I lettori percepiscono un futuro economico sempre più nero e chiedono: qual è il punto?
Il punto è che se i politici decidessero di fare quello che serve per ottenere sia rigore sia sviluppo non troverebbero il consenso per arrivare alla fase attuativa. Bisognerebbe, infatti, cambiare l’intero modello economico in una direzione liberalizzante e di efficienza: ridurre i costi degli apparati e degli eccessi di assistenzialismo, nonché privatizzare il privatizzabile ed inserire più concorrenza nel sistema, per ricavare nel bilancio statale lo spazio sia per arrivare al pareggio di bilancio sia per ridurre le tasse che stimolano la crescita. Tale azione colpirebbe a morte gli interessi parassitari e corporativi. E, qui il punto del punto, cancellerebbe il potere dei partiti togliendo loro sia le posizioni pubbliche che ora riempiono con i loro adepti sia la spesa discrezionale residua, nazionale e locale, che possono indirizzare a favore dei loro clienti in cambio di consenso e offerte. L’insieme di tali interessi raccoglie una minoranza della popolazione italiana. Ma è così forte da costituire un blocco insormontabile. Che, in soldi, vale almeno 80 miliardi di spesa inutile annua (apparati rigonfiati, trasferimenti clientelari, ecc.); circa 150 miliardi di partecipazioni pubbliche nazionali e locali che potrebbero essere privatizzate, ma che i partiti non vogliono lo siano per continuare ad inserirvi il loro personale; e una cifra che non so precisare, ma non inferiore ai 250 miliardi, di patrimonio immobiliare che si potrebbe vendere per abbattere il debito, risparmiando parecchio sulla spesa per interessi annuale. Ma non c’è nemmeno un censimento dei valori. Questi sono i veri costi della politica, diretti e indiretti, che deprimono la crescita e compromettono l’equilibrio finanziario. Altri costi di inefficienza sono generati dai cartelli corporativi (banche, assicurazioni, ecc.) che riducono la concorrenza e quindi aumentano i prezzi dei servizi per l’economia produttiva. Ma questi, definibili “consociativi”, sono generati da un intreccio di interessi con il sistema dei partiti. Per esempio, la mancanza di concorrenza nel settore energetico, che crea un costo aggiuntivo del 20-30% in relazione alla media europea, è anche dovuta alla natura pubblica della maggior parte delle aziende del settore. Il governo è pressato da una spinta esterna - mercati, agenzie di rating e Ue – per ridurre la spesa inutile, azzerare il deficit e stimolare la crescita via detassazione e liberalizzazioni. Ma riceve una spinta interna altrettanto potente per non ridurre la spesa clientelare e non liberalizzare da parte degli interessi parassitari. Con la complicazione paradossale di sinistra e sindacati che, per difendere il modello statalista, in realtà tutelano gli interessi parassitari stessi contro gli interessi dei deboli che pretendono di rappresentare. La combinazione di queste due pressioni crea, fin dai primi anni ’90, una politica di limature continue del sistema senza modifiche sostanziali. La manovra ora in cronaca ne è solo l’ultimo esempio. Ecco perché l’Italia è in una tendenza di declino lento.
Per invertirla bisognerebbe annullare il potere dei partiti e la connessa inclinazione consociativa di settori del mercato. Ma per farlo bisognerebbe cambiare la Costituzione passando dalla forma di governo parlamentare, cioè dei partiti, a quella di Repubblica presidenziale, con elezioni separate del potere legislativo e di quello esecutivo. In tale modello il capo del governo sarebbe indipendente dai partiti e meno ricattabile dagli interessi parassitari. Risponderebbe solo all’elettorato di opinione e potrebbe tentare riforme contrastate. Ovviamente ci sarebbe il rischio che l’elettorato impaurito dall’impoverimento e fomentato da offerte irrealistiche elegga un populista di sinistra o di destra, tipo Peron, che userebbe la maggior forza dell’esecutivo per distruggere in modo finale l’economia italiana. Ma questo rischio è inferiore a quello di mantenere il sistema attuale che ci porta verso un declino sì lento, ma ineluttabile. Impensabile che la politica accetti una Repubblica presidenziale e lo smontaggio del potere dei partiti? Meglio che i politici più riflessivi ci pensino perché o così o dovranno governare un sistema che avrà sempre meno soldi e li imputerà, con buone ragioni, dell’impoverimento, lapidandoli. Meglio, per tutti, tentare la Terza Repubblica piuttosto che naufragare con la Seconda.