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Carlo Pelanda: 2022-8-13Verità and Affari

2022-8-13

13/8/2022

La priorità della convergenza economica euroamericana

Il distacco economico tra blocco sinorusso e alleanza delle democrazie prosegue, ma la “riglobalizzazione selettiva” intesa come formazione di un mercato integrato tra democrazie stesse segna il passo. La recente legge sugli incentivi all’industria statunitense contiene molto “Buy American”, confermando una postura protezionista condivisa sia a sinistra sia a destra. Per altro l’Ue insiste nel mantenere un proprio protezionismo e ad intensificarlo in materia di standard ambientali e in altri settori. Mettendo a scenario questa situazione emerge una bassa probabilità di formazione di un mercato euroamericano che faccia da nucleo organizzatore per armonizzare tutto il reticolo di accordi economici bilaterali tra democrazie, producendo una direzione verso un mercato unico delle stesse, nonostante la loro compattazione geopolitica stimolata dalla sfida di Russia e Cina.

Perché c’è e ci sarà sempre più bisogno di un tale mercato delle democrazie e nazioni emergenti affini e compatibili? Le nazioni dell’Ue, in particolare Germania ed Italia, hanno la necessità di sostituire la perdita del mercato russo  nonché le forniture di materiali critici con l’accesso ad altre aree del globo per l’export e per le importazioni a prezzo contenuto. La Germania, in particolare, dipende molto per l’export dalla Cina. Una ricerca tedesca ha stimato una perdita catastrofica per il Pil della Germania se tale export diminuisse così come ha segnalato un recessione grave se Mosca interrompesse del tutto e subito le forniture di gas. Al riguardo della Russia è molto improbabile che vi sia una ripresa dei flussi con l’Ue anche se vi fosse un armistizio nella guerra cinetica tra Ucraina e Russia. Al riguardo della Cina, rischi di implosione finanziaria a parte, da qualche anno si nota una tendenza a sostituire l’importazione di tecnologia “occidentale”, per esempio le auto, con mezzi propri caricati di competitività sia per prezzo sia per tecnologia stessa  perché rubata o comunque appresa via joint venture. L’export tedesco in particolare è a rischio anche se non ci fossero sanzioni. In materia, è probabile che le sanzioni saranno estese da parte statunitense con pressione sugli europei. Semplificando, la Germania ha una prospettiva di meno export verso la Cina, con l’enorme problema di avere molti impianti produttivi lì residenti. Tale scenario proiettivo non è sfuggito agli strateghi tedeschi. Nel gennaio 2007 Angela Merkel, nel ruolo di presidente di turno dell’Ue propose, all’Amministrazione Bush l’integrazione giuridica e finanziaria di Ue e Stati Uniti: ma Washington si limitò a formare un comitato per lo studio della materia. Peggio andò tra il 2013 e 2016 quando Barack Obama propose all’Ue un accordo ambizioso di libero scambio che prevedeva la convergenza verso standard comuni di mercato: gli europei vollero mantenere il protezionismo, su spinta francese, e subirono ricatti da Russia e Cina, quest’ultima anche promettendo una posizione dorata a Berlino, e quasi di più a Roma, nella nuova Via della seta. Donald Trump fu minaccioso nel pretendere il riequilibrio del dare ed avere tra America ed Ue. L’ascesa al potere di Joe Biden illuse le élite tedesche che finalmente si poteva sperare in un trattato economico euroamericano: fu invocato dal capogruppo tedesco del Partito popolare nel Parlamento europeo (Weber) e più recentemente dal ministro delle Finanze (Lindner). Ma l’America non ha risposto perché l’impoverimento della classe media è stato imputato all’eccesso di concorrenza esterna e nessun politico statunitense ora verrebbe eletto se si mostrasse favorevole ad aprire di più le frontiere economiche con europei e democrazie asiatiche (dove però Giappone, Corea del Sud, ecc., hanno flussi regolati da trattati bilaterali, come per altro l’Ue con questi). Per inciso, il problema è vero: per decenni il deficit commerciale statunitense è stato compensato dal ritorno dei dollari nel sistema finanziario americano, ma generando una deindustrializzazione impoverente combinata con la delocalizzazione.

Stallo? Secondo chi scrive dovrà e potrà essere superato da due azioni. La prima a livello G7, possibilmente un po’ più istituzionalizzato, dovrebbe considerare che la conquista via molta carota e minimo bastone dell’area grigia (5 miliardi di persone circa) tra i due blocchi implica la convergenza ed integrazione economica delle democrazie più l’inclusione delle nazioni compatibili ed affini. Si tratta di un problema di scala e di concentrazione delle risorse. Se non verrà fatto, la Cina e, pur meno, la Russia potrebbero ottenere un’influenza maggiore delle democrazie nel pianeta, sconfiggendole. La seconda riguarda la relazione bilaterale tra Ue ed America. L’Ue dovrebbe individuare i settori dove può aprirsi alla concorrenza statunitense e viceversa. Soprattutto, ambedue dovrebbero impostare un negoziato evolutivo: si comincia da un numero limitato di integrazioni per poi estenderle con il metodo funzionalista adottato nella prima fase di costruzione della Comunità economica europea. Impossibile rendere evolutivo un percorso negoziale nell’Ue con decine di governi e parlamenti che devono approvarlo? No, se si studia si trova la soluzione. Il mondo industriale e finanziario privati dovrebbero spingere la politica a farlo, immaginando un premio possibile verso il 2035-40: la convergenza tra dollaro, euro, yen (e sterlina) e la generazione di una nuova metamoneta: il “credit”, risorsa di liquidità infinita per risolvere qualsiasi crisi e finanziare qualsiasi sviluppo congiunto nel mondo. E oltre.

(c) 2022 Carlo Pelanda
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