La Banca centrale europea è molto meno colpevole di quanto si pensi per il crollo spaventoso dell’euro nell’ultimo biennio, ma va riconosciuto che il modo di gestirla da parte di Wim Duisenberg ha aggravato notevolmente le cose. Non condivido – e trovo un po’ arrogante - l’accusa di "dilettantismo" rivolta a Duisenberg dall’economista americano Rudiger Dornbush, ma è innegabile quella di gestione confusa e non vigile uscita dalla bocca autorevole di Norbert Walter, capo economista della Deutsche Bank. L’euro è già debole di per se, strutturalmente e con notevoli malattie genetiche, e uno non può permettersi nemmeno una piccola sbavatura. Duisenberg ne ha fatte troppe. Tuttavia, al lettore interessa certamente un solo punto specifico: basterebbe la sostituzione degli uomini ai vertici della Bce per contenere il problema più grave della moneta unica, cioè la crisi di credibilità?
La caduta del valore di cambio in relazione al dollaro (30%), pur preoccupante per l’impoverimento causato dall’inflazione importata e dal deflusso dei capitali, è un fatto temporaneo e non di per sé fatale. Nel passato il marco oscillò in modo ancora più estremo e ciò non ha comportato catastrofi. Sarebbe letale, invece, non saper dare all’euro la prospettiva di credibilità futura. Cioè creare l’attesa che tra qualche anno potrà aspirare a diventare una solida seconda moneta mondiale che si associa al dollaro come valuta di riserva. Ecco, dobbiamo chiederci se il mandare via Duisenberg adesso migliorerebbe la probabilità di ottenere tale obiettivo. La mia opinione è che sarebbe un errore sostituire il vertice della Bce nell’immediato ed in maniera punitiva nonostante i buoni motivi per farlo. Infatti il rischio è quello di bruciare anche quelli che arriveranno dopo. Nonché di formalizare e certificare agli occhi del mondo che l’euro sia una patacca. Non è vero – in prospettiva – e non ci conviene assolutamente che tale percezione, sfortunamente crescente, prenda piede. Solo il 10%, infatti, dei motivi che affondano la moneta unica è causa imputabile alla cattiva gestione da parte della Bce. Il 90% dipende dai governi di sinistra che non hanno creato le condizioni economiche e politiche di fondo per renderlo robusto. Quindi sarebbe saggio, prima, rimuovere i motivi politici della debolezza della moneta unica e, solo quando questo avverrà, far partire una nuova gestione della Bce. Si parla di Otmar Issing, attuale capo economista della Bce. Il candidato formale è l’attuale banchiere centrale francese, Trichet, ma è coinvolto in uno scandalo nel suo paese. Io preferirei il "vecchio leone" Tietmayer, ex presidente della Bundesbank (l’autorità monetaria tedesca). Comunque questo riguarda il prossimo futuro. Nel presente dobbiamo concentrarci sui motivi politici che deprimono la credibilità della moneta unica.
Il principale riguarda la decisione esplicita da parte degli eurogoverni di svalutare – di fatto - l’euro per riuscire a fare crescita con la leva esportativa. Il disastro nasce da qui. I governi di sinistra nell’eurozona - solo la Spagna e l’Irlanda sono guidate da centristi e liberalizzanti - non vogliono né possono per loro ideologia riformare il modello economico interno dei paesi. Quindi hanno deciso, appunto, di indebolire l’euro. Con dichiarazioni – queste sì dilettantesche ed incoscienti – come quella del cancelliere tedesco Schroeder che un mese e mezzo fa ancora si diceva felice della grande opportunità competitiva data dall’euro basso. Il che ha comunicato al mercato mondiale l’incompetenza di questi politici nel capire come funziona realmente un’economia: deve avere forza interna, cioè tasse minime ed efficienza massima. Ma una tale riforma significa togliere gli elementi di socialismo impoverente che tanto affliggono i modelli statali di Francia, Germania ed Italia (che insieme fanno circa il 75% del Pil dell’eurozona). La sinistra, ovviamente, non può farlo e nega che questo sia il problema. Invece lo è. Solo l’idea che sia realmente possibile nel futuro ottenere un’economia continentale con minori pesi statalisti darebbe al mercato, da adesso, i motivi per tornare sull’euro ed invertire i flussi di capitale di investimento che attualmente privilegiano il dollaro e fuggono da noi. Tutto qui. Ma a questo chiodo è appeso il quadro.
Ci sarebbe, in realtà, un secondo chiodo. Il fatto che il Regno Unito stia fuori indebolisce strutturalmente l’euro molto più che la mancanza, per altro grave, di un governo europeo che corrisponda ad una Banca centrale altrettanto europea. Quindi è una priorità politica dell’Unione la capacità di creare le condizioni affinchè la popolazione inglese possa votare sì ad un referendum (lì fanno così, non come da noi dove i governi decidono senza consultare la gente) di adesione alla moneta unica.
In conclusione, ci sono due macroeventi politici che hanno la possibilità di consolidare sostanzialmente la nostra moneta. E non occorre che avvengano subito. Basterebbe solo che la politca li rendesse percepibili come probabili nel futuro. E l’euro schizzerebbe subito in alto. Quindi è la politica, prima degli euroburocrati, che deve dimostrare di essere professionale e non dilettantesca.