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Carlo Pelanda: 2017-4-18La Verità

2017-4-18

18/4/2017

Ora la Turchia è sotto esame

L’esito del referendum in Turchia che fornisce poteri quasi dittatoriali, cioè di presidenzialismo asimmetrico senza sufficienti istituzioni di bilanciamento, a Erdogan sarà causa di ulteriore destabilizzazione della già caotica area mediterranea – teatro di interesse primario per l’Italia – oppure no?
Circa il 50% dell’interscambio commerciale della Turchia è con nazioni dell’Ue. Quasi il 70% degli investimenti esteri nel sistema economico turco proviene dall’Europa. Il consenso a Erdogan si concentra principalmente in aree rurali che sono in via di sviluppo grazie alle politiche di incentivi selettivi attuate nell’ultimo decennio da Erdogan stesso per aumentare la sua presa personale sulla popolazione islamica più arretrata. In sintesi, per mantenere il consenso e il primato del partito religioso all’interno, Erdogan non potrà permettersi divergenze eccessive né con l’Ue né con gli Stati Uniti perché la continuazione dello sviluppo nazionale dipende da relazioni economiche normali con loro. Va annotato che da tempo Erdogan cerca di ridurre tale dipendenza, in particolare dall’Ue. Prima del 2010 tentò di creare un’area economica turcocentrica con Iran e Siria. Negli ultimi anni ha facilitato le relazioni commerciali con la Russia, intensificate nel settore alimentare dopo le sanzioni a Mosca, e ritorsioni dalla stessa, con notevole danno per i produttori italiani. Recentemente ha siglato con il Regno Unito una bozza di accordo di libero scambio, utile sia alla strategia post-Brexit neomercantilista di Londra sia ad Ankara come alternativa al mercato europeo. La presenza della Cina in Turchia sta aumentando. Da un lato, Erdogan tenterà di ridurre la dipendenza economica, e relativi vincoli geopolitici, dall’Ue e dagli Stati Uniti, aumentando connessioni commerciali alternative. Dall’altro, è molto improbabile che riesca a sostituire le dipendenze tradizionali. Pertanto, al momento, lo scenario indica come più probabile la necessità di Ankara di non divergere troppo da Ue e Usa, ipotesi da cui è derivabile un comportamento non (troppo) destabilizzante nell’area mediterranea e dintorni.
Più difficile è capire quale potrà essere la strategia dell’Occidente verso la Turchia erdoganizzata. Il consenso solo al 51% - forse con brogli - mostra una Turchia spaccata a metà. Da un lato, ciò costringerà Erdogan a politiche di rafforzamento del consenso via benessere materiale, cosa che rinforza l’analisi fatta sopra. Dall’altro, visti i comportamenti recenti, non si può escludere un inasprimento dell’autoritarismo e le conseguenti reazioni sia dei laici kemalisti sia dell’area curda, che vale ben il 25% del territorio turco. In tale seconda ipotesi aumenterebbe il rischio di destabilizzazione della Turchia, amplificato dall’evidenza che il gruppo dirigente attorno a Erdogan e lui stesso abbiano competenze sub-ottimali per una politica interna inclusiva e per un’azione estera stabilizzatrice. Erdogan stesso ha ammesso errori di politica estera. Ma li ha implicitamente attribuiti all’influenza dell’Amministrazione Obama nel suo staff, dal 2010 in poi, che ha portato a facilitare lo Stato islamico in funzione anti Assad in Siria e dei Fratelli musulmani – per altro invisi ai sauditi/wahabiti – in Egitto e Libia, in modi caotici dove la stessa strategia neo-ottomana di Ankara è rimasta vittima. Per questo ora vuole più potere sovrano. In realtà è stato lui stesso a gestire male situazioni che meritavano più accortezza. Poiché la Turchia è uno snodo geopolitico cruciale per la stabilità di un’area che va dalla Libia ad Altana, e un membro pur divergente della Nato, Erdogan potrebbe non dimostrarsi all’altezza di tenere la nazione in ordine e di attuare una politica estera stabilizzante. L’opzione di promuovere uno Stato curdo che riduca la forza della Turchia, spaccandola, e dell’Iran e insinui un cuneo pro-occidentale anti-russo in un’area cruciale è un’opzione solo teorica di estrema emergenza, cioè pensabile dove il caos può essere governato solo aumentandolo. Non è mai esistita realmente l’opzione di includere la Turchia nell’Ue, né esisterà dopo la sua svolta autoritaria, e quindi l’Ue non potrà condizionare Erdogan con le buone. Quindi resta l’opzione Nato di rimuoverlo con le cattive qualora non si mostrasse competente, cioè stabilizzante all’interno e all’esterno, contando sull’ampio dissenso della parte di popolazione turca più moderna e sulla ribellione dei quadri intermedi dell’esercito. Quindi Erdogan ora è sotto esame. Se convergerà troppo con Mosca per sottrarsi al giudizio, probabilmente la rimozione sarà anticipata. Se, invece, mostrerà moderazione e convergenza, allora l’Occidente, e in esso l’Italia, avranno l’interesse a trovare collaborazioni utili per tutti. Alla fine anche per Putin.

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