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Carlo Pelanda: 2011-4-7Libero

2011-4-7

7/4/2011

Rafforzare le banche è veramente una priorità

La ricapitalizzazione delle principali banche italiane è stata ampiamente commentata, ma ci sono ancora parecchie cose da capire.

Perché tanta urgenza? La spiegazione ufficiale, semplificandola, è la seguente. Tra gli accordi internazionali finalizzati ad evitare crisi finanziarie nel futuro c’è quello di rafforzare il patrimonio degli istituti in modo che possano meglio resistere ad eventuali perdite. Il sistema bancario italiano, diversamente da quello statunitense e gran parte di quello europeo, non è collassato durante la crisi finanziaria euroamericana - cominciata ai primi del 2007, esplosa nell’agosto del 2008 e in lento riassorbimento con molti strascichi ancora oggi -  né ha avuto bisogno, a parte un paio di casi, di capitalizzazioni d’emergenza da parte dello Stato. Inoltre dimostra, per lo più, una buona solidità degli istituti. Quindi, in teoria, non ci sarebbe bisogno di ricapitalizzazioni d’urgenza, ma sarebbe possibile spalmare su qualche anno il rafforzamento patrimoniale rendendolo meno traumatico. Ma, in pratica, il mercato pretende che le banche si rafforzino ora, in anticipo sulle date definite dai regolatori. Come lo pretende? Riducendo i valori azionari ed alzando il costo di alcune rilevanti operazioni interbancarie, tra cui la raccolta di capitali, degli istituti che non rafforzano il loro patrimonio. Ciò costringe le nostre banche alla ricapitalizzazione urgente. Intesa per ben 5 miliardi, per esempio. Tale motivo è certamente un fattore reale, ma non spiega tutta l’urgenza e le notevoli masse di capitale mobilitate. Cosa c’è sotto? Forse la percezione da parte del mercato che Grecia, Irlanda e Portogallo dovranno “ristrutturare” i loro debiti sovrani nel 2012/13. Il termine “ristrutturazione” significa dichiarare un’insolvenza parziale. Che ha un impatto negativo sui titoli di debito delle nazioni coinvolte, ma anche su quelli delle nazioni più a rischio pur non in condizioni di insolvenza. Le banche europee sono piene di questi titoli ed è ovvio che l’avvio delle ristrutturazioni dei debiti provocherebbe una tempesta finanziaria che le metterebbe sotto stress. Poi c’è un altro possibile motivo d’urgenza specifico per l’Italia. Stanno aumentando i crediti incagliati dovuti all’impatto recessivo su imprese  e famiglie e ciò potrebbe costituire una grossa perdita per il sistema bancario, al momento si teme attorno ai 30 miliardi. Mettendo insieme le due cose è ovvio aspettarsi una pesante restrizione complessiva del credito che metterebbe in ginocchio l’economia produttiva. Sufficienti capitali di riserva sono un uno dei mezzi per evitare un disastro, in caso. Per tale motivo chi scrive non solo è favorevole alla ricapitalizzazione d’urgenza, ma anche pensa che ci vorranno ulteriori misure di riduzione della vulnerabilità. Sembra pensarlo anche Tremonti che sta indirizzando dagli 8 ai 10 miliardi di euro ricavati per lo più dal risparmio postale verso un fondo statale con la missione di aiutare la ricapitalizzazione e a gestire altri problemi e guai. Pertanto dobbiamo dare pieno sostegno sia alla Banca d’Italia sia al ministero per l’Economia nel loro sforzo di rafforzare preventivamente il sistema finanziario nazionale, in particolare la richiesta che nella ricapitalizzazione vengano messi soldi veri e non nominalistici. Ciò ovviamente mette in difficoltà i proprietari delle banche che non necessariamente hanno tutti i denari richiesti e che non vogliono diluire la loro percentuale di possesso in sede di aumento di capitale. Qui l’opinione pubblica dovrebbe vigilare affinché le cose si facciano bene: soldi veri, se non li hai ti diluisci. Dovremo anche vigilare affinché le “operazioni di sistema” in fase di ricapitalizzazione non portino come conseguenza la formazione di “cartelli”, l’eccesso di presenza statale nelle banche, la concorrenza sleale dei grandi istituti contro quelli locali.  

(c) 2011 Carlo Pelanda
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