Ritengo un errore non tanto che la Banca centrale europea (Bce) abbia rialzato il costo del denaro, ma che lo abbia fatto senza cercare un coordinamento con la Riserva federale statunitense (Fed).
Se alzo i tassi dell’euro e non del dollaro, infatti, è ovvio che il valore di cambio del secondo scenderà (per i flussi di capitali che cercheranno più remunerazione nei rendimenti finanziari euro-denominati). Ciò comporta due problemi. Il primo è che l’euro troppo alto penalizza sia le esportazioni sia l’afflusso di turismo da aree extra-euro. Ciò danneggia proprio le economie più deboli, e nei guai per la crisi del debito, che dipendono molto dal turismo, come Portogallo, Grecia e Spagna e le cui esportazioni, in quanto beni a poco valore aggiunto tecnologico, sono molto sensibili al cambio sul piano della competitività. Anche l’Italia sta subendo danni pesanti per gli stessi motivi. Tra l’altro bisogna rilevare una contraddizione sconcertante. Sabato scorso il presidente della Bce, Trichet, ha dichiarato che non è tollerabile un così elevato livello di disoccupazione nell’Eurozona. Ma qualche giorno prima ha alzato il costo del denaro (dall’1% allo 1,25%) creando l’effetto de-competitivo appena detto che certo l’occupazione non la favorisce. Il secondo problema è perfino peggiore. Quando il dollaro scende il prezzo del petrolio sale perché i produttori non vogliono perdere profitto per motivi di cambio. Ma, soprattutto, sale in modo non proporzionale. Semplificando, il dollaro cade, per dire, di 10 ed il prezzo del petrolio sale di 20 o 30. Tale fenomeno, già osservato più volte, dipende dal fatto che i prezzi petroliferi sono in costante tensione perché la domanda globale tende a crescere più dell’offerta e basta un minimo incidente per creare moltiplicazioni al rialzo. Qui c’è un’altra contraddizione. La Bce alza il cambio dell’euro per ridurre il costo del petrolio (e gas) importato prezzato in dollari. Ma così facendo induce un tale rialzo dei prezzi petroliferi da importare comunque, se non di più, inflazione energetica. Con una complicazione. Questo tipo di inflazione non è contrastabile dalla normale politica monetaria. Meglio è dire che è contrastabile solo mandando in recessione brutale il sistema, cosa che taglia la domanda di energia per crisi delle attività. Bisogna cioè indurre un disastro economico per evitare la catastrofe inflazionistica. Mi chiedo, sapendo i tecnici della Bce queste cose, come diavolo possano alzare i tassi in modo non coordinato con quelli del dollaro. Ma la risposta è semplice e deludente. Lo statuto della Bce la obbliga alla sola difesa dall’inflazione. Quando la Bce la vede negli scenari prospettici, nelle contingenze in termini di aspettative, ha il dovere di dare segnali restrittivi, il rialzo dei tassi quello più tipico. Che poi non funzioni, che sia controproducente, a questi tecnocrati non interessa. Fanno il loro dovere come recita la missione statutaria e, infatti, sono incriticabili. Il resto è competenza di un governo europeo che, pur essendoci una moneta unica, non c’è. Ma può soddisfarci una risposta kafkiana del genere? Ovviamente no. Cosa fare? Per prima cosa non alzare i tassi fino a che non lo fa l’America, rischiando un pelo di inflazione, ma evitando quella indotta dai modi detti sopra. Poi bisognerebbe cambiare lo statuto della Bce aggiungendo la missione di stimolazione dell’economia via politica monetaria. L’idealismo monetario di scuola tedesca, eurodominante, lo vieta perché ritiene la sola stabilità della moneta fonte sufficiente di stimolazione. Ma è una fesseria omicida perché ciò significa, alla fine, preferire la recessione ad un po’ di inflazione. Destino a cui la Bce germanizzata, infatti, ci sta portando. Sarebbe ora di inserire più realismo pragmatico in questa Europa astratta e burocratica prima che ci ammazzi. O di andarcene, indipendenti da questi euroidioti.