Lo sdoganamento dell’Iran promette vantaggi, ma mancano alcune condizioni per confermarlo. Il contesto è la guerra indiretta tra Arabia saudita, sunnita, ed Iran, sciita. Da sempre, nell’area, la strategia statunitense è quella del “doppio contenimento”: usare le nazioni sunnite per contenere l’espansione dell’Iran e viceversa per instaurare un “equilibrio del terrore” dove le parti abbiano ciascuna bisogno dell’Occidente dandogli così un potere regolatore nel teatro rilevante per i prezzi dell’energia. Lo sfondo dell’accordo con l’Iran riguarda il ripristino di tale equilibrio da parte americana e la volontà di Teheran di cogliere un’opportunità. Obama ha compromesso la relazione con i sauditi sostenendo gli antagonisti Fratelli musulmani nei golpe in Egitto e Libia (le primavere) e portando la consultazione con l’Iran, inaugurata da Bush per i fronti iracheno e afghano, verso una collaborazione sbilanciata. La reazione saudita ha portato la divergenza con l’America oltre la soglia di ricomposizione normale . Riyadh: ha attuato un contro-golpe in Egitto e (mezza) Libia; ha tentato di creare uno Stato sunnita da incuneare nell’area siro-irachena, a rischio di dominio sciita e di influenza turca non gradita ai Saud, di cui poi ha perso il controllo quando si trasformò in Califfato, ma che ancora non vuole contrastare; ha fatto calare il prezzo del petrolio in modi non concordati che hanno devastato le produzioni americane di gas e petrolio con la costosa tecnologia del “fracking” e la finanza sottostante. Più grave, in prospettiva, via basso prezzo ha interrotto gli investimenti di molti attori in nuovi giacimenti, preparando una scarsità futura di energia. In sintesi, si è creata la necessità di un contenimento maggiore dell’Arabia: per questo l’America ha dato il permesso all’Iran di rimettere a posto la sua economia, tornando liberamente ad esportare petrolio, e di sviluppare la sua ambizione di potenza regionale. Teheran ha colto il momento e si è messa in convergenza sia per rafforzare il consenso cedente al regime per le condizioni economiche sia perché la rinuncia temporanea alle armi nucleari le fornisce più vantaggi dell’insistenza ad averle. Ma l’accordo è ancora lontano. Obama ha usato la dimostrazione di poter condizionare l’Arabia rafforzando il nemico sciita, ma questa è una forzatura ispirata dal desiderio di ottenere qualcosa in un mandato fallimentare che concede troppo all’Iran. Il Congresso a maggioranza repubblicana, che tratterà il caso dal prossimo 14 aprile, vorrà più cose dagli iraniani: riduzione dell’influenza cinese, più collaborazione attiva su alcuni fronti, ecc. Poiché le ragioni di Israele lì sono molto influenti, l’Iran dovrà dare almeno un cenno pubblico sulla rinuncia alla volontà di distruggere Israele stessa ed uno privato a Tel Aviv che metterà la museruola ai suoi ascari Hamas ed Hezbollah. L’Arabia, poi, avrà bisogno di rassicurazioni entro la dissuasione correttiva attuata dall’America. In parte le sta già avendo in forma di sostegno militare nella sua azione in Yemen contro i gruppi sciiti filoguidati da Teheran. Ma vorrà garanzie sul fatto che l’espansione dell’Iran troverà un limite e se non le avrà cercherà un ombrello nucleare non-americano oltre a continuare a non contrastare il Califfato. In sintesi, per concludere la trattativa “luce verde”, mancano alcuni accordi di sostanza e non solo di forma come lasciato intendere dalle diplomazie. Ma come saranno finalizzabili? La mia sensazione è che l’America dovrebbe aprire in parallelo una trattativa (bilaterale) per la revisione positiva dell’alleanza con l’Arabia ed una per il rinnovo di quella con Israele allo scopo di impostare tre accordi di reciproca rassicurazione senza i quali o il Congresso boccerebbe quello con l’Iran oppure l’Arabia reagirebbe istericamente per l’eccessivo vantaggio dato all’Iran stesso. Il problema dell’Amministrazione Obama è che, semplificando, tende a fare una cosa per volta senza consapevolezza del quadro sistemico. Poiché l’Italia è interessata alla stabilità dell’area, a fare affari con tutti, in particolare con un Iran che si riapre al business ed un Egitto sempre più chiave, ed essendo il più solido amico di Israele in Europa, mi chiedo se Roma possa suggerire all’alleato americano una tale formula di negoziati multipli bilaterali sincronici ed eventualmente aiutarli. Di solito consiglio neutralità nelle questioni mediorientali, ma in questo caso vedo i motivi per un nostro attivismo.