Finalmente il negoziato per la creazione di un mercato integrato euroamericano (TTIP) si è sbloccato. Dall’estate del 2013 fino a quella del 2015 era rimasto impaludato nell’eccessivo numero di temi oggetto di trattativa, cioè nell’ambizione di voler generare un mercato unico e non una “semplice” area di libero scambio. In settembre c’è stato un impulso politico, più dal lato statunitense, per mettere in priorità la velocità e non la completezza dell’accordo. A fine ottobre tale svolta ha provocato la riduzione delle materie su cui cercare convergenza, selezionando quelle meno difficili, tra cui l’abbattimento delle barriere doganali e la creazione di standard industriali comuni in una varietà di settori, lasciando il resto a trattative successive o laterali. Questa configurazione rende il TTIP un trattato di libero scambio di nuova generazione, cioè con alcuni elementi di mercato unico, e tende a somigliare di più al fratello TPP già siglato tra 11 nazioni del Pacifico più gli Stati Uniti. L’importanza di TTIP e TPP non è solo quella di fluidificare gli scambi commerciali in un’area che fa circa il 70% del Pil mondiale (45% il TTIP), ma quella di preparare un mercato globale delle democrazie, e nazioni compatibili, con regole e standard adeguati a questi modelli politici, nuova organizzazione che fin dagli anni ’90 invoco nominandola “Free Community”. Ciò serve a dire che per lo scopo finale di creare una Libera comunità tra nazioni con regole di mercato e politiche convergenti non serve fare subito un mercato unico euroamericano, ma è sufficiente predisporre l’area, intanto, confermando TPP e TTIP. Poi tali trattati potranno essere approfonditi e corroborati da accordi aggiuntivi ed evolutivi. Anzi, è perfino meglio che il TTIP sia semplificato perché ciò faciliterebbe l’ulteriore negoziato per fondere il mercato atlantico con quello del Pacifico nonché includere altre democrazie in maturazione. Ma è il futuro lontano. Per quello ravvicinato va annotato che il TTIP, pur semplificato, ha ancora un’agenda lunga, complicata dalla campagna per le presidenziali in America nel 2016 e molto vicina a elezioni nazionali delicate in Europa, nel 2017, che potranno interferire con l’approvazione politica in sede Ue. Quindi trovare la finestra giusta per il closing è un punto critico. Al momento la primavera del 2017 appare la prima data fattibile. Ma per ridurre il rischio di intoppi quella giusta sarebbe il giugno del 2016. Spero che i governi interessati se ne accorgano, ricordando a quello italiano che ha certa rilevanza e molto interesse in questa materia.