La domanda globale è in contrazione e potrebbe restare bassa nel 2012. La combinazione tra meno export e tagli per ottenere il pareggio di bilancio nel 2013 manderà l’Italia in recessione. Ha senso mantenere inalterato il calendario del rigore in uno scenario di minor traino economico esterno e mandare l’Italia in recessione mentre la si potrebbe evitare posponendo l’obiettivo del deficit zero pur mantenendo l’impegno? Sarebbe una pericolosa fesseria applicare il rigore senza tener conto degli andamenti reali dell’economia.
Il governo sta studiando misure di sviluppo. Ma difficilmente saranno sufficienti ad invertire la tendenza recessiva. Il governo non ha forza, e forse nemmeno lucidità sufficiente, per avviare detassazioni e cambiamenti di modello con effetti stimolativi. Anche se la avesse, tali cambiamenti richiedono anni per essere attuati. Dopo non essere riuscito ad ottenere l’europeizzazione del debito nazionale, dopo aver dimostrato l’incapacità di ridurre il debito stesso via finanziarizzazione del patrimonio, può solo cercare di rinegoziare l’agenda di rigore imposta dall’esterno. Ma l’enorme debito e la gestione incompetente della politica economica hanno tolto la sovranità economica all’Italia. Ormai Germania e Bce, poiché veri garanti del debito italiano, governano dall’esterno la nostra politica economica. Questi insistono nell’imporci un’agenda di rigore scollegata dalla realtà e controproducente. Il mercato vedrebbe una recessione amplificata dalla deflazione da rigore come un motivo per alzare ancor di più il rischio prospettico di insolvenza del debito italiano. Per esempio, il mercato vede con terrore l’effetto dell’applicazione dell’idealismo economico alla Grecia: dopo la sifilide presa per disordine morale e contabile si è beccata la polmonite e la curano con secchiate d’acqua gelida. Sono pazzi. Hanno imposto un rigore insostenibile che ha gettato Atene in una spirale recessiva, ora quasi a meno 6% del Pil. In Spagna, sottoposta ad una cura eccessivamente restrittiva, la catastrofe è meno evidente, ma più profonda: la gente migra in Sudamerica per trovare lavoro, con un ritmo tale da far temere una crisi demografica prospettica in quella nazione. Il pareggio di bilancio in Costituzione è un obiettivo necessario per rendere sostenibile e credibile un debito in quanto chiude la possibilità di aumentarlo, primo passo fondamentale di riequilibrio. Ma i tempi vanno decisi in base al realismo economico per evitare impoverimenti che poi rendono impossibile ripagare il debito stesso. Infatti questo è quello che teme il mercato al riguardo dell’Italia: per stare nell’agenda 2013, dopo un 2012 con recessione amplificata che ridurrà il gettito fiscale, bisognerà tagliare più spesa e più in fretta oppure alzare ancor di più le tasse, ambedue azioni depressive che innescano una spirale degenerativa che alla fine porterà sangue nelle strade e all’insolvenza. E’ evidente, ma non per i portatori dell’idealismo economico. Non perché siano fessi e non lo sappiano. Ma perché pensano che senza la pressione della crisi i governi non metteranno ordine nei conti. E che l’elettorato tedesco ha bisogno di vedere il sangue dei mediterranei per mantenere il consenso sulle responsabilità europee della Germania. Saremmo noi pazzi suicidi se accettassimo l’impoverimento per questi motivi. Soluzioni? Rinegoziare l’agenda del rigore in sede europea per trovare delle date realistiche per il pareggio del bilancio e definire delle stazioni intermedie che confermino la fiducia sull’esito finale. Non solo l’Italia potrà ottenere il pareggio nel 2016 senza impoverimenti eccessivi, ma anche la Francia, fatto piuttosto eurorilevante. La soluzione sarebbe meglio fattibile se il 2016 diventasse la data di pareggio per tutte le euro nazioni, lo è già per la Germania, con deroghe per Grecia e Portogallo al 2020. Esplori il governo questa strada.