Draghi appare lanciato verso il ruolo di Presidente della Banca centrale europea. Ovviamente fa piacere che sia un italiano a prendere la guida dell’istituzione più importante, e veramente, europea. Ma, francamente, trovo più rilevante chiederci cosa bisognerebbe cambiare nella Bce per renderla più efficace. I difetti sono tre.
Il primo riguarda la missione statutaria di sola difesa del valore della moneta. Per comparazione, la Riserva federale statunitense (Fed) ha due missioni: controllo dell’inflazione, ma anche uso della politica monetaria per stimolare lo sviluppo. Nel disegno delle funzioni della Bce prevalse l’idealismo monetario tedesco: per la crescita è sufficiente la stabilità della moneta. Non è sbagliato, ma certamente è un concetto monco e distorto. Tuttavia Berlino pretese la germanizzazione dell’euro per accettarlo al posto del marco. Conseguentemente la Bce ha quasi l’obbligo di mandare l’economia in recessione piuttosto che prendere un minimo rischio di inflazione. Nella gestione reale la Bce ha sempre applicato con buon senso il proprio mandato. Ma non ha potuto evitare di tenere i tassi, e quindi il cambio, molto più alti di quanto avrebbe favorito la crescita. La Germania, per il suo tipo di modello economico, ne ha avuto poco danno. Ma le economie deboli di Portogallo, Grecia e Spagna sono state devastate da tale politica monetaria. L’Italia cresce poco non solo per difetto interno, ma principalmente perché bloccata in questa gabbia. Andando avanti così salterà l’eurozona per eccesso di compressione della crescita in troppe sue nazioni. In particolare, il rialzo dei tassi alzerà l’euro riducendo l’export che è l’unica fonte di crescita in nazioni con modelli inefficienti, non facilmente riformabili, carichi di debito pubblico e costretti ad applicare il rigore con elevato impatto deflazionistico. Che in Italia già si vede come crisi crescente dei consumi. Una politica monetaria con più facoltà di trovare un compromesso tra rischio di inflazione e di deflazione certamente, anche se non basterebbe da sola, migliorerebbe la situazione. Per questo bisogna aggiungere la missione di sviluppo/stimolazione monetaria nello statuto della Bce.
Il secondo difetto, nella prassi, è quello di non sincronizzare il rialzo dei tassi con la Fed, cioè con il dollaro. Poiché il cambio è l’unica flessibilità che si può dare alle euronazioni con problemi di crescita, appare ovvio che alzare in anticipo i tassi dell’euro, in relazione al dollaro e monete collegate, implica penalizzare l’euroexport. La Bce alza troppo e prima proprio per rinforzare il cambio dell’euro e così limitare l’inflazione importata, per altro con risultati controproducenti perché più il dollaro scende più l’inflazione globale sale. Per permetterle di fare il contrario ci vorrebbe nello statuto la seconda missione detta sopra.
Il terzo riguarda la non perfetta configurazione della Bce per il ruolo di prestatore di ultima istanza. La materia è controversa, ma è evidente che il mercato consideri solo le Banche centrali i veri salvatori – iniettori di liquidità – in casi di megacrisi. Ben venga un Fondo europeo che compri i titoli di Stato delle euronazioni fallite che nessuno compra. Ma, alla fine, il mercato si sentirà rassicurato solo da una Banca centrale che, un metro prima del baratro, possa stampare moneta “di fatto”, per esempio l’acquisto massivo di titoli di Stato come fatto dalla Fed. La situazione mostra che avremo bisogno di rafforzare questa funzione della Bce, non necessariamente per applicarla sul serio, ma per rassicurare il mercato che in caso di bisogno si potrà. Anche in questo caso ci vuole uno specifico cambio di statuto.
Spero che la Germania, il vero decisore, sostenga Draghi. Ma non in cambio della promessa di opporsi ai cambiamenti qui detti che sono vitali per l’interesse nazionale italiano e per una Eurozona che possa stare in piedi, forse.