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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2005-12-18il Giornale

2005-12-18

18/12/2005

Democrazia attiva

Amore per la democrazia. E’ il sentimento che anticipa l’identità della futura cittadinanza globale. Un tempo il progetto illuminista invocava la fratellanza universale, ora il neoilluminismo comincia a prendere forma concreta nella visione che propone la costruzione di democrazie funzionanti nelle circa duecento nazioni nel pianeta. Su queste, perché democratiche e quindi potenzialmente meno aggressive e più stabilizzate socialmente, si potrà fondare la nuova governabilità, liberale, dell’intero pianeta. Poesia e razionalità. La prima mi fa urlare di gioia ed invocare l’abbraccio alla nuova democrazia in atto in Irak. La seconda fa vedere che il sogno democratizzante è fattibile.

Ma mi sento piuttosto solo nel dare un’enfasi così forte alla missione democratizzante e chiedo alla cortesia di voi lettori di darmi complicità per stanare chi sta in silenzio o a lato. Parecchi amici politici mi prendono in giro, bonariamente, invitandomi ad essere più “europeo” e meno “americano”. I colleghi ricercatori in Italia sembrano più inclini a porre la democrazia sotto altre considerazioni di priorità. Altri del tutto neutrali:  massima razionalità, zero passione. A loro vorrei dire davanti a voi, lettori, come è nato il progetto “Democrazia attiva” in cui lavoro da quindici anni con centinaia di altri ricercatori nel globo. Nel 1989 giurammo, in una università americana, sotto la statua di Benjamin Franklin, che mai più avremmo lasciato soli i nostri studenti che morivano chiedendo democrazia. Cinesi schiacciati dai carri armati in piazza Tien an Men che erano rientrati nel loro Paese per aiutare i coetanei in rivolta. Che continuano a morire. Come gli iraniani, gli africani, ecc. Docenti provenienti da tutto il mondo giurarono per il futuro di tutto il mondo sul sangue degli studenti di tutto mondo: democrazia nel mondo, unica vera soluzione. La razionalità del come fare, scritta in decine di ricerche confezionate come si deve alla luce del metodo scientifico, spinta dal sentimento di doverlo fare, dal codice di identità dell’umanesimo e dalla fede nel progresso. Ora io mi rendo conto che nelle strade e nei Parlamenti non vi può essere tanto spazio per questo disegno futurizzante in quanto vi sono altre priorità. Ma non riesco a capire come mai nelle università italiane, nei luoghi dove si pretende di generare la cultura di visione, vi sia tanto silenzio, cinico disinteresse e cacadubbismo. Le università sono anche avanguardie. Chi altri potrebbe esserlo? La gente che deve sfangare nella quotidianità per un tozzo? La politica che ha la priorità della contingenza? Siamo noi ricercatori/docenti pagati per pensare ed argomentare quale giusto progetto futuro ci salvi in terra e con quale mix tra passione e razionalità proporlo al dibattito della società di riferimento. In questo caso noi, nelle scienze della politica, dell’economia e le altre sociali. Chi altro è in grado come noi di istruire una visione, di sottoporla a scienza e valutazioni di opportunità, di costruire una sufficiente varietà di opinioni basate sulla competenza e non solo sulle impressioni? Non si odono le vostre voci, colleghi universitari. Non si sente il vostro saluto alla nuova democrazia in Irak, o pro o contro. Dove è la grande scuola del realismo politico italiano fondata dal Machiavelli, il suo “realismo attivo”, che così mi permetto di interpretare: creare un Principe che metta ordine nelle cose è un rischio, ma minore di quello di non agire. Criterio applicabile al dibattito corrente in America tra “realismo pragmatico” (Kissinger) e “realismo etico” (neocon, globalismo attivo): il primo prescrive di intervenire nel mondo solo per aggiustare le cose mantenendole in equilibrio, il secondo di cambiarle per prevenire pericoli futuri. Ci starebbe tutto un realismo di scuola italiana in materia di democratizzazione globale: un realismo attivo, appunto, che usi quello pragmatico per lo scopo etico/strategico della pressione democratizzante planetaria. Colleghi, non si può insegnare e fare ricerca senza un senso di missione. La mia è “Democrazia attiva”. La vostra?

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