terrore mi ha gelato tutto il corpo. Mi viene da ridere a pensare che ci sono personaggi come Dario Fo che nel 2004 ancora parlano della Santa Inquisizione e dei roghi del Seicento senza accorgersi che in alcune parti del mondo avvengono atrocità come queste. E mi viene da ridere a pensare che in Italia dobbiamo discutere delle pazzie di un certo Adel Smith che ci parla di tolleranza religiosa chiedendo di togliere i crocefissi dai locali pubblici. Da che pulpito arrivano certe prediche. Non si possono accettare lezioni da chi professa una religione che nel 2004 taglia le teste, lapida le donne considerate immorali, costringe le adolescenti alla tortura dell’infibulazione e manda i propri figli al martirio trasformandoli in bombe umane. Senza essere razzista io mi ritengo orgoglioso di appartenere al mondo occidentale che, nonostante le Lilli Gruber, gli Agnoletto e i Gino Strada è decisamente superiore culturalmente e umanamente alla presunta “civiltà” islamica.

 Americo Mascarucci

26/6/2004

Gentilissimo Prof. Dott. C. Pelanda,

 

   finalmente qualcuno gliele ha cantate chiare ai nostri cosiddetti alleati della Cdl e quel qualcuno sono contento che sia stato proprio Lei, che seguo e leggo sempre molto volentieri e con grande interesse.

   Era ora che alcuni sassolini, troppo pochi per conto mio, venissero tolti dalle scarpe degli elettori di F.I. e che alcune verità, anche brusche a dire il vero nei confronti dei succitati alleati, ma pur sempre verità, venissero a portare un poco di chiarezza nel guazzabuglio italiano della politica spoliticata, ancestrale, abbarbicata insomma al secolo scorso.

   Ben pochi, tra tutti coloro che occupano gli spazi televisivi a vario titolo, hanno avuto la lucidità interpretativa che ha avuto Lei riguardo a ciò che realmente è accaduto dopo la prima tornata delle amministrative-europee, e molti al contrario hanno precipitosamente addotto a se medesimi dei meriti che altro non erano se non consueti assestamenti di zero virgola, gia visti e digeriti altre volte, soprattutto nelle elezioni amministrative.

   Vi è una cosa però, nella conclusione del Suo pezzo,  che non mi trova completamente rassicurato e fiducioso, come al contrario Lei dimostra di essere e con una certezza di previsione che lascia trasparire evidenti cognizioni nel merito: laddove Lei individua nella parte più attiva dell’Italia, vale a dire quel 25% che produce il 70% del Pil, la compagine che in caso di emergenza (leggi il ritiro di Berlusconi) ri-creerebbe qualcosa di più simile a Lui che non a An o Udc.

   Mi permetto di rammentarLe qui le ultime tre o quattro esternazioni del neo presidente di Confindustria, che aggiunte alla operosa mobilità del Sindaco dell’Urbe nonché agli strani movimenti ai vertici RCS ed all’irrequietezza fattiva del signor Colaninno e amici, non danno certamente l’impressione di voler appoggiare e sostenere il nostro Presidente del Consiglio, ma più concretamente penso che si stiano adoperando per eliminarlo al più presto e non certo per continuarne la politica liberale e liberista, appena abbozzata, ma attraverso il loro statalismo faranno ripiombare il nostro Paese nella situazione in cui si trovava ante 1994.

   Spero ovviamente di sbagliarmi, e di grosso, ma fra gli industriali ed i banchieri italiani ne vedo pochini schierati con il centrodestra, e quei pochi, quasi sempre e per interessi di bottega, saranno pronti a saltare sul carro sinistro non appena se ne richiederà la loro partecipazione, purtroppo.

   Distinti saluti,

 

                                                                                            Claudio B.  Milano 

25/6/2004

Complimenti!!! Il Suo articolo di oggi rispecchia esattamente il mio pensiero, quello della mia famiglia e, penso, quello della totalità degli aderenti a Forza Italia.
Siamo stufi delle vessazioni che subiamo da parte di AN e UDC!
Grazie per le belle parole e tanti auguri di buon lavoro.
Cordialmente Maria Antonietta Torsetta

25/6/2004

Leggo  con grande soddisfazione il Suo articolo sul Giornale di Venerdì.
 Bravo,bravo bravo.!
 Mi chiedo  perchè persone come Lei non parlino sempre così (se mi
permette) fuori dai denti.
 Sui giornali e specialmente negli incontri televisivi nei quali siamo,si,
 molto educati e corretti, ma dove vige il sistema ,a suo tempo insegnato
 nelle "cellule", " quando l'avversario dice qualcosa di giusto, vero ,
 incontrovertibile, parlagli adosso in modo che non possa essere ascoltato.
 Comunque, grazie. Enrico Frigeri

17/6/2004

Caro Carlo Pelanda, ho letto con molto interesse il Suo articolo sul Giornale di stamane "La prova dei Fatti" e le prime "timide" considerazioni del dopo elezioni testè concluse.

Ho preferito chiamarle "timide" le Sue considerazioni, non per povertà di contenuti, anzi, ma perchè mi sono reo conto di quanto sia difficoltoso e pericoloso in questo momento delicato della politica della Cdl, con i suoi instabili equilibri, proporsi e proporre orientamenti mirati, anche se sono convinto che singolarmente, ciascuno di noi, è sicuro di avere in serbo la panacea di tutti i problemi ( me compreso).
E' decisamente difficile il momento: basta una parola detta con un accento, una virgola in più, pr farti passare da rivoluzionario, da cartista.
Ricordo anch'io la prima Officina indetta dalla coalizione alla ricerca di un comune accordo e consolidare idee, ideologie diverse per farle convergere in una sola proposta vincente, come poi avvenuto.
Sono d'accordo quando cita che Adornato nel duemilatre, ha tentato, inutilmente, di proporre una seconda Officina, ma i partiti, ormai sicuri, presuntuosamente, di aver trovato la formula magica del buon governo , hanno putroppo fatto prevalere le ideologie dei singoli, rispetto alle necessità di un Paese che doveva e deve essere trasformato e riformato come da proghamma: ora ne stiamo pagando, purtroppo, le debite conseguenze: ma  questo non ci impedisce, non ci vieta, sebbene il tempo limitato rimasto, di correggere il misfatto.
Sempreche l'interesse  per la Comunità tutta, prevalga sulla volontà ideologica dei singoli partiti, senza azzuffarsi e nascondersi dietro " qualche spicciolo in più" guadagnato in termini di voti elettorali, Le pare ?
Berlusconi ha detto che occorre un nuovo "slancio riformatore" ( facendo sarcasticamente sorridere, per le parole espresse, il "Guru" Padellaro); io propendo per il Suo concetto, ovvero <...garanzie di transizione e gradualità....>, l'importante che si facciano in fretta....ieri al massimo.
Con costante stima,
Edoardo A., Padova       
 
12/6/2004

Gentile professore,

non crede che magari un’idea può servire a dare continuità morale e politica al progetto europeo?

Nel mio piccolo suggerisco una lingua comune che renda comprensibile ad un abitante di Lisbona un discorso di un abitante di Riga.

Una scelta in qualche modo democratica tra tutti gli abitanti renderebbe i cittadini un po’ più uniti.

Migliorerebbe quell’istruzione continua che trovo pienamente condivisibile, meglio auspicabile.

Suo

Giovanni Gualtiero

12/6/2004
Caro Professore,
sono Suo attento lettore da anni e porto sempre ad esempio il Suo stile nello scrivere, stile cartterizzato da estrema sintesi.
In merito all'articolo in oggetto : " ....chi la prepara e promette è credibile.Se la sinistra....".
Non dubito delle qualità di Tremonti, sono invece certo che, dato lo spettacolo al quale abbiamo assistito nei mesi scorsi,
ben difficilmente riuscirà a metter in pratica la sua strategia a causa delle bramosie dei vari Fini e Follini, nonchè dalla incerta
rotta della Lega del dopo Bossi.Il risultato delle Europee non ci sarà favorevole, come da sondaggi, e la colpa sarà di Berlusconi ma,
non potendosela prendere più di tanto con lui, pena harakiri, i bravi socialalleati reclameranno con ancora maggior forza, un drastico
riimensionamento del Ministro.
Cordialmente Suo
 
Marco Viganotti 
12/6/2004

Caro Pelanda,
    posso capire che siamo nei pressi di un appuntamento elettorale
 dagli  esiti incerti; ma non si può, da studiosi d'economia, accettare
 la "glorificazione" della politica economica di Giulio Tremonti.
 Egli ha sostanziamente aumentato la pressione fiscale ( in termini
 reali) , ha fatto un condono che conteneva aspetti mafiosi degni del
 peggior Visco, minacciando controlli anche chi era stato ligio agli
 studi di settore, l'arma moderna del fisco.
 Non ha impedito, a forza di legge, agli enti locali di aumentare la loro
 pressione fiscale, rendendo inutli le riduzioni cosmetiche centrali.
 Non ha agito contro gli sprechi veri, quelli gestiti dalla burocrazia,
 riducendo, come hanno sempre fatto, solo i servizi al cittadino;
 lasciando alla burocrazia tutto il suo potere dissipatorio.
 La prova più clamorosa è nella sanità che, malgrado discreti risparmi di
 spesa nei costi farmaceutici, e del personale medico, costa sempre di più.
 E non voglio parlare di IRAP che è la summa dell'aberrazione fiscale,
 togliere risorse alle attività produttive per versarle ad attività
 improduttive, la scusa del gettito è sempre pronta.
 Ma noi sappiamo che il gettito segue la crescita, mai la precede.
 Non parliamo del fiscal drag sugli aumenti dei carburanti, delle marche
 da bollo, dei limiti della detraibilità della auto, ed altre facezie
simili. Il nostro avrebbe bisogno di una buona tirata d'orecchi, altro che
applausi. Se poi quache francese lo apprezza, visti i loro sistemi, è un motivo in
 più per diffidare.
 Un caro saluto

 Dr Roberto Alessi

7/6/2004

Caro Professore

 Sono un suo assisduo lettore fin dai tempi del Giornale diretto all'inizio da V.Feltri.
Questa mattina sono andata in edicola a prendere Il Giornale, e sono rimasto incredulo
nel leggere della morte del ns/amatissimo Ex-Presidente.Sapevo della sua lunga malattia ormai
molto grave; ma io ho un ricordo bellissimo di questo che è sempre stato il mio politico
e statista preferito. Le racconto quanto segue:
Nel 1984 studiavo all'UCLA di Berkeley, e siccome il mio inglese a quell'epoca (ero appena
arrivato negli USA) non era dei migliori, la mia famiglia americana che mi ospitava con trattamento
di B&B, mi aveva consigliato come al solito  di guardare molta televisione (per velocizzare l'apprendimento
iniziale della lingua)
E quindi alla fine delle lezioni, durante le pause o la merenda, andavo immediatamente in una piccola sala adiacente
che si trovava sempre all'interno del College di Lingue Straniere, e guardavo programmi diversi
dallo sport, politica, telegiornali,etc.
All'inizio appena arrivato a Berkeley, non sapevo della storia della contestazione studentesca degli anni '70,
durante la guerra in Vietnam, e non sapevo neppure che Berkeley e un po tutta l'area di San Francisco
erano una zona ultra-radicale, dove in genere la gente votava  i democratici.(Tutte cose che ho saputo nei
mesi successivi parlando con la mia famiglia, i professori all'interno del campus, e molti altri studenti; io
comunque avevo scelto Berkeley perche' volevo vivere  e visitare in lungo e in largo la splendida California)
Quindi finite le lezioni passavo molto tempo davanti all TV, soprattutto nel tardo pomeriggio dalle 15.00 in poi.
Ma appena potevo cercavo immediatamente qualche discorso di Reagan, qualche sua intervista, qualche suo intervento
durante i suoi tantissimi viaggi, oppure al Congresso, etc.
Fin dall'inizio mi aveva impressionato il suo modo di parlare, ossia la semplicita' del linguaggio (tenga presente
che era la prima volta che andavo negli USA, ed ero abituato alla politica all'Italiana, ossia al POLITICHESE, con i ns/
politici che continuavano a parlare senza mai arrivare al dunque, con le solite frasi trite e ritrite  dove non si capiva
 mai dove volevano parare, oppure al solito linguaggio degli soliti cattocomunisti  sempre attenti a non infastidire
nessuno per non perdere voti.)
Nel sentire parlare Reagan rimanevo di pietra; quello diceva che L'Unione Sovietica era l'impero del male, che il comu
nismo era il buio, non solo; poi parlava gia' allora di abbassare le tasse, di una presenza minore dello Stato nell'economia
e nella vita del Paese; e poi parlava spessissimo dei giovani e dei problemi del mondo giovanile.
Ma a parte i temi di cui discuteva, torno a ripetere era la schiettezza e la semplicita' con le quali esponeva le sue idee, sembrando
quasi quasi un contadino. E quando parlava non aveva paura di nessuno e se ne fregava di tutti.
Io un linguaggio simile in Italia non l'avevo mai sentito e  pensavo che se in Italia un politico di allora avesse detto simile cose
l'avrebbero bruciato vivo !!! Quell'uomo mi aveva  entusiasmato, quasi folgorato.
Poi un giorno mentre guardavo un discorso di Reagan in diretta, all'improvviso è entrata nella saletta una vecchia professoressa
(che tra l'altro si occupava nel pomeriggio dell'accomodation dei nuovi studenti presso le famiglie americane, e che mi aveva aiutato
all'inizio nel trovare la mia famiglia americana dove mi sono sempre trovato benissimo) e vedendo che ero attaccato alla TV ad ascoltare
 il Presidente, rimase molto sorpresa, negativamente si intende, perche' mi disse ascoltavo quel politico e mi fece capire tutta la
sua insofferenza per quell'uomo.
Un'altra volta  furono un gruppo di studenti arabi che gia' allora erano ben presenti negli USA, a chiedermi se non ero un matto
ad ascoltare un personaggio simile. (da allora capii l'andazzo che circolava nell'area di San Francisco  e scoprii tutta la storia degli anni precedenti)
Io sinceramente me ne sono sempre fregato e ho continuato a seguirlo , apprezzavo enormemente il suo feroce ottimismo contrapposto
al grigiore del politici italiani, il suo piglio atletico , la sua simpatia era insomma l'immagine della forza della fierezza  della grandezza
dell'America.
Io vengo da una famiglia anticomunista,( ho fatto il militare a Villa Opicina, e a Trieste ho conosciuto la storia delle foibe, dell'Istria e della
Dalmazia), ma è stato allora che sono diventato un liberista convinto,  grazie a Reagan che ho cominciato a detestare sindacati, chiesa Vaticana, partiti,
intellettuali di destra e di sinistra, lo Stato padrone, lo statalismo, l'assistenzialismo, i cattocomunisti, le sinistre, i pacifisti, lo stato sociale,
le  regole, gli art.18, e soprattutto l'onnipresente cultura della solidarieta' sociale della serie piangi e fotti, unita all'altra onnipresente cultura della
concertazione della serie tutto diritti e niente doveri, tutto veti e ricatti (entrambe tanto care al presidente della Repubblica, al Presidente di Confindustria
, ai sindacati e alla chiesa vaticana; a proposito di Presidente di Confindustria, da attento osservatore di tutti i fatti della nostra Italia ho notato una cosa
che sono sicurissimo non sara' scappata neanche alla sua osservazione conoscendo la sua scrupolosita' e il suo spirito critico; durante la corsa alla
presidenza di Confindustria tra i due  candidati, a un dato momento c'è stata la rinuncia di Tognana, e quindi Montezemolo a avuto via libera.Il giorno
dopo alla Ferrari è scoppiato un grave incendio che se ben ricordo ha distrutto diverse vetture; che sia un caso ?)
Adesso,Caro Professore, ho appena guardato i telegiornali, e ho visto le immagini nel nostro idolo con la Tacther, con Kohl, Gorbaciov;  e sono sincero; mi è
venuto il magone.
Le chiedo soltanto una cose se possibile; veda di scrivere  sul Giornale un bel articolo su Reagan, che possa ricordare agli italiani liberali e liberisti,
quale gigante sia stato, i meriti che ha avuto,quale perdita sia stata  per tutto il mondo (Terro' il ritaglio dell'articolo nell'album di famiglia insieme a
quello diPasolini Zanelli apparso questa mattina).
E adesso  veniamo al presente; era da molto tempo che le volevo scrivere ma ero sempre un po indeciso, e ho colto quindi questa triste notizia.
Molti anni fa leggendo alcuni suoi articoli, Lei si era lamentato giustamente del fatto che in Italia non s'inventa piu' niente, che L'italia è bella soltanto
per i paesaggi e per venire a fare le ferie; non solo ricordo anche che una volta Lei ando in una scuola non ricordo se fosse liceo od Universita', tenne un
incontro con molti studenti, e lei disse chiaro e tondo che in italia non s'inventa piu' niente rispetto invece agli studenti americani che una ne fanno, dieci
ne pensano e trenta ne studiano; invito' insomma questi studenti a smuovere il culo, tirarsi su le maniche e mettersi a lavorare usando il cervello; e mi
ricordo benissimo che quelli per poco non la picchiavano, queste furono le sue parole.(Questi caro professore sono i risultati di 40anni di solidarieta' sociale,
di concertazione, di cattocomunismo, di buonismo-perbenismo-pietismo del clero e dei sindacati che hanno fatto diventare l'Italia la piu' grande fabbrica
del mondo di fannulloni, ladri, parassiti, cialtroni, accattoni, farabutti,spudorati, mendicanti,pezzenti e pezze da culo che passano la giornata a chiedere gli aiuti di stato, a piangere e fottere,
a discutere di conflitti d'interesse, di fascismo di comunismo, di mafia e antimafia, di processi e procure, di calcio e grande fratello, a riempirsi la bocca di soli diritti senza doveri, e per poi finire la settimana a menare le culatte in discoteca !!!Con una simile materia prima di merda , che futuro vuole che abbia l'Italia?)
Dunque veniamo al dunque; a causa di questa enorme mancanza d'inventiva ,io mi sono sempre meravigliato del fatto che gli economisti del Polo, mi riferisco
ai vari Pel/bru/cant/mart/Marz/rico/savo/balda, non abbiano mai pensato di creare un afondazione/think tank dove invitare tutti quegli studenti che hanno dei progetti
di start-up da visionare ed eventualmente da sviluppare sullo stile del sistema americano (La stessa cosa vale naturalmente anche per gli imprenditori)
Se questa cosa  non fosse possibile, sarebbe disposto Lei unicamente in forma privata e autonoma a visionare progetti d'impresa?
Io abito vicino a Desenzano , e se fosse qui in zona o anche sul lago di Garda nelle prossime settimane, me lo faccia sapere, in modo da
poterci incontrare da qualche parte.
IMPORTANTE; se vorra' rispondermi, mi faccia sapere senza tanti giri di parole, se questo e-mail e altri eventuali messaggi futuri  che Le inviero'
sono visibili solo a Lei oppure possono essere visti da altre persone.
 La saluto cordialmente e la abbraccio,
Viva Trieste
Viva l'Italia
 Alberto.
5/6/2004

Questione di feeling.

 Egregio professore buongiorno.
 Mi ha fatto venire un "frisson" il discorso di Montezemolo al momento del
 suo insediamento a presidente della Confindustria: sapeva di licenziamento
 in tronco del governo Berlusconi e di restaurazione dell'antico metodo di
 sottogoverno: "Io ti dò una cosa a te, tu mi dai una cosa a me".
 Il frissoncino è aumentato al commento dello stesso discorso; non al
 commento scontato dei Fassino e degli Epifani di turno, ma a quello dei
 Tronchetti.
 Dal frisson sono passato alla pelle di cappone quando ho sentito le
 dichiarazioni dei Sella e dei Fazio. Mi manca quello dell'ingegnere, o
 forse l'ha fatto fare ai suoi compari.
 Ho l'impressione che ci sia stato un accordo di concambio tra la
 liquidazione dell'attuale governo appoggiata dai suindicati ed un
 sostanzioso regalo da fare agli stessi da parte dei futuri regnanti di
 sinistra, che poi non ci leveremo dai piedi per un secolo.
 Ora Telecom è già stata regalata, cosa rimane in Italia di succulento?
 E.N.I.?
 Altro?
 Temo fortemente.
 Cordialità. G. Pinciroli

3/6/2004

Pacifisti, coraggio, diteci qualcosa di pacifista
La retorica pacifista dei nostri giorni l'abbiamo più volte denunciata dalle nostre pagine, ma l'indignazione cresce in questi giorni di grande mobilitazione per contrastare l'arrivo in Italia di Bush, uno dei "più grandi uomini della guerra", quando sistematicamente si ignorano le più grosse violenze, torture e nefandezze perpetrate ai danni di popolazioni innocenti e inermi sparse nel mondo. I segni della pace, contro i segni dell'orrore si traducono nella realtà dei fatti in un pacifismo a senso unico, di facciata, carico di retorica e luoghi comuni. Presuntuosi che vorrebbero insegnarci il significato della parola pace, anche se continuano ad usare i simboli che hanno rappresentato e continuano a simboleggiare sangue e morte, se ne fregano degli orrori e delle mostruosità che in parti lontane del mondo ancora oggi avvengono. Così nessuno si è indignato nell'apprendere che lo scorso 21 maggio è stata accolta con 9 voti a favore, 8 contrari e 2 astensioni la richiesta di
sospensione dello status consultivo del Partito Radicale Transnazionale al Consiglio Economico e Sociale dell'ONU, su richiesta presentata dalla delegazione vietnamita al Comitato Onu sulle Organizzazioni non governative, per aver accreditato alla Commissione diritti umani di Ginevra Kok Ksor, Presidente della Montagnard Foundation e membro del Consiglio Generale del PRT, da loro ritenuto un terrorista*.
Chi sono i Montagnard? Una minoranza etnica soggetta al massacro da parte di un regime comunista, che per proseguire indisturbato i suoi crimini, ha trovato valide alleanze nell'Onu per spegnere l'unica voce che fa luce su queste nefandezze: hanno votato a favore della richiesta vietnamita la Cina , la Federazione russa (che già nel 2000 aveva avanzato la stessa richiesta dopo che il partito aveva accreditato un legittimo rappresentante del Parlamento ceceno, mentre con metodi da Kgb veniva assassinato l'indimenticato inviato di Radio Radicale, Antonio Russo, impegnato a denunciare gli orrori dell'occupazione militare russa in Cecenia), Cuba, Iran, Sudan, Zimbabwe, Pakistan, Costa D'Avorio e India, che hanno vanificato il sostegno di Germania, Francia, USA, Camerun, Cile, Perù, Romania e Turchia. 
Ad aggravare la condizione della comunità Montagnard in Vietnam, l'atteggiamento ostruzionista del governo cambogiano che, nonostante la denuncia da parte dell'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, continua ad impedire, in violazione della Convenzione Onu sui Rifugiati, l'entrata nel paese.
Su tutto questo non è stata proferita una sola parola dal popolo della pace, uno slogan, uno striscione, un palloncino, un fischietto... niente di niente.
Il comunismo è morto, i suoi figli ancora no.
Paolo Carotenuto, Napoli

*La raccomandazione del Comitato, composto da 19 paesi distribuiti su base geografica, sarà sottoposta a luglio ai 54 paesi che compongono il Consiglio Economico e Sociale.

3/6/2004

Buonasera,

sono una giovane ma vecchia lettrice de il Giornale. Ho avuto modo di apprezzare il suo articolo apparso oggi su il Giornale. Le scrivo per ringraziarla.
Non mi limito, se non le dispiace, al "fan-ta-sti-co" espresso da Facci tra i commenti all'articolo. Perchè convido in pieno ogni riga. Perchè, nonostante i soli ventidue anni che mi porto sulle spalle, ogni giorno sono costretta a spiegare ai miei "amici" missini o comunistelli perchè diavolo ho votato e voto Berlusconi. Dice bene lei: " non è vero che gli abbiamo creduto ciecamente, ma abbiamo "voluto" credergli perché politico più vicino all'idea di Italia e di come (ri)farla che abbiamo in mente". E' proprio questo che gli "altri" non capiscono. Berlusconi non è un politico in senso tradizionale. E' il nostro uomo nuovo. Ma loro no, si appigliano ai conflitti d'interesse, alle questioni aperte con quella magistratura milanese che perde tempo ed energie sui tovagliolini del bar Mandara..
E pure nella coalizione si assiste allo spettacolo penoso degli alleati che impediscono e frenano riforme serie e incisive che consentirebbero a questo Paese di risollevarsi per ritornare a uno Stato incombente, onnipresente e assistenzialista. Che amarezza.

A lei dico grazie, ché finalmente una voce ferma e fuori dal coro si sente !

Sua affezionata lettrice

Anna M.

24/5/2004

Gentile professore

L’accordo di compromesso tra governi europei che vogliono rendere più flessibile il patto di stabilità tenendo conto del debito pubblico è una iattura voluta direttamente da Berlusconi e Tremonti. In sede di semestre italiano hanno avallato il “si, ma vogliamoci tanto bene” sperando che i Tedeschi  avrebbero fatto altrettanto.

Il problema del deficit troppo elevato era un problema fin dall’ingresso nell’euro e il non averlo voluto affrontare oggi può essere una minaccia.

Noto “se le agenzie di rating…. Il costo degli interessi…” dovrebbe essere un problema irrilevante visto che un “futuro” miglioramento della situazione economica dovuta all’abbattimento delle tasse dovrebbe anticipare con tassi decrescenti i benefici economici futuri.

Principio validissimo con la presenza di mercati finanziari futuri “perfetti” ma in mancanza di perfezione, condizione normale nell’esistenza umana, i tassi a breve, e a lunga in presenza di un deficit crescente, saranno crescenti e con il debito pubblico attuale sarebbe una tragedia.

Indipendentemente da accordi tra Germania e Francia.

Ha visto poi che fine ha fatto la diminuzione delle tasse promessa entro trenta giorni, due mesi fa?

Non ritiene che personaggi più affidabili alla guida del paese, sia in se un miglioramento delle condizioni economiche presenti e future dell’Italia? 

A proposito quei famosi benefici per gli over 40 o 50 promessi e decantati in occasione delle presentazioni della legge cosiddetta “Biagi”?

Gualtiero Giovanni

23/5/2004
Complimenti compagno Fassino, complimenti presidente Prodi, complimenti onorevole Rutelli, complimenti signori dell'Ulivo. Con il vostro voto in Parlamento sul ritiro delle truppe dall'Iraq avete dimostrato a tutti gli italiani che se vincerete le elezioni vi farete dare la linea di governo da Cossutta e Bertinotti. Noi lo sapevamo già. Ora anche chi non lo aveva capito grazie al vostro atteggiamento si è finalmente accorto che non siete altro che dei comunisti, travestiti da moderati. Siete rimasti i soliti "trinariciuti" ben descritti dal compianto Giovannino Guareschi.
 
Americo Mascarucci
20/5/2004

 Considerato i Nobel assegnati agli Arafat, ai Fo, etc..., mi
 viene da pensare che ai sinistrati, inteso anche in senso mentale,
 dispiaccia molto, che 2000 anni fa, non ci fosse, ancora, il
 prestigioso riconoscimento.
 L'avrebbero senz'altro assegnato ad Erode, per la pedagogia.

                                            G. Vigni

17/5/2004

Caro Prof.,
 col suo articolo, Lei, come d'abitudine, fotografa
 la realtà.
 Mi piace ricordare che quando lo struzzo nasconde la
 testa, scopre il culo.
 Che tragedia !
 Cordialmente.
                  G. Vigni

16/5/2004

Illustre Dottor Carlo Pelanda, sono uno dei Suoi tanti lettori e mi sono veramente "beato" oggi leggendo il Suo articolo, come altre volte mi capita, su il Giornale, titolato " Il Pericolo Negato".

Finalmente, mi sono detto, dopo anni che scrivo all' "amico di penna" ( od epistolare) Dottor Paolo Granzotto, una risposta seria, consapevole, sul tema del pericolo islamico, della necessità del Vostro totale coinvolgimento di Giornalisti di dotta Cultura.
Era indispensabile  esplicare il Vostro impegno, prima di richiedere  a noi cittadini di dover impegnarci non solo con parole ma con fatti, come richiestoci dall'altrettanto "amico di penna" Dottor Paolo Guzzanti, ma non sapevamo e non conoscevamo i termini del confronto.
Sono totalmente d'accordo, per quanto può valere il mio giudizio, per quello da Lei riportato sull'articolo stesso.
Così bisogna incitare il popolo, per tentare di risvegliare il raziocinio, la ragione, l'orgoglio, davanti all'imperante fondamentalismo Islamico, che vuole in tutti i modi,farci diventare una loro "Colonia".
E ci riuscirà, se l'Europa tutta non sarà coesa e lo combatterà senza paure e ansietà.
Ma finchè avremo al comando dell' europa, uomini come Prodi, che non ha il coraggio di dimettersi di fronte alla ambiguità di comportamento delle sue doppie mansioni ( di Capo della Ue e di Capo del Triciclo Sinistro italico) la speranza si riduce sempre più giorno dopo giorno.
Dimostriamoci, noi Italiani, di non essere codardi alla Zapatero, di fronte al terrorismo: solo così potremo sconfiggerlo, compreso il prode Prodi, Le pare ?.
Distiti ossequi ed ancora grazie,            
     Edoardo A. Padova.
16/5/2004

E' da quando e' "scoppiata" la questione delle sevizie dei militari
 verso i prigionieri in Iraq, che sospetto la squadra di quel Kerry
 dall'aspetto di uno zombi, di aver organizzato tutta la faccenda.
 Le sembra assurdo, improbabile?
 A. Casolari

14/5/2004

pacifista nostrano,sinistrato, si può intendere anche mentalmente,
cattosinistrato, noglobalpoliticamentecorretto,
 dopo essere andato ad una bella manifestazione di tante anime buone ,
 con la sua bandierina arcobaleno, con tanti tamburelli e trombette,
 torna, a casa, dalla mamma, o tra le tette della moglie, pardon compagna,
a rifocilarsi con un bel piatto di rigatoni. Giusto!
 L'impegno è totalizzante e la fatica tanta, ma tanta.
 Il pacifista americano, ebreo, volontario, va in un girone infernale
 a dare una mano e ci rimette la testa, aiutato, in 40 sec, da un
 coltellaccio, però "grande e misericordioso".
 Per essere europeo sono assalito da un senso di disagio, con molta
 nausea ed una residua indignazione. Spero solo nella "pietas", ma è
 roba di oltre 2000 anni fa. Pare, anche, che molti titolari cristiani,
 espertissimi di accoglienza, tolleranza etc.., non sappiano nemmeno
 cosa sia.
 De profundis clamavi ad Te Domine.
                                       G. Vigni
                                       Castelfranco v.to

5/5/2004

Pensavamo che l’era Santoro fosse definitivamente conclusa. Ci eravamo sbagliati, perché su Rai Tre – Telekabul hanno subito trovato un degno erede del tele tribuno più arrogante d’Italia. Si chiama Giovanni Floris e conduce un programma chiamato “Ballarò” il cui livello di faziosità è sicuramente unico in Italia. Che Floris fosse organico alla sinistra lo si sapeva da tempo e ne avevamo avuto conferma già il primo maggio scorso quando il “figlioccio” di Santoro è salito sul palco in Piazza San Giovanni, acclamato dalla folla che assisteva al concerto. Martedì sera però è stato sorpassato ogni limite. Floris ha infatti dedicato l’intera puntata di Ballarò al tema della tortura incentrando tutta la trasmissione sulla vicenda degli iracheni rinchiusi nelle carceri e maltrattati dai soldati americani. Un caso isolato che è stato condannato in primo luogo dal presidente Bush e che ha provocato l’immediata rimozione del comandante delle truppe responsabili della vicenda. Però tutto ciò è passato in secondo piano, il messaggio che Floris ha cercato di trasmettere è stato essenzialmente uno: l’Iraq è occupato, gli occupanti anglo americani non rispettano i diritti umani, gli iracheni sono torturati, la resistenza contro gli invasori è sacrosanta. Il tutto sulla televisione pubblica pagata dagli italiani. A dare man forte al “piccolo” Santoro un rappresentante di Amnesty International anch’esso imbevuto di anti americanismo, mentre a difendere gli Usa il solo Luttaw penalizzato dal collegamento esterno e più volte zittito dal conduttore.

Si parla continuamente di anomalia italiana in riferimento al fatto che il Presidente del Consiglio sia proprietario di tre reti televisive. Nessuno invece si accorge che la vera anomalia sta nel fatto che una rete del servizio pubblico, precisamente Rai Tre, da oltre vent’anni è controllata dalla sinistra, prima dal Partito Comunista con l’indimenticabile (in senso negativo) Angelo Guglielmi, oggi dall’Ulivo, che se ne è sempre servita come strumento di sfacciata propaganda. Fortunatamente lo stesso giorno in cui veniva trasmessa la scandalosa puntata di Ballarò, in Rai si è dimessa la presidente Lucia Annunziata, quella che avrebbe dovuto garantire il pluralismo e che invece ha garantito soltanto la faziosità della terza rete dove è cresciuta professionalmente e politicamente. Adesso anche lei, come Santoro, diventerà un martire della libertà d’informazione, un simbolo della lotta al regime berlusconiano. Mentre un giornalista libero come Antonio Socci, l’unico che è stato capace di fare un’informazione diversa, raccontando per la prima volta sulla Rai gli orrori del comunismo e tante altre tragedie dimenticate (Sudan, Kossovo ecc.) è stato rimosso dalla vice direzione di Rai Due penalizzato dalla scandalosa guerra dell’auditel (che guarda agli ascolti a totale discapito della qualità), senza che nessuno si sia indignato. Del resto c’era da aspettarselo: Socci nella sua vita, a differenza di Santoro e dell’Annunziata, non è mai stato un militante dell’estrema sinistra.

                                                                          Americo Mascarucci

3/5/2004

Come noto,l'Islam aborrisce il maiale.Quindi, se prevarrà,
  di Felino,Zibello, S.Daniele, Colonnata, etc...., non
   resterà pietra su pietra.
 Lancio un appello all'Europa tutta,che il settore del
   prosciutto, salame, jambon,Schinken und Wurst, jamon,
 jamon no, Zapatero non vuole, sponsorizzi la resistenza,
  fino alla discesa in campo di una grande armata, che ci
   conduca ad una nuova Lepanto.Il leader maximo,
   dell'europea invincibile armata degli insaccati,potrebbe
    essere il"mortadella",detto anche "Prodi ridens".
    Cautela però, il soggetto è demogeneticamente affetto
     dalla sindrome del "giro di valzer".
 A conforto e supporto di questa soluzione c'è anche il
  fatto che l'Europa è pesantemente intervenuta nelle
  banane, nelle zucchine..... e, ultimamente, nelle
   zuccheriere, quindi darà, senz'altro, una mano con
    gli affettati, specialmente se c'è di mezzo la salvezza
     della civiltà.
 Sperando in un futuro luminoso, non mi resta che dire,
 scaramanticamente:"SALAM aleichum".


                 G. Vigni
               Castelfranco v.to

3/5/2004

Si chiama Rula Jebrael, bella, furba, intelligente.
Sul sito http://www.telegiornaliste.com/jebreal.htm un breve curriculum riporta testualmente quanto segue:
Nata il 24/04/1973 ad Haifa in Palestina. Giornalista presso La7. Scrive per il Messaggero.
Giunge a Bologna con un diploma di fisioterapista per seguire un corso di perfezionamento, ma si dedica al giornalismo e inizia a scrivere di politica mediorientale su Carlino, Giorno e Nazione. Partecipando a una puntata di Diario di guerra, come giornalista e militante del Movimento palestinese per la democrazia e la pace, viene notata dal direttore del Tg de La7 e ottiene un contratto di tre mesi per la rassegna della stampa araba. Nel 2003 ottiene la conduzione del TgLa7 (da settembre).
Dunque "la bella palestinese" dice di essere nata a Haifa in Palestina e, cosa strabiliante, in Italia le credono.
E' la giornalista piu' gettonata in assoluto, parla bene l'italiano, e' schierata...a sinistra, e' mora, occhi ardenti, esotica, fortemente critica nei riguardi di Israele, ammiratrice di Arafat, eloquio fluente e aggressivo che fa molta presa sul pubblico italiano abituato da sempre a bere ogni panzana palestinese su Israele.
Immancabile ospite di tavole rotonde, ormai e' una pseudodiva, in ogni suo discorso cita Arafat e la sua bonta', Sharon e la sua crudelta', il tutto condito con un po' di triste destino dei poveri palestinesi, attribuito, neanche a dirlo, a Israele e a Sharon.
E' comprensibile che un italiano medio non sappia che Haifa sia in Israele ma risulta strano e anche un po' comico che dei giornalisti ignorino la collocazione geografica di un'importante citta' israeliana!
A questo punto mi sento in obbligo di svelare un segreto ai giornalisti italiani, sperando di essere creduta sulla parola:
Signore e signori Haifa e' in Israele!
Signore e signori, Rula Jebrael e' israeliana, araba finche' volete ma israeliana.
La "bella palestinese" e' un araba di cittadinanza israeliana, ha presumibilmente il passaporto israeliano, e' nata in un ospedale israeliano, ha studiato in una scuola israeliana, in un'universita' di Gerusalemme Capitale di Israele.
Ha potuto, ...se religiosa, pregare in una moschea o in una chiesa nel libero Stato di Israele che l'ha fatta vivere in democrazia, che l'ha esonerata dal servizio militare consentendole cosi' di iniziare gli studi postliceali a 18 anni anziche' a 21 come i ragazzi israeliani ebrei, drusi e beduini.
Rula e' parte di quel milione e 300 mila arabi israeliani, gli unici del Medio Oriente costretti a vivere, ahiloro, in una democrazia e che, spesso, su questa democrazia sputano fingendo di essere vittime della perversione sionista!
Gli studenti arabi di Israele appena mettono piede in Europa, soprattutto in Italia, diventano all'improvviso palestinesi. Rinnegano il paese in cui sono nati , dimenticano la democrazia di cui hanno goduto e si trasformano in povere vittime in tutto e per tutto uguali ai palestinesi che vivono sotto il regime feroce e terrorizzante di Arafat.
Certo, gli conviene farlo, come "poveri palestinesi" hanno tutte le porte aperte, come israeliani sarebbero guardati con sospetto, se non con odio e sarebbero ritenuti traditori sionisti dagli altri arabi.
Giocano alla perfezione il loro nuovo status di vittime e ne raccolgono i frutti.
La nostra "bella palestinese", grazie a questo doppio gioco, sta facendo una carriera brillante sponsorizzata da personaggi dorati come la bella, ricca e araba Afef, moglie del proprietario de La7.
Rula Jebrael e' anche, e non guasta anzi giova caspita se giova, militante di un sedicente movimento palestinese per la democrazia e la pace
il che significa che la bella giornalista non solo sputa nel piatto israeliano in cui ha lautamente mangiato ma che, dopo averlo svuotato per benino e a suo piacere, lo sta riempiendo allegramente di veleno.

Al caso di Rula Jebrael vorrei contrapporre un' altra storia che spiega come il giornalismo italiano sia spesso, come dire, ..... disinformato. ...? ....
Tempo fa a Porta a Porta venne presentata una povera ragazza bruciata viva dalla famiglia e sfigurata al punto da essere costretta a presentarsi con una maschera bianca sul viso.
Questa poveretta era originaria di un villaggio arabo in territorio "palestinese".
Ebbene, per tutta la durata della trasmissione , non sono mai state pronunciate una sola volta le parole PALESTINA o palestinese e la povera ragazza e' diventata piu' o meno inconsapevolmente di nazionalita' "cisgiordana", proveniente da un villaggio di un non ben definito Paese chiamato "Cisgiordania".
Pur di non dover informare gli italiani che nei territori i palestinesi bruciano vive le ragazze che macchiano l'onore della famiglia, i mitici giornalisti italiani hanno inventato una nazionalita' nuova , quella cisgiordana, e un nuova nazione , la Cisgiordania , appunto.

Deborah Fait

2/5/2004

Ultimamente viene lanciata dai media televisivi italiani una certa Rula
   Jibrael, che viene chiamata la bella palestinese. Rula in realta' e'
   un'araba mussulmana israeliana, nata a Haifa  (  ISRAELE)che gira con
   passaporto israeliano. Come molti altri studenti arabi israeliani in
 Italia,   si camuffa da palestinese e nasconde il suo status, per motivi ben
chiari.   Perche' qualcuno non la smaschera e le chiede di dichiarare in che paese
 e'   nata, dove ha studiato, come e' riuscita a crescere bella e sana, se non
   grazie alla democrazia, alla liberta' ed al benessere di cui ha
usufruito e   che ora cerca di nascondere? Posso capire che un italiano medio non
sappia   che Haifa e' in Israele, che non sappia che qui vivono liberi e belli un
   milione e 300 mila arabi, ma non credo che i vari conduttori che
   l'intervistano e la lanciano non ne siano al corrente. La cosa mi
disgusta   oltremodo e vorrei che venisse diffusa la vera identita' di questa
   pseudovittima della perversione israeliana, che l'ha fatta nascere in un
   ospedale ebraico, che l'ha fatta studiare in una scuola israeliana, che
 l'ha   fatta pregare in una moschea libera in territorio israeliano che l'ha
   nutrita, che ha pagato alla sua famiglia gli assegni familiari, che l'ha
   esonerata dall'esercito essendo araba cosi' consentendole di iniziare a
   differenza di noi ebrei, gli studi postliceali all'eta' di 18 anni. Non
   sopporto questa mistificazione della realta'.

   LEI VESPA LO SA O NON LO SA ??? VUOLE DIRLO O NON DIRLO ??    LO
SAPPIAMO TUTTI O NO? VOGLIAMO DIRLE IN FACCIA QUELLA CHE E' STATA LA SUA VITA????
   GIUSY MONTI  LA SPEZIA

27/4/2004

Stimato Prof. Pelanda,
forse non si ricorda di me....le scrissi molto tempo fa in merito ad un Suo articolo sul GIORNALE che parlava di pace in medio oriente; di israeliani e arabi; di medici israeliani che aiutano bambini arabi e del trasferimento di questi ultimi anche in Italia. Oggi le scrivo in merito al film di Mel Gibson. Il "troppo" discusso (per pubblicità?) "La Passione di Cristo".
Da qualche giorno desideravo scriverLe per conoscere il Suo parere in merito a questo grande - me lo lasci dire - "bum" del film di cui sopra. Per curiosità, più di mio marito che mia (non amo seguire la folla), siamo andati a vederlo. Sinceramente ero un po' prevenuta, volevo trovare quell'antisemitismo di cui tanto si parlava, soprattutto perché io non sono antisemita e perché devo all’ebraismo il mio avvicinamento alla religione cristiana. Invece mi sono trovata davanti a un film dove, ben in mostra, emergevano tutte le peggiori "qualità" dell'umano unite in un solo termine "bestialità". Niente a che vedere con l'antisemitismo quindi, quanto invece un sunto di come l'uomo, l'essere intelligente, quello che dovrebbe essere a immagine e somiglianza dell'Altissimo, riesce, soprattutto in branco, a essere: la vera bestia!
Cristo, in questo film appare come colui - in ogni luogo di questo pazzo mondo - che viene massacrato dal branco. Mi viene in mente quel pover'uomo pestato a sangue dai teppisti quando venne in difesa di alcune ragazze; mi vengono in mente i poveri senza tetto - a volte extracomunitari - bruciati, calpestati, picchiati senza ragione da bande di scalmanati. Quelle che noi chiamiamo bestie non sanno essere così crudeli. Gli animali, infatti, aggrediscono per paura o per fame, mai per cattiveria che poi è parente stretta dell'ignoranza e dell'imbecillità.
Inoltre nessuno, ma proprio nessuno, parlando di quel film, ha detto quanto forte emerga il rapporto tra Cristo e la Madre (la Madonna).
Eppure è così chiaro. Lui riesce a sopportare tutto perché ha la forza negli occhi di sua madre. Già, la madre, la terra, Gea, quella che ci partorisce, che ci fa crescere e alla quale si ritorna. Che strano! Eppure questo rapporto così stretto, così forte, così emotivo, è trainante in tutto il film. E' la parte che fa commuovere, è la parte poetica nonostante si navighi nel sangue. La madre è la nostra forza!
Perché nessuno ne ha parlato, perché si è voluto, a tutti i costi, leggere quel film solo dal punto di vista della religione cristiana, dei vangeli, e non si è voluto "leggere fra le righe" il significato poetico e filosofico (il rapporto con la madre) e, men che meno, leggere il paragone fra l’umanità di allora e quella del giorno d’oggi: bestiale allo stesso modo. E' cambiato qualcosa da allora? Nulla! L’umano resta bestia e l'animale è, a confronto, un angelo di dolcezza. Chissà - mi chiedo - cosa avrebbe "letto" in questo film Pasolini. Forse lui lo avrebbe capito. Il sangue con tanto orrore descritto? Beh! Si sono visti film ben più insanguinati. E’ vero però che è un film cruento. Ma che strano: ci fa effetto solo perché vediamo in quell’uomo il Cristo? Dovrebbe viceversa farci effetto sempre: Cristo, in quel film, è l’immagine degli indifesi che, visibilmente e non, tutti i giorni, ognuno di noi calpesta. Chi non ha peccato scagli la prima pietra!

Con stima

Rita

27/4/2004

Una settimana di pianti e di ricordi e' appena passata.
I ragazzi israeliani, a scuola e a casa, hanno ricevuto una dose di sofferenza e di lacrime sopportabile forse solo se si e' ebrei e si ha nel DNA il gene del dolore.
Nella Giornata della Shoa' hanno pianto e hanno rivissuto con tristezza e disperazione la tragedia del loro popolo in Europa.
La vita in Israele e' scandita non solo dal terrore degli attentati ma anche dalle celebrazioni che ricordano il dramma di tutta la nostra storia. Ogni festivita' e' la rimembranza di un episodio di guerra, di deportazione, di distruzione, di anelo alla liberta' del popolo ebraico, cinquemila anni vissuti pericolosamente ma cinquemila anni gloriosi.
E' nel periodo dopo Pesach, la prima lotta per l'indipendenza degli ebrei, che incominciano i pellegrinaggi degli studenti israeliani al Memorial della Shoa' a Gerusalemme e ai campi della morte in Polonia.
Il grigio oscuro e e le tenebre di Aushwitz si popolano di giovani ebrei vivi che portano alte le bandiere di Israele. Sono immagini di un simbolismo incredibile e travolgente : i figli del popolo sterminato che alzano al cielo testimone di tanto dolore le bandiere del loro Paese rinato dopo duemila anni di persecuzioni.
Belli, liberi e fieri, i figli di Israele camminano confusi e spaventati tra i viali di quello che fu l'inferno d'Europa , guardano quel camino nero e poi, rivolti a Gerusalemme, recitano il Kaddish e cantano la Hatikva'.
Rivolti a Gerusalemme, a casa!
Asciughiamo le lacrime, ragazzi, oggi siamo liberi a casa nostra, e siamo liberi anche nel nome della cenere di sei milioni di nostri morti.

Liberi? Come liberi?
Solo ieri i cimiteri di Israele erano bagnati di lacrime.
Lacrime? Ancora? Si, lacrime per tutte le tragedie del dopo Shoa', lacrime per i fratelli, spesso fratellini di pochi mesi, di pochi anni , lacrime per le mamme e i papa', lacrime per qualche nonno e nonna che, sopravissuti laggiu' in Europa, sono stati ridotti in pezzi qui a casa loro mentre andavano a fare la spesa o una passeggiata, magari a mangiare il gelato con un nipotino. Sepolti insieme.

Liberi? Come liberi?
Nei cimiteri di Israele ci sono quasi mille tombe nuove, quelle di quest'ultima guerra, spesso tombe di famiglie intere morte insieme nello stesso attentato, tombe sulle quali piangono i sopravissuti di oggi, i sopravissuti del terrorismo arabo.
I ragazzi scout si sono sparpagliati per il Paese con le loro candeline in tasca per andare ad accenderle dove non c'e' piu' nessuno che lo possa fare. Hanno pulito e detto il kaddish per chi non aveva piu' nessuno che lo recitasse.
Liberi? Come liberi?
Ancora oggi c'e' chi vuole la nostra scomparsa, ancora oggi c'e' chi proclama che "Israele non ha senso di esistere".
Liberi? Come liberi?
Solo ieri, durante la Festa della Liberazione, in Italia, c'era chi urlava contro gli ebrei "nazisti, via di qua'" e sputava sulla bandiera della Brigata Ebraica che aveva combattuto a fianco degli alleati per liberare l'Italia dal nazifascismo.
Come si puo' essere liberi quando c'e' ancora tanto odio contro la democrazia, la liberta' , gli ebrei?
Eppure lo siamo. Noi siamo liberi, loro no.

Asciugate le lacrime, ragazzi di Israele, siamo liberi a casa nostra anche nel nome della cenere di sei milioni di nostri morti e dei 21792 dei nostri caduti.
Siamo liberi perche' "loro", tutti i nostri morti, hanno combattuto per la democrazia, per la pace, contro il terrore, come esseri umani, come israeliani e come ebrei.
Chi vuole odiarci faccia pure, schiavo del suo male
e del suo veleno.
Siamo liberi perche' siamo nel nostro Paese, si ci sono ancora problemi ma siamo a casa e parliamo ebraico, ridiamo in ebraico, litighiamo in ebraico, e pensare che volevano cancellarci dalla faccia della terra!

Siamo liberi perche' oggi possiamo festeggiare il cinquantaseiesimo compleanno di Israele.
Siamo liberi perche', con tutto il mondo (o la maggior parte di esso) contro sappiamo reagire e andare anche a divertirci e oggi i prati e le campagne di Israele sono pieni di ebrei che festeggiano il loro paese cantando, ballando e mangiando.
Siamo liberi perche' ascoltiamo le sirene che urlano per i nostri morti ammazzati e le ascoltiamo in piedi nelle nostre citta', nelle nostre piazze, nelle nostre autostrade, nelle nostre scuole, nelle nostre universita'.
Tutti insieme, un popolo intero e straziato in piedi, insieme, a ricordare.
Siamo liberi perche' , pur continuando a vivere pericolosamente, possiamo gridare" Viva Israele, Viva la liberta', Viva gli ebrei" .
Buon Compleanno Israele!


Deborah Fait

www.informazionecorretta.com

24/4/2004
Caro Sig. Pelanda.
Poiche' vivo negli USA, non riesco mai a leggere "il Giornale" che, per giunta, non ha neanche un sito web.
Un collega mi ha appena confermato della pubblicazione di un suo articolo,"Le colpe di Bruxelles", e che avremo cura di ripubblicare sul ns. sito internet, Legno Storto.
Ma lei che ha contatti con il Belpietro, perche' non gli da una sveglia facendogli capire che c'e' un'altra platea di alcune centinaia di migliaia di potenziali lettori in tutto il mondo?
Se non altro, caro Pelanda, la esorto ad una maggiore sollecitudine nel pubblicare i suoi articoli sul suo sito e faccia contento un emigrato.......me.
Cordiali Saluti
Franco Cimmino
24/4/2004

Spero vivamente che Ariel Sharon non dia seguito alle sue minacce e non uccida Yasser Arafat. Non sono un estimatore del leader palestinese, anzi ritengo che gran parte della responsabilità del mancato raggiungimento della pace in Medio Oriente sia da attribuire proprio a lui. Questi infatti per lungo tempo ha saputo ingannare tutto il mondo presentandosi come l’eroe della pace, stringendo la mano ai capi d’Israele, Rabin in primo luogo, Barak in secondo senza però estirpare mai quel cancro maligno chiamato terrorismo e che porta il nome di Hamas. Non solo, Arafat ha le mani sporche di sangue come le aveva lo sceicco Yassin e il suo successore Rantisi, i due leader di Hamas uccisi dagli israeliani. Sporche del sangue di tanti innocenti, vittime della follia dei kamikaze. Arafat piaccia o no ai suoi tanti estimatori, molti dei quali presenti in Italia (vedi Andreotti, vedi Diliberto, vedi i leader della sinistra antagonista) non può restare in Medio Oriente, la sua presenza è e sarà sempre un ostacolo alla pace.

Esiliare il leader palestinese potrebbe essere una possibile soluzione che permetterebbe ai palestinesi di trovarsi un nuovo leader in grado di combattere il terrorismo, tagliare la testa e i piedi di Hamas, assicurare finalmente la tranquillità allo Stato d’Israele e poi sedersi al tavolo della trattativa chiedendo il giusto riconoscimento di uno stato palestinese. Un leader che non sia compromesso con il terrorismo come lo è Arafat che prima di diventare capo del suo popolo, di professione faceva proprio il terrorista.

Le uccisioni di Yassin e di Rantisi sono  atti di legittima difesa da parte d’Israele e nonostante le condanne dell’Onu e della Comunità Internazionale, non possono che trovare il plauso di quanti non accettano il terrorismo come arma di difesa e di lotta. Uccidere Arafat produrrebbe però effetti controproducenti.

Il leader palestinese infatti a differenza dei primi due è riuscito ad accreditarsi agli occhi del mondo come un vero e proprio capo di stato, degno del massimo rispetto, riscattandosi dal suo passato di terrorista. Persino il Santo Padre vanta amicizia e stima per lui, i sovrani della terra lo hanno ricevuto con tutti gli onori nei loro sontuosi palazzi. Il suo assassinio farebbe troppo rumore, sarebbe difficilmente digerito e accettato. Agli occhi dell’opinione pubblica diventerebbe inevitabilmente un martire, un eroe mondiale come è avvenuto per Che Guevara, la storia, scritta sempre con la penna rossa, lo trasformerebbe in un simbolo della libertà dei popoli, il suo faccione finirebbe sulle bandiere sventolate nelle piazze. Una prospettiva che francamente mi inquieta e che spero di non dover vedere.

In secondo luogo un eventuale uccisione di Arafat,  contribuirebbe ad alimentare l’odio nei confronti d’Israele e degli ebrei in generale perché in questo caso la condanna dell’Onu, dell’Europa e di tutto il mondo musulmano sarebbe senza appello e provocherebbe una nuova e più violenta ventata di antisemitismo. Una minaccia quella di Sharon che se realizzata metterebbe in serie difficoltà e in pericolo le comunità ebraiche di tutto il mondo. Arafat non ci piace ma in questo caso è meno pericoloso da vivo che da morto.

Infine poi spero di non dover vedere Cossutta, Diliberto e Sandro Curzi piangere dagli schermi televisivi sul corpo del leader palestinese ed avere l’ennesima ghiotta occasione per imprecare contro Bush. Che pur non avendo dato alcun avvallo si troverebbero comunque sul banco degli imputati.

                                                                        Americo Mascarucci

Spero vivamente che Ariel Sharon non dia seguito alle sue minacce e non uccida Yasser Arafat. Non sono un estimatore del leader palestinese, anzi ritengo che gran parte della responsabilità del mancato raggiungimento della pace in Medio Oriente sia da attribuire proprio a lui. Questi infatti per lungo tempo ha saputo ingannare tutto il mondo presentandosi come l’eroe della pace, stringendo la mano ai capi d’Israele, Rabin in primo luogo, Barak in secondo senza però estirpare mai quel cancro maligno chiamato terrorismo e che porta il nome di Hamas. Non solo, Arafat ha le mani sporche di sangue come le aveva lo sceicco Yassin e il suo successore Rantisi, i due leader di Hamas uccisi dagli israeliani. Sporche del sangue di tanti innocenti, vittime della follia dei kamikaze. Arafat piaccia o no ai suoi tanti estimatori, molti dei quali presenti in Italia (vedi Andreotti, vedi Diliberto, vedi i leader della sinistra antagonista) non può restare in Medio Oriente, la sua presenza è e sarà sempre un ostacolo alla pace.

Esiliare il leader palestinese potrebbe essere una possibile soluzione che permetterebbe ai palestinesi di trovarsi un nuovo leader in grado di combattere il terrorismo, tagliare la testa e i piedi di Hamas, assicurare finalmente la tranquillità allo Stato d’Israele e poi sedersi al tavolo della trattativa chiedendo il giusto riconoscimento di uno stato palestinese. Un leader che non sia compromesso con il terrorismo come lo è Arafat che prima di diventare capo del suo popolo, di professione faceva proprio il terrorista.

Le uccisioni di Yassin e di Rantisi sono  atti di legittima difesa da parte d’Israele e nonostante le condanne dell’Onu e della Comunità Internazionale, non possono che trovare il plauso di quanti non accettano il terrorismo come arma di difesa e di lotta. Uccidere Arafat produrrebbe però effetti controproducenti.

Il leader palestinese infatti a differenza dei primi due è riuscito ad accreditarsi agli occhi del mondo come un vero e proprio capo di stato, degno del massimo rispetto, riscattandosi dal suo passato di terrorista. Persino il Santo Padre vanta amicizia e stima per lui, i sovrani della terra lo hanno ricevuto con tutti gli onori nei loro sontuosi palazzi. Il suo assassinio farebbe troppo rumore, sarebbe difficilmente digerito e accettato. Agli occhi dell’opinione pubblica diventerebbe inevitabilmente un martire, un eroe mondiale come è avvenuto per Che Guevara, la storia, scritta sempre con la penna rossa, lo trasformerebbe in un simbolo della libertà dei popoli, il suo faccione finirebbe sulle bandiere sventolate nelle piazze. Una prospettiva che francamente mi inquieta e che spero di non dover vedere.

In secondo luogo un eventuale uccisione di Arafat,  contribuirebbe ad alimentare l’odio nei confronti d’Israele e degli ebrei in generale perché in questo caso la condanna dell’Onu, dell’Europa e di tutto il mondo musulmano sarebbe senza appello e provocherebbe una nuova e più violenta ventata di antisemitismo. Una minaccia quella di Sharon che se realizzata metterebbe in serie difficoltà e in pericolo le comunità ebraiche di tutto il mondo. Arafat non ci piace ma in questo caso è meno pericoloso da vivo che da morto.

Infine poi spero di non dover vedere Cossutta, Diliberto e Sandro Curzi piangere dagli schermi televisivi sul corpo del leader palestinese ed avere l’ennesima ghiotta occasione per imprecare contro Bush. Che pur non avendo dato alcun avvallo si troverebbero comunque sul banco degli imputati.

                                                                        Americo Mascarucci

19/4/2004

Caro Mr.Carlo Pelanda,

 
Zapatero è un vigliacco. Punto.
I fatti hanno dimostrato che Bin Laden ha vinto le elezioni in Spagna.
e determina la politica estera di paesi dell'Europa Occidentale.
 
per quanto riguarda l'esecuzione di Rantisi e quella di Yassin,
provo vergogna per i governi europei.
 
Rantisi e Yassin erano i leader dell'organizzazione terroristica Hamas.
responsabile di innumerevoli massacri di innocenti civili israeliani.
Quanti 11 Settembre Israele ha subito dai terroristi palestinesi ?
 
Hamas è un'organizzazione terroristica tanto quanto Al Qaeda.
 
la posizione dei governi europei e dell'UE di fronte all'esecuzione
di Rantisi e Yassin è vergognosa, collaborazionista, ributtante,
ipocrita.
 
mi dissocio con decisione dalle posizioni dei governi europei
ed esprimo le mie congratulazioni a Mr.Sharon
e al Governo Israeliano per la brillante operazione.
Auspico che anche il terrorista di lungo corso Arafat
venga quanto prima giustiziato da Israele.
 
cordiali saluti
 
Greg Palusa 
16/4/2004

Egregio Professore buongiorno.

 Parliamo d'Iraq.
 Dopo decenni di guerra islamica di penetrazione religiosa e politica dei
 territori adiacenti agli stati mussulmani.
 Dopo milioni di morti ammazzati con vari pretesti tra le popolazioni e le
 etnie di religione diversa (quanti milioni di morti?)
 Dopo guerre sanguinosissime finite e/o non finite, a sfondo religioso o
 petro-religioso: Cecenia (?) , Bosnia (?), Timor, Filippine, Sudan, Corno
 d'Africa, Ciad, Nigeria, Centrafrica e via cantando.
 Dopo decine di migliaia di morti ammazzati dal terrorismo fondamentalista.
 Dopo l'infernale esperienza dello stato talebano d'Afghanistan con la
 distruzione di quel poco di struttura sociale rimasta alla fine della
 guerra tra russi e majaheddin, e le statue di Buddah fatte saltare con la
 dinamite.
 Dopo l'inferno in terra costruito dai terroristi fondamentalisti in
Algeria e le decine di migliaia di poveri cristi sgozzati in modo bestiale.

 Dopo tutto ciò è cominciato il terrorismo che ha toccato direttamente
 l'occidente.

 A quel punto finalmente qualcuno che ancora è capace di difendersi, visto
 che l'ONU è una specie di costosissima bocciofila inconcludente, ha
 cominciato a menare le mani, ed a piena ragione. Quel qualcuno ha cacciato
 i Taliban dall'Afghanistan e poi ha invaso l'Iraq, cacciando Saddam.
 Io credo che le armi di distruzione di massa fossero solo il pretesto, che
 la protezione data al terrorismo era solo una ragione secondaria, che il
 petrolio era a disposizione prima dell'invasione più che adesso. La
 decisione d'invadere l'iraq sta in una strategia sacrosanta di cambiamento
 dell'ordine mondiale.
 L'iraq era, ed è, il paese più debole e peggio armato del golfo persico, e
 sta in una posizione baricentrica rispetto agli altri paesi arabi. Io
spero che gli Stati Uniti abbiano costituito una testa di ponte da cui non si
 muoveranno fino a quando:
     -Tutti i mussulmani si siano abituati ad andare alle urne per eleggere
 i loro governanti.
     - Che si siano abituati a portarci anche le signore, i figli e le
 figlie maggiorenni.
     - Che i monarchi abbiano emanato la costituzione del relativo stato e
 fatto eleggere un parlamento ed un governo.
    - Che i governi relativi si preoccupino di investire il fiume di denaro
 che viene dai pozzi di petrolio in istruzione e benessere per i cittadini
 invece che in rubinetti d'oro..
    - Che i sacerdoti si occupino della vita eterna dei fedeli senza
 incentivare direttamente la dipartita per il paradiso.
    - Che la necessità degli arabi di espatriare si annulli e si inverta la
 tendenza.
 Questo è il vero terrore dei DOMINANTI di quelle terre, mullah, sceicchi,
 re, militari e satrapi vari : che l'Iraq possa diventare il seme di
libertà che annullerà il loro privilegiato potere.
 Perchè quello che si sta verificando oggi in Iraq NON E' una rivoluzione
di popolo, ma è LA REAZIONE DEI DOMINANTI sia iracheni che confinanti.
 Questa reazione deve essere vinta.

 E attenzione, signori media-dipendenti occidentali: l'arma più potente
 nelle mani di questi DOMINANTI ISLAMICI è la manipolazione del consenso
dei cittadini occidentali, quel consenso che determina l'elezione di un
governo imbelle o di uno belligerante, come la Spagna ci ha mostrato.
 Stalin e l'URSS manipolavano il consenso con la propaganda, l'Islam, che
 non ci convincerà mai con la propaganda, lo manipolerà col terrore, e sarà
 lunga.

 cordialità
G. Pinciroli

15/4/2004

Stim.mo Prof. Pelanda,

 
approfitto brevemente della Sua disponibilità "informatica", come mi è accaduto un paio d'anni fa, per porre l'accento su una situazione che sto vivendo da qualche anno, in ambito lavorativo. Peraltro, l'argomento esulerebbe un pò da ciò di cui Lei si occupa nei suoi lavori, nelle sue pubblicazioni, tuttavia l'esperienza personale che segue è farcita di tutto ciò io definisco "mala-gestione" e che talvolta costituisce motivo o spunto di riflessione sull'andamento (o sull'andatura) di alcune realtà economiche del nostro Bel Paese. Circa nove anni fa sono entrato a far parte di un'organizzazione sindacale datoriale, dopo aver superato un vero e proprio "concorso": prova scritta di sei ore, preceduta dall'invio di una tesina di carattere generale sul settore economico nel quale l'organizzazione sindacale è impegnata; successiva prova orale, dinanzi ai componenti della giunta esecutiva, con tanto di Presidente e direttore. Ero l'unico partecipante a provenire da una provincia vicina (e più affollata). Così iniziai ad occuparmi di "categorie", intese come le diverse attività economiche che, messe tutte insieme, costituiscono uno dei grandi comparti economici del tessuto imprenditoriale nazionale (ad es. industria, commercio, ecc.). L'organizzazione provinciale era, ed è, "abitata" da una cinquantina di dipendenti, tra cui un direttore e due quadri (io sarei uno di quei due quadri), che si occupano di consulenza a 300° (non proprio 360°). L'impatto con i miei colleghi è stato...bè, ancora oggi non riesco a spiegarmelo. Il fatto è che la mia "diversità", che consiste puramente e semplicemente nella mia appartenenza ad una provincia diversa, è sempre stata un problema...per i miei colleghi, comunque. Questo aspetto, però, passa in secondo piano rispetto al seguente: ad eccezione dello scrivente e di una dozzina di altri soggetti, il resto del personale (direttore compreso) sono entrati a far parte dell'organizzazione grazie a pedate, manate, ecc. ecc. Così accadde che, quando mi trovai a dover dare disposizioni operative a qualche mio collaboratore, nel giro di pochi minuti ero io a fare le cose al posto loro...con ovvia perdita di tempo (e denaro, quello degli associati all'organizzazione stessa!). Sono trascorsi alcuni anni, ma la situazione non è cambiata, anzi, è decisamente peggiorata...denaro sprecato in risorse umane piuttosto impreparate, necessariamente "da assumere". Di recente, il direttore, scuola dell'obbligo, ex-segretario di sindacato, ex-segretario di partito, non ex-consigliere di amministrazione di una cassa di risparmio, non ex-amministratore delegato di una società di servizi (di emanazione associativa), decide di andare in pensione (solo come direttore, ovviamente). Chissà che concorso (penso io)! I candidati verranno sottoposti sicuramente ad un paio di prove scritte, più altrettante prove orali ed un test attitudinale per valutare la predisposizione al comando, la capacità di gestione-soluzione dei problemi. Niente di tutto questo, niente di niente...solo un nome già noto, un luogo di nascita a garanzia della denominazione di origine e, soprattutto, l'essere "dei loro". Il direttore ha convinto tutti..."è lui il mio successore". Così va il (bel) mondo! Ed ora debbo interloquire con uno che, anzichè valutarmi per quel che so, si chiede "ma come fa un torinese a trovarsi qui?"...perchè la regola è lui, o quelli come lui. Ed io, o quelli come me....che cosa siamo?
 
 
Cordialità e stima
 
Massimo  Z.
7/4/2004

Gentile professore,

nell’ultima mia ho ignorato, per brevità, che accanto al suo articolo, lunedì 29/03/04, compariva la voce del Premier “taglierò le tasse e le feste”. Ho ritenuto che lei doveva esserne già informato quando ha scritto le sue righe, visto che il ministro Tremonti, aveva già detto il giorno prima, “Berlusconi ha un piano per rilanciare l’economia”.

“Ecco”,  mi sono detto, “ha ignorato l’ennesimo annuncio, la politica degli annunci ha scoraggiato anche il prof. Pelanda”. Invece ecco il suo articolo, un 3% addirittura di incremento del pil, mi scusi, ha usato le foglie del tè o il fegato di un pollo per stabilire l’entità economica di una riforma di cui il Premier ha detto “ci penserò un mese, e poi dirò come”?.

Interessante e significativo poi quel suo vedere nell’entità del rischio rapportato con il profitto sperato la moralità dell’imprenditore  italico. Un mafioso può venire legittimato dal rapporto profitto/rischio?.

Suo

Gualtiero Giovanni.

ps.

Dal 31/03/04 sono di nuovo senza lavoro. Ricordo perfettamente che quando questa maggioranza introduceva la legge “Biagi” in TV ne faceva pubblicità dicendo, tra le altre cose, che gli over 45 avrebbero avuto migliori opportunità di lavoro.

quando questa legge è entrata in vigore, della vecchia pubblicità scomparve quasi tutto tranne l’annuncio per gli over.

Ho l’impressione che sia la solita bufala berlusconiana. Ha informazioni diverse? Se si me le può indicare?, mi servirebbero per il mio curriculum.

3/4/2004

Meno male, caro Pelanda che c’è Oriana Fallaci. La scrittrice con i suoi romanzi è l’unica a ricordarci che esiste un pericolo Islam e che è necessario contrastare con ogni mezzo l’avanzata musulmana in Europa. Dopo “La Rabbia e l’Orgoglio”, la coraggiosa giornalista che ha un curriculum professionale di tutto rispetto conquistato rischiando come pochi altri la vita sui campi da guerra, ha dato alle stampe un nuovo romanzo intitolato “La Forza della Ragione”. Non vedo l’ora di poterlo acquistare perché ritengo che personaggi come la Fallaci siano da conservare e valorizzare come specie protette.

In questa Europa, dove tutti si riempiono la bocca con parole come “tolleranza, multiculturalità” stiamo perdendo le nostre radici. Gli islamici si stanno espandendo sempre di più in tutti gli stati europei, si stanno impadronendo di interi quartieri, stanno disseminando il terrore in tutto il mondo occidentale. Ogni mese in Italia ma anche all’estero, con l’avvicinarsi del fatidico giorno undici cresce l’ansia e la preoccupazione di nuovi attentati terroristici. L’undici aprile è il giorno di Pasqua, io cattolico evito di andare in Vaticano perché temo una strage terroristica in Piazza San Pietro: l’undici di giugno, vigilia delle elezioni europee, farò di tutto per stare lontano dalle città evitando metropolitane o stazioni ferroviarie per paura che possa ripetersi ciò che è avvenuto a Madrid. E quando mi trovo vicino per strada un marocchino cerco di allontanarmi il più possibile perché ho sempre il sospetto che possa trattarsi di un potenziale terrorista.

Mentre tutti noi viviamo nell’incubo, la Comunità Internazionale grida allo scandalo perché il governo israeliano ha ucciso lo sceicco Yassin capo di Hamas. Un criminale con la C maiuscola, mandante di attentati e stragi, ispiratore dei kamikaze che si fanno esplodere in Medio Oriente provocando la morte di tanti innocenti. Sharon ha fatto bene ad abbatterlo così come è pienamente giusta e legittima la costruzione del muro che impedisce ai terroristi palestinesi di entrare in territorio israeliano e compiere nuovi attentati. E’ inutile che i no global, Rifondazione Comunista, quelli del Forum “Palestina Libera” gridino allo scandalo. Israele ha il sacrosanto diritto di difendersi senza se e senza ma ed Hamas, piaccia o no è un gruppo terroristico, non un comitato di liberazione. Il diritto alla sicurezza viene prima di ogni altra cosa e quindi ritengo che i cori di condanna contro Israele per l’uccisione di Yassin da parte dell’Europa siano ingiustificati e fuori luogo. Anzi, se si può rivolgere una critica a Sharon è proprio quella di aver agito troppo tardi. Se Yassin fosse stato eliminato prima, tanto sangue forse sarebbe stato risparmiato.

Il nuovo libro della Fallaci è senza dubbio utile a risvegliare l’orgoglio del mondo occidentale e cristiano contro l’invasione degli islamici. Da tempo sono convinto che la convivenza con i musulmani sia per noi praticamente impossibile: sono troppe le cose che ci differenziano. La storia ci ha purtroppo insegnato che dove i seguaci di Allah hanno prevalso sui cristiani, questi ultimi sono scomparsi. E’ ciò che vorrebbero personaggi come Adel Smith che certamente non resterebbero disgustati da un attentato islamico a Roma, come non lo sono rimasti per quello alle Torri Gemelle o alla metropolitana di Madrid. Per questo chi come me, rispetta i musulmani ma diffida profondamente di loro, non può che sentirsi sollevato nell’apprendere che nel mondo c’è Oriana Fallaci: una donna che ha il coraggio di scrivere che l’Islam è pericoloso, che la Comunità Internazionale e la Chiesa stanno sbagliando a sottovalutare il pericolo continuando a distinguere fra Islam integralista e moderato, a difendere Arafat e il popolo palestinese e che la tanto sbandierata multiculturalità, non è altro che un’arma nelle mani dei musulmani per integrarsi in Occidente e gettare le basi per islamizzare l’Europa e il mondo intero. Non vogliamo proprio morire seguaci di Allah.

 

 

 

                                                                                    Americo Mascarucci  

29/3/2004

ANTISEMITISMO
&dintorni, n.1


Cari amici,
i miei nuovi interessi mi portano a rioccuparmi da un punto di vista antropologico di antisemitismo soprattutto della sua ultima versione, l'antisionismo, e di tutto ciò che vi è connesso.
Infatti, a differenza di 25 anni orsono (quando ho iniziato ad occuparmi anche politicamente di questo problema) soprattutto dopo l'11 settembre 2001, sono giunta alla convinzione che l'antisemitismo in tutte le sue forme sia solo l'escrescenza più evidente di quel fenomeno più ampio che è la paura della democrazia e dei suoi valori.
Per dirla in termini medici, l'antisemitismo è un sintomo; la sua malattia è la visione autoritaria della società e il tentativo, spesso violento, di applicarla politicamente. Infatti, chi non ha il rispetto per l'altro non ha, di conseguenenza, remore morali rispetto all'assassinio politico. E' ciò che vediamo accadere in Israele, ma anche nelle Filippine, in Irlanda e altrove.
Traduzioni come questa qui sotto che vi invierò in futuro compatibilmente con i miei impegni sono di articoli di grande interesse, scelti con l'obiettivo di capire insieme questo movimento antidemocratico che è in atto nel mondo e che ci riguarda tutti.
Un carissimo saluto,
Alma Cocco

Anti-Semitismo a tre dimensioni
di NATAN SHARANSKY

Jerusalem Post, Feb. 23, 2004

Questa settimana ho preso parte a un convegno sull'antisemitismo in Europa. Guidato al presidente della Commissione europea Romano Prodi, il convegno metteva insieme leader da tutto il mondo determinati a combattere la nuova ondata di antisemitismo che ha ingolfato l'Europa negli ultimi anni.
Il problema è il 'come' le sincere intenzioni dei partecipanti a combattere il male possa essere tradotta in azione effettiva.
L'esperienza mi ha convinto che la chiarezza morale diventa critica nel prendere posizione contro il male. Il male non può essere sconfitto se non viene riconosciuto, e la sola via per riconoscere il male è stabilire chiare linee morali. Il male prospera quando quelle linee sono confuse, quando il torto e il diritto sono materia di opinione piuttosto che verità obiettiva.
Questo è ciò che rende la battaglia contro il cosidetto nuovo antisemitismo così difficile. Agli occhi moderni del mondo libero l'antisemitismo classico è facilmente discernibile. Se vediamo film che mostrano gli ebrei mentre succhiano il sangue dei bambini dei gentili o mentre complottano per occupare l'intero mondo, la maggior parte di noi non avrebbe difficoltà a riconoscere queste pellicole come antisemite.
Questi film, prodotti di recente in Egitto e Siria dai media controllati dallo Stato, e fatti vedere via satellite a centinaia di milioni di musulmani, compresi i milioni di immigrati in Europa, si servono di argomenti e frottole che ci sono familiari.
Ma il nuovo antisemitismo è molto più sottile. Mentre il classico antisemitismo era orientato contro la religione israelita o contro il popolo ebraico, il nuovo antisemitismo è visibilmente diretto contro lo Stato ebraico. Dal momento che questo nuovo antisemitismo può nascondersi dietro l'apparenza delle legittime critiche ad Israele, esso è molto più difficile da svelare.
Infatti, nel recente passato, ogniqualvolta abbiamo criticato pronunciamenti anti-israeliani particolarmente virulenti e le loro radici antisemite, la risposta è stata invariabilmente che noi stiamo cercando di soffocare le legittime critiche verso Israele etichettandole come antisemite.
Ciò che è emerso in questo convegno è l'ammissione, da parte degli stessi leader europei, che non tutte le critiche ad Israele sono legittime. Questo riconoscimento era evidente nelle osservazioni del presidente Romano Prodi, del ministro degli esteri tedesco, Joschka Fischer, e di altri funzionari.
Se non tutte le critiche sono valide, come definire la linea di confine?
Propongo il test seguente per differenziare le critiche legittime ad Israele dall'antisemitismo. Il test a tre dimensioni (3D), come io lo definisco, non è niente di nuovo. Si tratta di applicare al nuovo antisemitismo gli stessi criteri che per secoli hanno identificato le diverse dimensioni dell'antisemitismo classico.
La prima D è il test di demonizzazione. Laddove raggiunse la forma di accusa collettiva di deicidio o la descrizione letteraria dello Shylock di Shakespeare, gli ebrei vennero demonizzati per secoli come la materializzazione del male. Perciò oggi dobbiamo esser cauti nel giudicare se lo Stato ebraico sia demonizzato per aver travalicato in misura considerevole con le sue azioni i suoi limiti.
Per esempio, paragonare Israele ai nazisti e i campi-profughi ad Auschwitz – confronto che si sente fare praticamente ogni giorno nell'ambito dei quartieri illuministi europei, può essere considerato solo come antisemita. Coloro che stabiliscono tali analogie, o non sanno niente della Germania nazista, o, più plausibilmente, stanno cercando deliberatamente di descrivere il moderno Israele come materializzazione del male.
La seconda D è il test del doppio standard. per migliaia di anni un chiaro segno di antisemitismo è stato trattare gli ebrei in modo differente rispetto alle altre nazioni, a cominciare dalle leggi discriminatorie che molti Stati hanno istituito contro di loro fino alle semplice tendenza di giudicare il loro comportamento con un metro differente.
Analogamente, oggi dobbiamo chiederci se le critiche ad Israele vengono applicate in modo selettivo. In altre parole, politiche simili attuate da altri governi sono in grado di generare lo stesso criticismo, oppure vi è un doppio standard di giudizio?
E' antisemitismo, per esempio, quando Israele viene accusato dall'ONU di violazione dei diritti umani mentre autentici e veri violatori di tali diritti come la Cina, l'Iran, Cuba e la Siria sono ignorati.
Analogamente, è antisemitismo quando al Magen David Adom è negata l'ammissione alla Croce Rossa Internazionale, unico caso al mondo tra i servizi di ambulanza.
La terza D è il test di delegittimazione. In passato, gli antisemiti tentavano di negare la legittimità della religione ebraica, del popolo ebraico o di entrambi. Oggi essi tentano di negare la legittimità dello Stato ebraico, presentandolo, tra l'altro, come le ultime vestigia del colonialismo.
Mentre le critiche alla politica israeliana possono non essere antisemite, la negazione del diritto di Israele ad esistere è sempre antisemita. Se altri popoli hanno il diritto di vivere in sicurezza nelle proprie case, allora anche gli ebrei hanno il diritto di vivere in sicurezza nelle proprie case.
Per ricordare il test delle 3 D, suggerisco di ricordare quei fim a 3 dimensioni che abbiamo visto nell'infanzia. Senza gli speciali occhiali, il film appariva confuso. Ma quando mettiamo i nostri occhiali lo schermo diventa vivo e vediamo perfettamente ogni cosa con estrema chiarezza.
In modo analogo, se non indossiamo gli occhiali giusti, la linea tra le critiche legittime ad Israele e l'antisemitismo apparirà confusa e non saremo capaci di riconoscere questo male antico, e tanto meno di combatterlo.
Ma se indosseremo gli occhiali speciali per il test a 3D -se saremo quindi in grado di testare se Israele viene delegittimato o demonizzato o giudicato col metodo del doppio standard, saremo sempre in grado di vedere l'antisemitismo con chiarezza.
E con chiarezza morale, non ho dubbi che i nostri sforzi per combattere questo male saranno molto più efficaci.

NATAN SHARANSKY
The writer is Israel's Minister of Diaspora Affairs and Jerusalem.
Fonte: Seeing Anti-Semitism in 3D -

25/3/2004

Bravo !
 La ringrazio per il contributo allo sforzo di salvare l' Impresa in
Italia, in Europa, attraverso l' articolo di fondo di lunedì 22 u.s. de L' Arena.
 Desidero integrare le Sue proposte con alcuni pensieri che, da tempo,
 rimugino nella mia testa di imprenditore tessile.

 Concordo sulle soluzioni che pure Lei ha evidenziato: la necessità di
 svalutare il super Euro e la necessità di rilanciare l' economia attraverso una più
 flessibile politica di spesa dello stato.   Purtroppo queste due cure
 -indispensabili- sono osteggiate dagli attuali padroni d' Europa: i
 finanzieri.
 Oggi la finanza comanda su tutto; non è più un mezzo per facilitare la
 creazione di ricchezza, ma è divenuta il fine della creazione della ricchezza.
 Dal mio punto di vista è chiaro che l' Europa non può permettersi di porre
 la finanza prima della manifattura: 400 milioni di Europei non possono
 permettersi di vivere di finanza, nè tantomeno di nanotecnologia!; devono anzi
 rimboccarsi le maniche e farsi tornare voglia di lavorare.  E devono sperare di far
 tornare la voglia di investire ai loro imprenditori che, oggi, non riescono più a
 remunerare i loro investimenti in capitali e, a loro volta, trovano più
 facile e sicuro spostare le loro diponibilità nel mattone.
 Proprio dei brutti ingredienti, non c'è che dire.  Dai quali non ne potrà
 uscire che un piatto che si chiama recessione.

La manifattura europea, non il tessile italiano, la manifattura europea
non può competere con possibilità di successo contro la Cina perchè, ad esempio,
nel mio settore ...
    ... il renmimbi è sottovalutato del ca. 30 % sul dollaro, che a sua
volta    vale nei confronti dell' Euro un ca. 20 % in meno della logica.
    ... perchè quando una società tessile europea cerca di vendere in Cina
 deve    pagare il 34 % di dazio, mentre quando una azienda cinese viene in
europa    paga solo l' 8 % ottenendo però, adl suo governo, un ristorno all'
    esportazione del 17 %.   Non si spiegano altrimenti dei prezzi di
 prodotti    finiti inferiori alle stesse materie prime.
    ... perchè la Cina continua a finanziare imprese che provocano
 occupazione e    le ricapitalizza quando queste, vendendo sottocosto, provocano delle
 perdite.
 E qui mi fermo, senza parlare di minor costo della manod'opera, di
 inesistenti costi di rispetto dell' ambiente o dell' Uomo sul posto del lavoro, di un
 ambiente favorevole allo sviluppo dell' impresa perchè ad essa è
 riconosciuto un ruolo indispensabile .   Vantaggi che potrebbero certo esssere affrontati,
e spesso sconfitti, dall' efficienza e dalla innovazione europea.

 Lei ha ragione quando parla di recupero di competitività come di un passo
 indispensabile per mantenere la nostra ricchezza.
 Come poter incementare la competitività del nostro sistema???   La mia
 proposta è certo più facile a dirsi che a realizzarsi, soprattutto perchè necessita
 di una presa di coscieza europea e non italiana: del resto però il problema
 dell' occupazione è un problema europeo e va risolto a quel livello ...
 ... io propongo di non far più gravare i costi dello stato sociale sulla
 testa che lavora, oggi sempre in numero inferiore, ma di tagliarli sulla testa
che consuma.

 In sostanza credo sia indispensabile rendere più competitivo il lavoro
 europeo sgravandolo di tutti i contributi e destinare alla loro raccolta una nuova
 IVA,
 applicata al prodotto consumato.   In tal modo i nostri costi sociali, che
 non cambierebbero ... non entro nella polemica pensionistica, anche se è e
sarà un tema sempre più attuale, sarebbero pagati dal consumo: più un paese è
ricco e consuma e più è in grado di contribuire al proprio stato sociale.
Inoltre gli stessi costi sarebbero spalmati sia sulle merci prodotte in occidente, sia
 sulle merci importate dal meno caro oriente.   Le prime diverrebbero un pò più
 competitive a scapito delle seconde che subiranno un nuovo onere.
Questa soluzione portebbe un ulteriore conseguenza positiva verso il rispetto
delle leggi: mi riferisco alla guerra al lavoro sommerso, al "nero".   Infatti
il consumatore che decidesse di acquistare dei prodotti in nero, sarebbe
 consapevole di evadere pure la provvista che servirà, un domani, a
 finanziare la
 propria pensione.

 Sono un uomo fortunato perchè domenica scorsa sono tornato da una missione
 da S. Francisco, California.    Massimo Calearo, illuminato Presidente dell'
 associazione degli industriali vicentini, ha portato l' intera Giunta a
 visitare due tra le più famose università, Berkley e Stanford, le maggiori imprese
 gestite da italiani nella famosa Silicon Valley ed altre grandi imprese
che sono solite condividere progetti, ricerche, start up con le nominate
università.
 Per nove giorni abbiamo approfondito la storia e gli eventi che hanno
 sviluppato il più grande ed influente distretto del silicio e delle nuove tecnologie
 nel mondo.   Abbiamo parlato con professori, imprenditori, ventur capitalist,
 scienziati, ricercatori, giornalisti, storici; abbiamo partecipato a
 seminari, convegni.   L' obiettivo del viaggio, che sono certo avrà una
significativa influnza su molte aziende vicentine e quindi nella vita di migliaia di
 cittadini!, è stato soprattutto l' approfondimento di come funzionano i
 collegamenti tra sistema universitario ed impresa.   Una esperienza
davvero ricca, per la quale il mio senso di debito nei confronti l' associazione
di Vicenza è forte.    Nel visitare i laboratori di Stanford finanziati dal
 privato cittadino,  Mr. Packard (socio fondatore di HP), abbiamo riflettuto a
quanto fosse diversa la cultura dei nostri capitani d' impresa italiani che,
invece di investire in attività filantropiche che certamente darebbero sviluppo e
 successo al nostro paese, spendono centinaia di miliardi nelle sposorizzazioni di
 squadre calcistiche.  > Gentile Dottor Pelanda,
 è chiaro che parlare di ciò, magari dandoci ragione a vicenda, serve
proprio a poco !
 Credo sia tempo di agitarsi e per questo i direttori della associazioni di
 Vicenza e Verona mi leggono in copia.

 Con cordialità

 Antonio B. imprenditore tessile

19/3/2004

Egregio prof. Pelanda,

come tutti i componenti della mia famiglia, sono un lettore assiduo de “Il Giornale”; tutti apprezziamo i suoi articoli, spesso volti a denunciare la situazione catastrofica in cui versano le nostre istituzioni universitarie e culturali. La mia situazione odierna conferma appieno le sue idee!

Sono un Dottore di Ricerca in Storia Antica: mi sono laureato nel 1995 (110/110 e lode, senza andare fuori corso). Nel 1997 ho partecipato a un concorso per l’assegnazione di un posto di Dottorato di Ricerca in Storia Antica, vincendolo; dopo tre anni di ricerca e assistenza universitaria, nel maggio 2001 ho discusso la mia dissertazione ottenendo il PhD. Nel giugno 2001 ho partecipato a un concorso per una borsa di studio post-dottorato, vincendolo; la mia borsa di studio è terminata a fine maggio 2003. Da allora ho continuato a rimanere “operativo” nella mia sede abituale di ricerca (in modo assolutamente gratuito), continuando le mie attività, producendo alcuni scritti e revisionando (in lingua inglese) la dissertazione di dottorato, ora pronta per la pubblicazione. La mobilità non costituisce per me alcun problema, ed ho tentato anche la via estera, facendo domanda per una borsa di studio in Germania (purtroppo, nessun finanziamento è stato concesso a studiosi dell’area umanistica, e ho avuto credibili garanzie che il mio progetto di ricerca non avrebbe avuto difficoltà ad aggiudicarsi un eventuale contributo), e una domanda per una “Lectureship” a due università del Regno Unito (anche in questi due casi, però, nessun risultato).

Lo scorso agosto 2003 ho preparato un progetto per ottenere un assegno di ricerca che il responsabile scientifico (nonché mio professore “di riferimento”) voleva richiedere specificamente per me; l’assegno è stato finanziato, il bando è stato emesso, ma il responsabile mi ha chiesto di farmi da parte; anzi, la richiesta è stata quella di partecipare al concorso, arrivando però secondo e lasciando vincere una “particolare” studentessa, da sempre sua favorita. Davanti alle mie rimostranze, ad una serie di cogenti argomentazioni scientifiche (incompetenza sull’argomento dell’assegno da parte della studiosa) ed umane (divento padre fra due mesi, e sono a piedi con il lavoro da un anno), mi è stato risposto che avevo ragione al 100%, ma che lui non aveva altra via d’uscita che “farmi fuori”!

A questo punto, devo considerare conclusa la mia esperienza universitaria, ma questo mi pesa in modo tremendo, perché ciò che ho fatto fino ad oggi è stato realmente la mia vita. Ma ho quasi 33 anni, una famiglia e un figlio che sta per arrivare, e non posso permettermi di attendere ancora (sapendo, inoltre, che di fronte a qualsiasi altra “favorita” verrò nuovamente scannato sull’altare del sacrificio); inizio ora a vivere un’ulteriore difficoltà, quella di riciclarsi e trovare un altro impiego.

Mi farà un immenso piacere se troverà il modo e un attimo per rispondermi. Con viva cordialità,

 

  1. Efrem Zambon
19/3/2004

Gentile Professore

Mi vorrei allacciare ad alcune affermazioni del nostro Presidente Ciampi.

“L’economia ha bisogno di uno scossone perché è in stagnazione”. Più o meno ha detto così.

Lo scossone è semplice ma nessuno si adopera per darlo.

L’euro tropo forte ci massacra.

Per lavoro opero nel settore degli acciai. In pochi mesi sono aumentati del 40 – 60% mettendo in difficoltà numerosissime imprese.

Chi ha fato appalti ha quotato su prezzi di un anno fa. Chi quota usa prezzi attuali.

Chi lavora per l’estero, usando i prezzi attuali e “grazie” alla forza dell’euro si ritrova fuori mercato contro chi opera in dollari.

Quoto per Libia e mi ritrovo i Canadesi a “farmi le scarpe”.

Compri acciaio, tubi d’acciaio, ferro da costruzione e lo ritrovi alto perché i cinesi hanno comprato tutto (ma non c’era un surplus d’acciaio in Europa?).

 Che fanno i nostri politici europei? Nulla.

Se escludiamo qualche articolo u “Il Sole 24 ore” non se ne parla e, intanto,le imprese perdono soldi.

E poi ci si lamenta che l’economia non decolla.

Ma dove vivono?

P.S. ho affrontato il solo problema dell’acciaio perché mi colpisce da vicino ma situazioni simili valgono per tanti altri settori. La scorsa estate il ministro Tremonti lanciò l’allarme ma nulla più.

 

Suo Antonio Monesi

19/3/2004

 

 Sono stata colpita  profondamente dal vile attentato islamico contro civili spagnoli inermi.
 
 Conoscendo la gloriosa ed orgoliosa storia del popolo spagnolo sono rimasta colpita dalla reazione di fuga seguita a questo vile attentato, e dalla precipitosa decisione  del nuovo governo di ritirare  le truppe spagnoli dall' Iraq.
 
Non oso pensare cosa averebbe fatto l'orgolioso popolo spagnolo e il suo coraggioso governo se avesse subito  solamente una parte della aggressione terroristica a cui e' sottoposto Israele da piu' di 50 anni.
 
 Mi auguro e Vi auguro  di non subire piu attenati islamici in territorio spagnolo, anche perche' temo che un ulteriore attentato possa indurre il nuovo leader spagnolo a ritirare  il suo esercito dalla spagna ed affidarla nelle mani degli islamici.
 
Con viva preoccupazione
 
Claudia Collina
17/3/2004

             Grosseto  17.3.2004
 Caro Pelanda,
      sappiamo dalla storia che il terrorismo non vince mai, non
 retoricamente, ma in pratica;  è per la sua stessa natura incapace di
 produrre gli esiti sperati dai suoi autori ed ai suoi ideatori.
 Se gli ideatori sono veramente quello che dicono di essere.
 Per quanti danni e vittime esso produca non può produrre effetti diversi
 da quelli psicologici, pure importantissimi.
 I suoi estimatori e la manovalanza lo seguono finchè mantiene un profilo
 nuovo e, per una mente semplice, vincente; poi si ritirano e
 "dimenticano tutto".
 Oggi è nella fase di crescita e trova adepti con grande facilità, elegge
 il governo spagnolo come aveva deciso di fare lo scorso anno, ucciderà
 ancora molte persone, forse, scatenando una reazione che, alla fine,  lo
 travolgerà.
 Perchè oltre la paura c'è il coraggio.
 L'evoluzione e l'involuzione possono durare anche decenni, ma l'esito è
 scontato.
 Aspettarsi dall'Europa continentale una reazione diversa dalle parole è
 un'illusione; lo spirito di Monaco non è stato una contingenza del
 momento, è l'incapacità costituzionale di agire e reagire di un
 continente decrepito.
 La stessa che ci sta portando fuori dal futuro assetto economico del
mondo.
 Cordialmente.

 Roberto Alessi

15/3/2004

osama bin laden ha vinto le elezioni spagnole questa è la mostruosa sintesi dell' 11-14 di marzo . in questi anni di guerra si tratta di una pesante sconfitta del mondo libero che comprende anche il festante psoe. il valore simbolico di questa giornata elettorale è"deflagrante"  per me il 14 marzo spagnolo assomiglia tanto a monaco 1938, il pacifismo non vuol dire pace, il non volerli "importunare" non ferma i massacratori.

paolo borri
8/3/2004

Gentile professore

Non mi farei una meraviglia se i lavoratori sono attaccati a quello che lei chiama assistenzialismo.

Le banche fanno cartello

I petrolieri fanno cartello

La distribuzione alimentare al dettaglio è nelle mani di poche multinazionali

Problemi di dimensione ottimale degli impianti fanno si che si creino oligopoli e monopoli ovunque

Molti produttori differenziano il prodotto col colore dell’etichetta

Qualche imprenditore, intento a fare buoni affari, vende titoli spazzatura ad ignari risparmiatori (ma l’informazione, nel libero mercato, non era perfetta e gratuita?)

E non vuole che impiegati ed operai non si trincerino dietro potenti sindacati? Sarebbero degli ingenui a non farlo.

Rimedi un po’ di libero mercato dal lato della produzione, della distribuzione e dei servizi.

Vedrà che quando un lavoratore, che non trova convenienza nel fare il dipendente, si deciderà a produrre, che so, autovetture, o medicinali, o carta, e potrà farlo, non si difenderà più dietro i sindacati

Come vede sono un fanatico del libero mercato

(quello teorico ovviamente)

il suo

Gualtiero Giovanni

7/3/2004

Caro professor Pelanda

come ormai avrà ben capito dai miei numerosi interventi non sono un elettore del centro sinistra e, nonostante non possa ritenermi entusiasta al cento per cento di questo centro destra troppo litigioso, mi auguro che Berlusconi continui a governare a lungo.  Però quel che è giusto è giusto e allora voglio spezzare una lancia a favore dello schieramento avversario. Mi ha fatto piacere, sere fa, vedere alcuni esponenti della sinistra esprimersi pubblicamente, nel corso del programma “Otto e Mezzo” eccezionalmente provocati da Giuliano Ferrara, contro il passaggio dell’ex ministro Paolo Cirino Pomicino nello schieramento ulivista.

Premetto che non ho mai avuto un’opinione negativa di Pomicino: al di là delle sue vicende giudiziarie, mi sono entusiasmato a leggere i suoi interventi pubblicati su “Il Giornale” con lo pseudonimo di Geronimo e, ogni volta che è apparso in televisione, ho ammirato il suo coraggio e la sua abilità nel reggere il confronto con i suoi avversari politici sempre pronti a rinfacciargli il suo coinvolgimento in Tangentopoli. Però, i trasformisti non li digerisco proprio e allora non ho potuto far altro che applaudire il sindaco di Ercolano che ha pubblicamente dichiarato di non voler avere nulla a che fare con Pomicino né adesso, né tanto meno nel futuro. Ho apprezzato Gianfranco Nappi segretario regionale dei Ds campani quando ha detto che Mastella è libero di accogliere l’ex ministro nel suo partito aggiungendo però che una candidatura di Pomicino con l’Ulivo è improponibile.

Geronimo ha controbattuto colpo su colpo alle critiche dei nuovi alleati con l’abilità e l’intelligenza prima accennata, ma purtroppo stavolta non ha potuto godere della mia ammirazione. La sua giustificazione circa il passaggio al centro sinistra non sta in piedi: sostenere che Berlusconi non è stato in grado di diventare un vero politico restando un semplice imprenditore è una vera e propria assurdità considerando anche il prestigio ottenuto dal premier in Europa e nel mondo grazie proprio alle sue doti di leader politico.

 La verità è che Pomicino si aspettava dalla tanto decantata verifica di governo un posto da ministro in quota Udc e, non avendolo ottenuto, ha preferito abbandonare il partito del “debole” Follini incapace di ribellarsi al Cavaliere, cercando nuovi sponsor in Mastella e Martinazzoli per aspirare ad un ministero in un futuro governo dell’Ulivo. Ma a sinistra non lo hanno affatto accolto come il figliol prodigo e nel napoletano rischia di beccarsi delle autentiche “pomidorate”. Per una volta, probabilmente l’ultima, complimenti ai compagni diessini.                                                                                   

                                                                                    Americo Mascarucci - Viterbo  

2/3/2004
Egregio Professore,
                             mi ha fatto piacere leggere il suo articolo dello scorso 28-02 " il deficit comunista" perchè ha fornito una spiegazione tecnica ad una mia sensazione molto epidermica: con l'attuale governo abbiamo galleggiato in un mare in tempesta,nella precedenta legislatura abbiamo galleggiato in un mare calmo e con un vento propizio, ma grazie alla bugia organizzata la cosa non non viene percepita. Non sono ottimista per il futuro a parte gli esiti della guerra planetaria la rielezione di bush  e la tenuta di berlusconi l'ostacolo più grande è che ci sono ormai due generazioni educate all'accatonismo sociale ed alla teologia del lamento ,a dire il vero non solo in italia,  questo è difficile da smontare; tutto deve essere dovuto,garantito addirittura le soluzioni devono arrivare ancora prima degl'ipotetici problemi. i soccorsi devono arrivare prima delle tragedie, la neve deve cadere già spalata. è difficile rimettere in moto una nazione così inerte in buona parte. in chi ha avuto un'educazione di tipo ottocentesco anche se era di sinistra esisteva il senso del dovere, di responsabilità individuale , il rispetto di ogni gerarchia anche in famiglia.
E' questo che manca siamo stati cresciuti con il vietato vietare,con l'efficientismo burocratico è quindi giusto che continuiamo a sguazzare nel debito pubblico fino al giorno in cui ci sommergerà .sarà la grande alluvione a rimetterci sul cammino interrrotto dal '68 in poi non berlusconi. 
cordiali saluti.
Paolo B.
2/3/2004

Caro signor Pelanda il festival di Sanremo dell'era berlusconiana  ha
cancellato i cantanti  bravi per trasformarlo in una corrida per dilettanti.

  usando il denaro pubblico per risparmiare sulle spese di promozione vi
proponete alla storia anche come  lottizzatori delle pippe.

 In linea con le direttive dell'onorevole Bossi devolvo il mio 8 per mille
ai fabbricanti di manici da scopa sperando che si adattino alle vostre
misure

 saluti
 --Ferrante Formato

2/3/2004

Egr. Prof. Pelanda,

 Nel suo ultimo articolo "Deficit comunista", Lei attribuisce ai governi
 neo-comunisti del 96-2001 molte responsabilità sull'attuale impoverimento
 dell'Italia e del ceto medio, e tre bestialità.
 A proposito della prima di queste (La mancata riforma di efficienza
proprio quando scoppiava la globalizzazione ed il conseguente inasprimento della
 concorrenza internazionale, da fucilazione) vorrei saperne di più e
 approfondire l'argomento.
 Nel senso di capire come e con quali strumenti operativi questa si sarebbe
 potuta attuare e se e come ora si sta attuando.

 Le sarei grato se, senza farLe perdere troppo tempo, potesse darmi lumi o
 indirizzarmi su testi o pagine web inerenti all'argomento.
 Altra cortesia, dove potrei trovare dati relativi all'ammontare della
spesa pubblica (variazione negli anni, ripartizione tra capitoli) e la
 degenerazione e l'ammontare del debito pubblico.

 Contando sulla Sua disponibilità, La ringrazio e saluto cordialmente,
 roberto rossi
 vicenza

2/3/2004

Attenzione per favore, si rischia di fare un grandissimo errore. Il Ministro Umberto Bossi ha sollevato in questi giorni un problema molto serio ed intelligente riguardo la Chiesa. Il mondo politico , come ogni volta che Bossi apre bocca, ha sollevato un gran polverone di polemiche, e come sempre più spesso ancor prima di apporre un sensato ragionamento al caso. Ricordo ancora quando da bambino mi ricordavano di contare sempre fino a 10 prima di dare certe risposte. E così è anche in questo caso, l’importante è dare addosso a tutto ciò che Bossi e Berlusconi affermano, senza quasi nemmeno ascoltare le motivazioni.  Ma perché “Attenzione”? Perché ora nell’enfasi accusatoria del leader leghista  si rischia di perdere la giusta visione della Chiesa come ISTITUZIONE  e la Fede religiosa. Sembra ovvio ma purtroppo non è così. Se Bossi attacca la Chiesa, l’otto per mille, l’indole affaristica che impera da secoli nell’istituzione religiosa vaticana che ha indubbiamente condizionato la storia d’Italia e non solo, tutti intendono far passare la polemica come fosse un attacco diretto alla fede ed alla religione cristiana. Occhio perché questa è subdola manipolazione delle parole e delle intenzioni a scopi pre.-elettorali evidenti. Certo che portando il partito di Bossi, insieme alla Casa delle libertà , contro tutti i fedeli italiani, qualcuno potrebbe pensare di poter portare la polemica a proprio vantaggio politico. Per favore evitiamo che si banalizzino i già scarni contenuti politici dibattutti negli ultimi tempi. Affrontiamo tutto ciò dal punto di vista riflessivo ed analizziamo non solo il ruolo della chiesa come istituzione attuale ma affondiamo le nostre conoscenze attraverso la nostra personale storia di nazione.
Interpelliamo chi come Giordano Bruno Guerri, storico di indubbie conoscenze del settore può aprire gli occhi sulla storia degli ITALIANI SOTTO LA CHIESA come recita un suo celebre testo.

Ebbene, pur restando fedeli sinceri si può certamente analizzare la nostra storia senza bende sugli occhi? Direi di si. Ferdinando Adornato nel suo ultimo volume afferma e sottolinea il concetto di superare il noventismo analizzandolo. Conoscerlo, affrontare i relativi problemi, capirlo proprio per superarlo ed andare avanti. La storia della chiesa nell’Italia per lo stesso motivo va’ affrontato, capito, analizzato per poter proseguire per una nuova Strada più chiara e trasparente.

Tutto ciò tenendo a debita distanza la fede religiosa che appartiene indubbiamente ad una altra dimensione e percezione.

 

 

Alberto Moioli

1/3/2004

Cercare il limite del Capitalismo
Il Prof. Carlo Pelanda su Il Foglio del 3 febbraio 2004, con l'articolo "Per ridare Etica al Capitalismo cercate l'Estetica", auspica che il capitalismo possa venir alimentato nuovamente da un'etica che gli consenta di riprendere vigore malgrado il fatto che: "furti, imbrogli ed altri comportamenti destabilizzanti stanno crescendo di numero".
Per cui egli sostiene: "è urgente trovare un ordinatore etico dal basso per non far saltare il sistema"…"Con una triplice strategia simbolica:
a) per il settore economico si può dimostrare che l'autorigore del singolo contribuisce ad aumentare la produttività e quindi si può incentivare il primo inglobandolo nel calcolo della seconda in forma di "Teoria utilitaristica dell'etica";
b) favorire la riscoperta di Dio potenziando il lato mistico delle religioni compatibili con il capitalismo e/o diffondere delle ritualità senza Dio con enfasi sul piacere estetico/interiore dell'autodisciplina;
c) rinforzarlo con lancio di una moda che sostituisca il dominio del neo-volgare con quello del neo-purismo."
Desidero fare alcune considerazioni in merito:
Personalmente ritengo che i concetti di etica, estetica e capitalismo siano distinti tra loro perché ognuno di essi sorge da una specifica esigenza ed ognuno ha uno specifico obiettivo. L'oggetto dell'etica è il comportamento etico (eventualmente da definire), quello dell'estetica è la ricerca della bellezza (anch'essa nelle sue varie definizioni) e quello del capitalismo è l'acquisizione della ricchezza materiale (e qui la definizione è abbastanza chiara).
E quando si fa una cosa, non si fa l'altra, cioè quando si pensa a fare denaro non si pensa all'etica o alla bellezza. Quando si ammira un tramonto non si pensa ai soldi, e viceversa.
Sono sfere psicologiche ed emotive distinte e tali vanno tenute per saper scegliere quello che si vuole, e fare in modo che, dalla loro combinazione più o meno equilibrata, possa derivare un modo di vivere possibile.
E questa distinzione ha una funzione biologica ben precisa nell'obiettivo della sopravvivenza: la ricerca dell'utile ha una necessità di breve periodo, la ricerca dell'etica ha una necessità di più lungo periodo (anche riferita alla difesa del gruppo o della specie) e l'estetica probabilmente è una sensazione che cerca di mantenere certi valori proiettandoli in un tempo ancora più lungo.
Dico questo perché cercare di comporre capitalismo ed etica può portare a fare delle azioni volte all'utile credendo di fare azioni etiche e quindi può portare ad investire le proprie energie oltre le reali necessità e fino a delle situazioni di rischio. Questo, infatti, quando interviene un desiderio sproporzionato di crescita, porta, ad effetti potenzialmente destabilizzanti e anche alla propria rovina e di cui troviamo molti esempi nella storia, sia a livello di persone che di popoli, mentre sul piano interiore può invece spingere a degli sforzi di cui a volte è dubbio il rapporto costo/beneficio.
D'altra parte cercare invece l'etica o l'estetica al posto dell'utile può portare a sottovalutare i bisogni immediati con una conseguente difficoltà di vivere.
Il voler ricreare l'etica o l'estetica perché funzionali al "capitalismo", indicato come "teoria utilitaristica dell'etica", significa fare un'operazione che non è etica, né estetica, ma capitalista. Il che va benissimo, ma non sarà mai sentita come etica e quindi non potrà avere la funzione auspicata, a meno di non voler incorrere nell'equivoco e nel rischio sopra indicato.
E' meglio invece, come dicevo, dare ad ognuno di questi tre momenti un compito, una definizione ed un limite ben chiaro commisurandoli alle proprie reali esigenze ed oggi le esigenze di possesso e di consumo andrebbero probabilmente riverificate ed eventualmente ridotte.
Infatti, i cosiddetti “scandali” che, per essere sentiti dalla gente come tali, facendo evidentemente riferimento a valori che non sono semplicemente quelli del denaro, significano che si avverte che c'è troppo "capitalismo", cioè troppo desiderio di fare denaro, almeno a livello di chi già ne ha.
Penso quindi che vada ridimensionata l'importanza data alla ricchezza materiale ed al suo raggiungimento, cioè l'etica di un capitalismo non morale va moderata da un'etica dei valori cosiddetti "morali".
Lo stesso vale per l'estetica sempre più emarginata rispetto all'utile. Il costo del “bello” si è sempre meno disposti a sostenerlo a meno che non porti denaro, facendo quindi un'operazione "capitalista", e non estetica e perdendo questa dimensione emotiva.
Una migliore proporzione di capitalismo, etica ed estetica, comprendendone ed apprezzandone le relative funzioni, invece di incentivare solo il primo, è probabilmente quello che manca per ridurre il livello di competitività e conflittualità e per stimolare un migliore equilibrio sia sociale che personale.
P.S.: Colgo l'occasione per mandare anche il mio articolo pubblicato su "Cronaca dell'Ambiente", inserto quindicinale di Cronaca di Cremona, del 25 febbraio u.s.:

Gli Scandali Finanziari e le Regole del Capitale
In questa epoca di liberismo economico, dove l’economia e l'utile tendono ad essere il motivo fondante di ogni decisione e comportamento, subordinando ad essi gli altri valori umani, sul piano economico difficilmente potranno funzionare delle regole.
Gli attuali scandali finanziari, i conflitti di interesse, le leggi a vantaggio di particolari gruppi, eventualmente le guerre, ne sono un esempio e una conferma pratica.
In altre parole, in una società capitalista dove l’obiettivo primario è quello di produrre e di guadagnare danaro, le regole sono quelle di fare danaro.
E’ contraddittorio pensare di porvi delle regole che andrebbero contro il principio stesso.
Cioè, se questa società vuole porre delle regole nel mondo del danaro, bisogna che faccia riferimento a delle regole etiche, non alle regole che hanno come riferimento l’accumulo del danaro.
Infatti, si possono porre tutte le regole che si vuole, ma ogni operatore economico se non ha un riferimento etico, cercherà sempre di aggirare le regole, perché la regola del danaro e del capitale non è quella di obbedire alle regole, ma quella di fare danaro, e questo a tutti i livelli, anche al livello di chi pone le regole o di chi deve farle rispettare .
Quindi il capitalismo liberista se vuole porsi delle regole deve accettare l’etica alla base dell’economia, come limite alla attività economica. Ma, come dicevamo, non l’etica dell’economia, perché altrimenti ricadrebbe nel meccanismo precedente, ma l’etica di qualcosa al di fuori dell’economia, dove etica sul piano pratico significa "il dispiacere di nuocere ad altri", e quindi sentire che ci sono dei valori umani più importanti dell’economia ai quali l’economia deve essere in qualche modo subordinata. Es.: la sicurezza dei risparmiatori, la salute dei consumatori, il benessere sociale, il rispetto dei più deboli, ecc…, altrimenti un giorno il problema sarà la borsa, un altro i rifiuti tossici, un altro ancora: i farmaci o l'alimentazione e così via.
Roberto Paolo Imperiali, Roma

29/2/2004
Gentilissimo Prof. Pelanda,
 
    l'altro giorno, discutendo di politica con un amico d'oltremanica, anch'egli piuttosto giovane, sui trent'anni, questi si è stupito del fatto che in italia vi fossero ancora persone che si dichiarino comuniste e partiti che mantengano la falce e il martello nel simbolo. E questi è un filosofo liberal uscito da Cambridge con convinzioni repubblicane, non certo un elettore dei tories. Trascurando prove ben più evidenti, se questo ragazzo parlasse in italiano gli proporrei di visitare il seguente sito Internet, http://cdl.eremita.it/, cui sono arrivato cercando il testo di una canzone popolare lombarda. Lo consiglio vivamente a chiunque, con la mente abbastanza lucida, voglia farsi quattro risate. Perché, prendere sul serio certe affermazioni, sarebbe a dir poco "aberrante". Parola del resto molto comune nel gergo della sinistra italiana. Una chicca gli inni a sostegno dell'IRA e dell'Intifada. Soprattutto questi ultimi, dove persino le parole rivolte alla monarchia giordana sono sufficienti per far raccapponare la pelle a chiunque abbia un minimo di buon senso. Purtroppo, il sito, sembra molto letto.
 
    Cordialmente,
 
Matteo F. M. Sommaruga
28/2/2004

Gentile dott. Pelanda,
ho letto il suo articolo su il Giornale di oggi 28 feb.

È indubbio essere esso una composizione dalla valenza
formativa notevole, oltre che naturalmente informativa.

Mette il lettore di fronte: ai punti cardine della situazione
italiana attuale, alla loro genesi ed elenca
le sfide eminenti che deve affrontare e vincere
l'attuale governo.

Sarebbe notevole poter distribuire tra i conoscenti questa sua fatica,
per cui le chiedo se fosse possibile riceverne da Lei copia per via telematica.

Grazie comunque e felicitazioni cordiali per la sua
preziosa opera.

Stortini PierLuigi

28/2/2004

Egregio dottore,

ho letto con interesse il suo articolo su i giornale in data odierna, riguardante gli errori dei governi di centro sinistra. E un'analisi storica le cui motivazioni sono semplici e comprensibili in termini generali sull'economia complessiva. Quello che manca, a mio avviso, sono le cifre, in assoluto, del disastro dei conti dello stato. Cifre che non si riesce a trovare da nessuna parte. Dette e ridette, come l'ultima dei circa 30 mila miliardi a cui è stato fatto riferimento dal ministro Tremonti. Cifra contestata  dalla sinistra e messa nel dimenticatoio dalle stesso ministro Tremonti con la dichiarazione di "pace" fatto subito dopo. Ma in concreto nulla, solo parole o analisi economiche generali come quelle riportate nel suo articolo.
Credo che sarebbe utile per i cittadini conoscere qualche elemento probante con delle cifre attendibili che  lo stato (amministrazione) dovrebbe conosce e, comunque, essere in grado di reperire. E il governo è in grado reperire e comunicare o lo stato è una cosa a se stante dove il governo non può entrare.
Quest'ultima ipotesi mi pare la più probabile e allora, parafrasando Totò, a che serve il governo (la serva) se il governo non serve (non è in grado)?
Personalmente, invocando la legge 241, ho chiesto alla cassa deposito e prestiti di conoscere le cifra dei vari ripiani che i governi hanno fatto ai comuni italiani. Risposte cortese: è un lavoro lungo, difficile, ci vuole pazienza. Risposte concrete zero. Mi ero interessato a questo fatto avendo visto un  servizio televisivo, di uno o due anni fa su tg5, lodare i servizi negli asili e nelle scuole elementari ( di competenza comunale) nel comune di Bologna. So per  certo che in più occasioni il comune di Bologna è stata ripianato dallo stato, ovvero dai governi, dopo la solidarietà nazionale cui ha fatto riferimento anche nel suo articolo. Pertanto quel servizio, privato dalla verità storica sulle entrate extra del comune di Bologna, è un falso che mente e fa vedere l'efficienza amministrativa del comune fatta con i soldi "nazionali" e non quelli comunali. 
Questi fatti, più semplici e di immediata comprensività, vanno raccontati unitamente alle analisi profonde come quelle riportate nel suo interessante articolo: 
 
La saluto con ammirazione. Fabio Lazzara - Genova    
28/2/2004
Gentile Prof. PELANDA.
 
le scrivo queta mail perchè ho appena letto il suo articolo sul giornale del 28 febbraio dal titolo deficit comunista, e mi permetto per quanto poco possano valer di farle i miei piùsentiti complimenti.
Sono un giovane (36 anni) libero professionista di Sassuolo ed opero come consulente aziendale area comunicazione marketing/vendite nel settore ceramico.
Cerco di "curare"le realtà  medio/piccole che sono in difficoltà a trovare nuove soluzioni.
Politicamente sono molto vicino alle sue posizioni e ritengo Lei Feltri e Baget Bozzo le tre "Penne" più obiettive ed in grado di fare veramente un servizio reale e concreto a chi oggi si sforza come cerco di fare io nel mio piccolo di costruire e fare economia vera e non demagogia finta o economia  statalismo parassitario.
Corrado R.
25/2/2004

Caro Pelanda
Al compagno Vincenzo Visco non va giù che un autorevole quotidiano come “Il Tempo” abbia denunciato il comportamento ipocrita dell’Unità. La società editrice del quotidiano fondato da Antonio Gramsci per risolvere alcuni problemi di carattere finanziario ha fatto ricorso al condono fiscale voluto dal Governo Berlusconi dopo che, l’esimio direttore della testata Furio Colombo, ha scatenato una campagna di stampa contro il ministro Tremonti accusandolo di salvare, con questo “colpo di spugna”, i furbi a discapito della gente onesta. Visco intervistato da un giornalista del quotidiano romano si è indignato, ha fatto di tutto per non rispondere alle domande e alla fine ha accusato il Tempo di occuparsi dell’Unità anziché degli scandali di Berlusconi.
Così va il mondo caro Pelanda. Su Berlusconi si può dire e scrivere di tutto, ma guai ad attaccare la sinistra. Soprattutto un santuario dell’informazione come l’Unità caro alla sinistra più estrema, a Tonino Di Pietro, ai girotondisti e ai moralisti duri e puri come Marco Travaglio. Non solo, per Visco e compagni non possono esservi altri scandali in Italia se non quelli di Berlusconi. Come se il Presidente del Consiglio avesse il monopolio delle nefandezze e quelli della sinistra invece quello dell’onesta e della coerenza. Invece fortunatamente nel panorama dell’informazione ci sono ancora voci libere come “Il Giornale”, “Il Tempo”, “Il Foglio”, il settimanale “Panorama” e pochi altri che non ci stanno a chiudere gli occhi di fronte alle incoerenze e alle ipocrisie dell’altra parte. Come appunto la vicenda dell’Unità che certamente non impedirà a Colombo, a Travaglio e a quanti si ostinano a scrivere su quel giornale, di continuare a tediare gli italiani con il loro insopportabile moralismo. Fortunatamente noi siamo dalla parte opposta.
Americo Mascarucci - Viterbo

23/2/2004

Gentile professore
“E per rafforzare questo messaggio Londra ha fatto vincere un contratto militare ad un consorzio anglo-francese”
vede professore la libera concorrenza è adoperata quando serve a chi più ha, poi agiscono forze che col mercato non hanno nulla a che fare.
A proposito e le regole per proteggere i risparmiatori che fine hanno fatto?
Faccio male paragonare questo governo ai lanzichenecchi, avrebbero ragioni da vendere ad offendersi
Suo
Gualtiero Giovanni

1/2/2004

Caro Pelanda

Il Tg1 ogni sera, nel commentare la politica italiana, ci sottopone ad un’estenuante passerella di politici ulivisti. Da Rutelli a Fassino, da Occhetto a Di Pietro, da Boselli a Diliberto, da Pecoraro Scanio a Mastella fino a Bertinotti perché tutti hanno qualcosa da dire contro il Governo e quindi hanno diritto di parola. A me sembra assurdo che per dare voce all’opposizione si debbano far parlare ogni sera tutti i segretari dei partiti del centro sinistra ma Clemente Minum è un bravo professionista e sa il fatto suo. Nonostante ciò la sinistra non è soddisfatta, vuole ancora più spazio e chiede la testa di Minum. Di quale spazio hanno ancora bisogno i leader dell’Ulivo? Non gli basta il Tg3 e l’intera terza rete sempre più degna di essere definita telekabul? Non gli basta la passerella che il democratico Minum ogni sera concede ai leader dell’Ulivo compreso chi, come Pecoraro Scanio rappresenta solo se stesso?
Ma non è tutto. Il segretario dei Ds Piero Fassino definisce nazista lo stesso Minum, che tutti sanno essere ebreo, proprio in concomitanza con il giorno della memoria, senza che nessuno si sia indignato: Sabina Guzzanti in uno dei suoi spettacoli ha offeso gli ebrei usando il termine “razza ebraica” e Gad Lerner, sempre pronto a denunciare l’antisemitismo anche dove non c’è, invece di indignarsi ha difeso la Guzzanti dalle giuste rimostranze di alcune comunità ebraiche. Fossero scappate a Berlusconi frasi del genere, il buon Gad avrebbe avuto lo stesso atteggiamento? Certamente no, anzi avrebbe chiamato a raccolta gli ebrei italiani contro il mostro antisemita.
Vittorio Feltri, è stato condannato a sei mesi di reclusione per aver detto, come pensano tutti, che Mani Pulite è stata un’azione politica; Lino Jannuzzi per alcune settimane si è dovuto rifugiare in Francia per non essere arrestato con l’accusa di aver fatto il giornalista; un organo d’informazione vicino al centro destra “Il Giornale” è stato perquisito con metodi degni dei peggiori regimi stalinisti solo per aver fatto inchieste scottanti sul caso “Telekom Serbia” che coinvolgevano politici del centro sinistra. L’Unità invece può permettersi di scrivere ciò che vuole, offendendo gli avversari politici, pubblicando gli indirizzi e i numeri di telefono di parlamentari del centro destra, tanto poi se qualcuno sporge querela tutto viene archiviato in nome della libertà di stampa.
Caro Pelanda, questo non è forse un regime? Certamente si ma la singolarità di tutto ciò sta nel fatto che a sopprimere le libertà sono coloro che hanno perso le elezioni e che oggi stanno all’opposizione e godono dell’appoggio di poteri tutt’altro che nascosti. I falsi profeti della libertà e del pluralismo, quelli che vorrebbero farci credere che due campioni di faziosità ed arroganza come Michele Santoro e Sabina Guzzanti sono dei martiri e che Berlusconi è un pericolo per la democrazia. Quelli che vorrebbero condurci a forza nelle piazze a fare i girotondi, tutti noi che certe scemenze non le abbiamo fatte neanche da bambini. Ma questo può essere ancora considerato un paese normale?
Distinti saluti

22/1/2004

Gentile professore

Nel suo ultimo articolo sull'Arena parla di credibilità e di interesse generale. Temi, nella sostanza ignorati dalla maggioranza. Sembra quasi una ripresa, in politica interna, di quel “finalmente abbiamo una politica in medio oriente” della pax mediterranea

Non ho mai potuto soffrire il governatore Fazio perché: primo è un uomo di padron Berlusconi, secondo, pontificava sulle pensioni su una fortezza di privilegi anche pensionistici che è la Banca d’Italia, terzo, celebrava sul “flessibile è bello” dalla sedia più solida d’Italia.

Se Tremonti lo liquida non piangerò, anche se al peggio non c’è mai limite.

Ieri ho sentito Tremonti palare di controllo sulle soc. offshore. Deve fare attenzione anche padron Berlusconi ha soc. offshore, cosa dirà di ritorno dagli ozi di Portorotondo?

Suo

Gualtiero Giovanni

18/1/2004

Alla fine l’accordo dei tranvieri è stato raggiunto: Comune e sindacati hanno trovato l’intesa su aumenti e produttività e l’Atm è tornata a svolgere il proprio compito con regolarità dal 15 gennaio. Tutto normale quindi? Direi proprio di no.

Da questa brutta vicenda escono tanti sconfitti, sul piano economico, politico e morale. Hanno perso i cittadini, vittime dell’ignobile ricatto dei ferrotranvieri, costretti a subire l’illegittimo comportamento degli scioperanti; hanno perso i politici, soprattutto se il presidente della Provincia di Milano, Ombretta Colli, è arrivata a chiedere indulgenza per tutti quei lavoratori che non hanno rispettato le regole non sanzionandoli in cambio della “promessa” dei Cobas di non proseguire in futuro nell’uso dello strumento dello sciopero selvaggio; hanno perso gli stessi lavoratori che dovranno lavorare un bel po’ prima di recuperare, anche con gli aumenti ottenuti, le giornate di lavoro “sacrificate”; ed hanno perso i sindacati. In particolare la Triplice (Cgil, Cisl e Uil) ancora una volta ha mostrato di non ottenere più la fiducia della base, dei suoi stessi iscritti, ed è stata palesemente sconfessata da questo sciopero. Lo scorso 20 dicembre, infatti, era stato stilato un accordo tra governo e confederazioni basato su 81 euro di aumento e 970 di una tantum, mentre i Cobas ed improvvisati comitati di base reclamavano aumenti per almeno 106 euro mensili con arretrati maggiorati. Il vero e proprio simbolo di una Caporetto, un fallimento che ha pochi precedenti e che ha visto la Cgil , guarda caso, distinguersi per l’ennesima volta per incoerenza e immoralità. Nel pieno della protesta irresponsabile dei ferrotranvieri, con Cisl e Uil che deploravano simili comportamenti, la Cgil faceva trapelare una certa insoddisfazione e disagio per quella firma, comprendendo le ragioni dei contestatori, pur invitandoli a rientrare nell’ambito di una protesta rispettosa delle norme.

LE RAGIONI INFONDATE – Una protesta di questo tipo avrebbe trovato un qualche sostegno se si fossero rinvenute delle ragioni significative, ma la conoscenza degli stipendi percepiti dai lavoratori dell’Atm ha fatto venir meno anche quella flebile eventualità. Molti hanno paragonato da subito lo stipendio dei dipendenti dell’Atm con quello di un professore di scuola media (che è inferiore), ma gli esempi ed i confronti si sarebbero potuti moltiplicare.

I PERICOLI – Alla luce di quanto successo bisognerà ora intervenire e non lasciare impuniti gli autori di questa piccola rivolta capace di gettare nel caos una città e milioni di persone. Ad ogni azione corrisponde una assunzione di responsabilità e la linea della Colli non è condivisibile perché in tal modo si incoraggiano queste forme di protesta, come già in passato si sono incoraggiati i lavoratori ad unirsi in gruppi organizzati per ottenere un canale preferenziale nelle assunzioni (in Campania queste liste hanno raggiunto la loro massima e triste espressione). Si tratta di storture prive di fondamento e ragione, ma che purtroppo ancora oggi sono vive nel nostro Paese e non pare il caso di favorire un’altra nefasta usanza. Di discutibile in questa vicenda ci sono tanti aspetti e non è solo la crisi delle confederazioni sindacali nazionali la causa principe. Che qualcosa non funzioni è ben evidente: se non si rispetta un contratto appena firmato poche settimane prima e non si risponda alla precettazione ordinata dal prefetto affinché fosse ripristinato il servizio, senza che scatti nemmeno una sanzione, vuol dire che qualcosa va cambiato e presto.

COME REAGIRE – Per questo è doveroso intraprendere e portare avanti tutte le azioni possibili contro chi ha usato metodi non consentiti: licenziamento, sospensione dal servizio, applicazione di pene pecuniarie ed ogni altra sanzione dovranno essere applicate perché venga scongiurata la vittoria dei prepotenti, di chi si sente legittimato ad ottenere quel che vuole con la forza e l’arroganza.

Paolo Carotenuto, Napoli

 

Sciopero selvaggio di Gianni Mereghetti - http://www.legnostorto.com/node.php?id=11754

Gli sconfitti dello sciopero selvaggio di Paolo Carotenuto - http://www.legnostorto.com/node.php?id=11924

Il sindacato messo in fuorigioco di Paolo Del Debbio - http://www.legnostorto.com/node.php?id=11921

Alla ricerca del sindacato perduto da Panorama - http://www.legnostorto.com/node.php?id=11923

I precedenti in cui Cgil, Cisl e Uil sono state sconfessate dalla base - http://www.legnostorto.com/node.php?id=11922

Quanto guadagnano i protagonisti della protesta - http://www.legnostorto.com/node.php?id=11925

Bigliettai e portoghesi di Manlio Morandi - http://www.legnostorto.com/node.php?id=11684

IL SONDAGGIO: Sciopero selvaggio. Come reagire? - http://www.legnostorto.com/node.php?id=11795

10/1/2004

Cari amici,
l'ariticolo di Giuliano d. Pergola offende anche me (e non solo F. Nierenstein, O. Fallaci, G. Rossella, G. Ferrara e A. Panebianco, e questa è la mia risposta.
Buon anno a tutti.
Alma


Lettera ad un ebreo conformista

Nei giorni scorsi ROCCA (n. 24/2003) ha pubblicato un articolo di un suo abituale collaboratore, il sociologo ebreo Giuliano della Pergola, su antiebraismo, antisemitismo e antisionismo, che esprime perfettamente il punto di vista degli intellettuali "ebrei" conformisti. Della Pergola classifica come "interpretazioni storiche reazionarie" le paure di coloro che vedono con preoccupazione il ritorno dell'antisemitismo, non solo sotto forma di antisionismo, ma anche nella forma classica di antigiudaismo. Nel contestare i loro punti di vista, e segnatamente quelli di F. Nierenstein e O. Fallaci, ma anche di G. Rossella, G. Ferrara e A. Panebianco, egli precisa che essi "non entrano nel merito dello scenario attuale, e interpretatano la storia di ieri come paradigma per capire quella odierna".

Quale sarebbe la novità della storia odierna che i vari Ferrara, Nierenstein ecc. trascurano? Secondo della Pergola questi intellettuali "non fanno i conti con la politica oppressiva dello Stato d'Israele contro i palestinesi e non fanno i conti con l'avvenuta assimilazione degli ebrei nel contesto sociale. In più, non fanno i conti con la scelta occidentale dello Stato d'Israele, con le coperture che all'Onu Israele ha sempre ottenuto all'ombra degli Stati Uniti".

Le tensioni mediorientali, conclude Della Pergola, sarebbero l'effetto dell'asse politico Bush-Sharon, fintanto che essi resteranno al governo; ma anche dello scenario mondiale che vede, da un lato, la folla degli immigrati e marginali musulmani, dall'altro lato, gli ebrei più o meno integrati ma economicamente consolidati e filo-occidentali. In tale contesto, i palestinesi "schiacciati dagli uni e vessillo per gli altri", si trasformano simbolicamente in un popolo martire".

Caro Della Pergola, ad esser sinceri questo tuo modo di ragionare si trova a metà strada tra i sofismi di Marx e quelli di Platone. Dov'è la "salda interpretazione analitica" che "ci mette al riparo da stupidaggini ed errori"? dove si trova, nel tuo articolo, la ricerca delle relazioni tra i fatti e l'intuizione innovativa nell'interpretare ciò che accade sotto i nostri occhi? siamo di fronte a una piatta riproposizione delle ovvietà antisemite che tutti i giorni i volenterosi possono leggere sull'Unità, Repubblica, Il Manifesto, e via discorrendo; però, secondo te, solo noi, che condividiamo le opinioni di F. Nierenstein, O. Fallaci, G. Rossella, G. Ferrara e A. Panebianco, e aggiungerei P. Ostellino e molti altri, diamo una interpretazione "reazionaria" della storia dei nostri giorni.

E' un giornalista e scrittore islamico Joseph Farah* a smentirti col sostenere (cosa che fa, peraltro, da anni) che le vere radici del conflitto arabo-ebraico non sono né 'una terra per i palestinesi', né il controllo sui luoghi santi da parte dell'Islam. "Queste due richieste, precisa Farah, non sono niente di più che inganni strategici, imprese di propaganda. Non sono altro che espedienti verbali e razionalizzazioni per il terrorismo e per assassinare gli ebrei. Il vero obiettivo di coloro che fanno queste richieste è la distruzione dello Stato d'Israele". Ma Farah, al contrario di ciò che pensi, non è affatto in imbarazzo nel riconoscere per vero ciò tutti gli studi storici sostengono, e cioè che "la Palestina è non più reale della Terra-che-non-esiste ( Never-Never Land)" nel suo Intervento tenuto al Christian Coalition Symposium sull' Islam il 15 febbraio 2003 di Washington, D.C. Perché infatti, secondo gli studiosi della materia, gli arabi di Gaza o di Nazareth non sono distinguibili per cultura, per lingua né per alcun altro criterio dagli arabi di Siria, di Giordania o dell'Iraq. La sola distinzione possibile è tra sedentari e beduini, tra sciiti e sunniti. Ee è ancora Farah a ricordare che "la prima volta il nome venne usato nel 70 A.D. quando i romani attuarono il genocidio contro gli ebrei, distrussero il tempio e dichiararono che la terra d'Israele non avrebbe più avuto un'esistenza. Il nome proviene... dai Filistini, popolo conquistato dagli ebrei secoli prima. Contrariamente a ciò che Arafat vi racconta, i Filistini sono estinti da quell'epoca. Ad Arafat piace sostenere che la sua gente discenda dai Filistini. Realmente, il nome era il modo più semplice per i romani di aggiungere insulto all'ingiuria patita dagli ebrei - non solo essi furono annientati, ma la loro terra fu ridenominata col nome di un popolo che essi avevano conquistato. La Palestina non è mai esistita - né prima né poi - come stato-nazione. Essa venne governata alternativamente da Roma, dall'Islam, dai crociati cristiani, dall'Impero Ottomano e, per breve tempo, dagli inglesi dopo la I Guerra Mondiale. Gli inglesi erano d'accordo per affidare almeno una parte della terra al popolo ebraico come loro propria patria. Chi rifiutò l'idea? Gli arabi. Gli ebrei non avrebbero avuto posto nel Medio Oriente. Nessuno. Zero. Zip. Nada".

Se la Palestina è un'invenzione storico-politica, ne deriva -come conseguenza logica - che tutta questa faccenda della 'resistenza palestinese', dei 'poveri palestinesi' e del 'popolo martire' è un bluff creato dai convergenti interessi di cattolici, comunisti e islamici reazionari per inchiodare Israele, unica sociatà democratica in Medio-Oriente, in una situazione di stallo con la prospettiva di una sua definitiva fine, o per abbandono da parte degli stessi ebrei, oppure per distruzione dello Stato da parte degli arabi. Sono questi interessi convergenti ad aver fatto di un mafioso trafficante d'armi e di droga, e per di più vile assassino, ladro e ricattatore quale è Arafat un capo 'politically correct' ben accettato in Vaticano e nella buona società della sinistra. Cosa c'entra in tutto ciò "la politica oppressiva dello Stato d'Israele contro i palestinesi"? Non è forse oppressiva la politica dei cinesi contro il Tibet? eppure non ricordo nessuno, a parte qualche radicale o 'liberal', che se ne occupi.

Caro della Pergola, solo chi interpreta i fatti in un'ottica conformista, nel senso di 'conforme al modello esegetico stabilito da Marx e dai suoi seguaci', può continuare a a illudersi -contro la storia e l'evidenza oggettiva - che antisionismo e antisemitismo non siano coincidenti e neppure parenti stretti. Se vi è una qualche differenza tra chi ha praticato lo sterminio ieri e chi oggi sogna di praticarlo, questa consiste nel fatto che Arafat non ha le potenzialità e capacità organizzative e tecnologiche che Hitler possedeva.

Ma vi è un altro aspetto del tuo articolo che mi infastidisce personalmente, ed è lo stile dell'invettiva. Essa fa parte del bagaglio culturale di quegli "intellettuali" che considerano se stessi i soli portatori della verità; si incomincia con l'invettiva (in questo caso, col classificare gli altri come reazionari) e si finisce con i roghi, i gulag e le fosse comuni. Uno stile che i marxisti condividono con buona parte dei cattolici e degli islamici. Ma per considerare se stessi portatori di verità, occorre aver prima concepito che l'altro non ha i nostri stessi diritti. In una parola, lo stile dell'invettiva è la esplicitazione formale di quell'orientamento mentale e politico che possiamo definire 'totalitario' e che ha per suoi modelli, non già la civiltà greca e il mondo classico, ma i vari esempi di dispotimo orientale antico e moderno.

Perciò, se proprio vogliamo procedere per classificazioni, sono ben orgogliosa di non far parte di quella folta schiera di intellettuali che portano senza vergogna la bandiera dei loro 'idola theatri' lasciando la ragione al suo sonno.

Alma Cocco, Cagliari

10/1/2004

Mi scusi se La importuno, ma desidererei avere un chiarimento.

Nel Suo articolo "La rotta smarrita" apparso su il Giornale del 7 gennaio scorso, Lei scrive:

"Questa è una bozza di <<Europa utile>> che si ispira ............ proponendo di accelerare l'europeizzazione dove esse è possibile. E tanti sono i settori dove lo è -qui il punto- rimasti nascosti per l'ossessione imperiale di pensare solo al tetto".

Le chiedo: perché non ne cita almeno qyualcuno di tali settori? Se li ha in mente almeno li accenni, altrimenti il discorso rimane monco o, peggio, sembra il discorso pieno di vuoto di un politico.

Nell'esprimere in ogni caso il mio apprezzamento per quanto Lei scrive sul Giornale La prego di gradire i migliori saluti.

 

Nereo Giraldi

3/1/2004

Una proposta concreta Sulle Pensioni

(Per salvare baracca e burattini)

 

Negli ultimi anni sul problema dellea riforma del sistema pensionistico in Italia si sono scontrate frontalmente due posizioni, una prima decisamente riformista, una seconda avversa a qualsiasi cambiamento ed in strenua difesa dei cosiddetti “diritti acquisiti” dai lavoratori già in pensione o con una certa anzianità di servizio (e di tesseramento sindacale). 

Nel nome del concetto di presunti “diritti acquisiti” da taluni concittadini, per i quali non viene mai indicata la controparte, e cioè il gruppo di sfortunati concittadini al quale sono accollati i “doveri corrispondenti”, sono passate riforme inique che discriminano tutt’ora fra un lavoratore ed un altro.

Oggi la macroscopica evidenza dell’avvicinarsi della cosiddetta “bolla pensionistica”, dovuta a fenomeni demografici di per sé negativi quali l’invecchiamento della popolazione, ma dovuta ancora al fenomeno di per sé vivaddio positivo dell’allungamento dell’aspettativa di vita media per gli italiani e le italiane, ha parecchio avvicinato le posizioni. Dopo tutto, il sistema pensionistico a ripartizione ereditato dalla Repubblica Italiana nasce con Mussolini in un epoca nella quale si campava in media 20 anni di meno.

La mia proposta è la seguente:

La mia proposta non pretende di essere “generazionalmente neutra”. Prevede effettivamente un modesto ri-trasferimento di ricchezza in favore dei lavoratori attivi e dei giovani in generale, a scapito dei pensionati e dei più anziani in genere.  Ma l’onere di tale trasferimento è attenuato enormenmente dal carattere espansivo per l’intera economia della manovra proposta. E chi scrive è convinto che tale proposta possa essere politicamente “venduta” e quindi accettata di buon grado, in quanto oggettivamente equa, anche da quegli elettori che non ne trarrebbero beneficio economico immediato. A patto che costoro abbiano a cuore il benessere futuro dei loro figli e nipoti.

Le generazioni oggi in pensione, o vicine alla pensione, sanno di aver usufruito nel corso degli ultimi 30 anni di notevoli “vantaggi” a sfavore delle nuove generazioni ultime arrivate:

Samuel Magiar
Economist, M.A. Univ. Of Washington, Seattle, 1990

1/1/2004

Carissimo  Prof. PELANDA

 
Sono un lettore del GIORNALE  e mi è capitato spesso di leggere i suoi articoli , che apprezzo molto per la chiarezza espositiva e per lo spirito mirante al cambiamento con finalità atte ad una completa partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica . Tale spirito , lo trovo estremamente condivisibile , tuttavia i mezzi per diffonderlo e per farlo interiorizzare al grosso pubblico e successivamende renderlo praticabile , vanno moltiplicati.
Ho aperto il suo sito , con curiosità e l'ho trovato ottimo .
Complimenti vivissimi
Con estrema cordialità
 PAOLO T.
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Contacts: letters@carlopelanda.com
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