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Carlo Pelanda: 2022-12-4La Verità

2022-12-4

4/12/2022

Ecorealismo contro ecolirismo come tema centrale nelle elezioni europee del 2024

Il calendario accelerato dell’Ue per la decarbonizzazione ha contribuito ai disinvestimenti nel settore delle fonti di energia fossile che a loro volta hanno influenzato scarsità ed aumento dei prezzi. Da un lato, il picco di crisi da scarsità di energia è dovuto principalmente all’interruzione dell’importazione di gas russo. Dall’altro, prima di questo evento c’era una tendenza montante verso la riduzione dell’offerta di combustibile fossile causa disinvestimento per proiezione a lungo termine di una minore domanda in Europa. Ora è evidente che l’Ue avrà bisogno di gas e petrolio ben oltre la data di bando degli stessi, il petrolio nel 2035 via veto ai motori termici, il gas qualche tempo dopo, perché la loro sostituzione con fonti eoliche, solari e idriche, pur opportuno aumentarle, non sarà sufficiente né per quantità né per continuità. Fino a quando? Fino alla messa a regime di una fonte energetica “pilastro” che è quella nucleare a fissione di nuova generazione. Ma la messa a regime di tale tecnologia, considerando che le centrali vecchie esistenti in Europa dovranno essere sostituite da nuove o ristrutturate, potrebbe andare verso il 2050-60. Poi va considerato che in quel periodo ci saranno più dati sul nucleare a fusione, forse prototipi, portando il dilemma se aspettare un po’ di tempo per la rifinitura di questa tecnologia pulita senza scorie oppure persistere nell’investire sul nucleare con scorie radioattive (fonte di dissensi per dove collocarle). Quindi fino ad almeno il 2060 l’ambiente europeo avrà bisogno di una fonte “pilastro” fatta principalmente di gas, in un mix energetico dove aumenteranno progressivamente le fonti da solare, eolico e idro, idrogeno verde innovativo (inseribile nei tubi di gas, in bombole per alimentare mezzi mobili elettrici ad autonomia elevata); le installazioni di nucleare a fissione di nuova generazione (mini) e forse i primi impianti a fusione, oltre biocarburanti e sintetici a basse emissioni. Pertanto le infrastrutture gasifere - in questo scenario ipotetico, ma con calcoli più realistici di quelli Ue – potrebbero/dovrebbero restare attive fino a circa il 2070 prima di poterle abbandonare con sostituzioni valide. Ciò implica segnalare ai produttori di gas fossile (compatibili con l’Alleanza delle democrazie) che possono tornare ad investire nella ricerca di giacimenti perché il ciclo della domanda europea, pur a lenta decrescita nei decenni, durerà a lungo, con volumi molto alti fino al 2035-40. Infatti la Germania ha da poco firmato un contratto di fornitura di gas liquido con il Qatar per 15 anni, rinnovabile, probabilmente a prezzi controllabili, che appare compatibile con lo scenario qui abbozzato. In sintesi, il calendario decarbonizzante dell’Ue scricchiola per sua inconsistenza.

Poi è eurosuicida l’aver messo la questione ambientale in conflitto con lo sviluppo economico: causa di deindustrializzazione e delocalizzazione. Ed è criticabile la posizione di quei colleghi che hanno cercato di nascondere tale suicidio sia amplificando i benefici immaginari della transizione decarbonizzante accelerata sia ombreggiandone i costi. Chi scrive è econegazionista? No: nello scenario ha immesso il criterio di evitare il conflitto tra ambiente e sviluppo, salvando ambedue. Il risultato è un calendario “curvilineo” di transizione verso fonti energetiche non fossili che allunga i tempi del fossile per evitare il conflitto con lo sviluppo, prevedendo che quando sarà disponibile più nucleare la curva del contributo decarbonizzante dell’area europea sarà rapidissimo. L’Ue fa calcoli lineari, invece, dimostrando anche inconsistenza metodologica o che sotto l’ecofanatismo ci sono altri motivi. Chi scrive aderisce pur in altro modo all’obiettivo di contenere il riscaldamento globale eliminando i gas serra entro fine secolo? Calma. Non può escludere le cause antropiche del riscaldamento, ma nemmeno può evitare di annotare l’incompletezza e l’eccesso ideologico di tale analisi, invocando sistemi migliori di monitoraggio. Pertanto ha una posizione di ecorealismo: comunque servirà una quantità enorme di energia pulita e a costo contenuto per l’ecoadattamento, cioè per costruire un’ecologia artificiale dove natura e lavoro possano convivere in qualsiasi caso perché comunque la presenza umana è un fattore artificializzante del pianeta, per esempio l’agricoltura da 10mila anni.

Il punto: bisogna dare al settore del gas il segnale che può tornare ad investire, contando su una domanda europea sufficientemente elevata per almeno 40-50 anni. E il petrolio? Il mondo lo userà fino a che ce ne sarà pur nel crescere della mobilità elettrica, che però sarà lenta: poterne disporre è un fattore competitivo. L’Italia ha parecchio gas e petrolio e quindi il segnale evocato va prima di tutto indirizzato all’interno: il governo appare su questa linea realistica. L’Ue? Sul piano ambientale ha sbagliato tutto, finora. E va considerato che l’America non sta facendo questi errori (nemmeno la Cina) pur stimolando l’ecotransizione. Sintetizzando, il mondo andrà a combustibili fossili almeno fino al 2070 e appare anomalo che l’Ue voglia anticiparne la sostituzione – senza effetti globali per altro - dandosi martellate, diciamo, sui piedi. Soluzioni? Sarà necessario smontare un quadro normativo irrealistico e generane uno ecorealistico, cosa che richiede la sostituzione dell’attuale personale comunitario nelle elezioni europee del 2024, sperando che l’ecoralismo possa vincere contro l’ecolirismo suicida entro le nazioni rilevanti.

(c) 2022 Carlo Pelanda
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