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Carlo Pelanda: 2011-3-15Libero

2011-3-15

15/3/2011

Bisogna prevenire lo tsunami finanziario

Il mercato si sta chiedendo se vi sarà un impatto globale del megadisastro in Giappone, se sì quale e come attutirlo. Tento una valutazione del tutto preliminare.  

La ricerca specialistica sulle emergenze di massa – l’archivio completo è visitabile presso il DRC, University of Delaware – divide la scena economica e sociale di un disastro in fasi, qui semplificate come: allarme, impatto, soccorso, ripristino, ricostruzione. La distruzione territoriale dovuta alla combinazione terremoto/tsunami sulla costa nordorientale del Giappone non appare in grado di bloccarne il sistema economico, pur devastante  e con impatto su infrastrutture importanti.  Il ripristino delle attività produttive nelle zone circostanti l’area di massimo impatto, pur rallentate dalla inabilitazione di molte infrastrutture, è probabile avvenga entro poche settimane. Ma l’altro tipo di impatto, il rischio percepito di contaminazione nucleare, complica queste stime. Un’enorme massa di persone sta evacuando non solo le aree attorno alle centrali nucleari danneggiate dal sisma, ma Tokyo stessa per sfuggire alla nube con elementi radioattivi. Anche se il rischio reale è minimo, quello percepito non è stato ben contenuto dalla gestione comunicativa e ciò sta provocando un impatto sistemico di difficile valutazione. Ma possiamo iniziare a valutare il costo di ricostruzione che è base per una prima stima di impatto economico globale. Le foto satellitari dell’area colpita ed altri dati di situazione fanno ipotizzare un costo di ricostruzione complessivo attorno ai 500 miliardi di euro in 6 anni. A questi vanno aggiunti almeno 200, a breve, di costi di gestione della fase di soccorso e ripristino, nonché di impatto al riguardo del rischio contaminativo percepito, riducibili della metà se questa emergenza di massa rientra presto. In sintesi, una prima stima fa ipotizzare un costo complessivo a carico del bilancio statale sui 600 – 700 miliardi di euro, attorno al 20% del Pil annuo. Tale cifra non include i costi a carico dei privati – le assicurazioni potrebbero pagare dai 40 ai 70 miliardi di euro – pur immaginando almeno 120 miliardi di contributi a perdere in 6 anni per il riavvio di attività economiche danneggiate, qui computati entro i 500 detti sopra. Da un lato, un programma di ricostruzione così vasto dovrebbe stimolare la crescita interna per almeno un decennio e, sul piano economico, ciò sarebbe una buona notizia per il mercato globale. Ma il bilancio statale nipponico è oberato da un debito pari al 200% del Pil ed ha poco spazio per finanziare in deficit una ricostruzione così costosa senza rischiare la perdita di credibilità del debito stesso, da poco incrinata da un declassamento delle agenzie di rating. Anche considerando una tassa di scopo alimentata dal notevole risparmio residente, non è escludibile il rischio di una caduta di credibilità del debito nipponico che potrebbe contagiare quelli che tendono alla, o superano la, soglia simbolica del 100% del Pil, cioè l’americano e l’italiano, creando uno tsunami finanziario globale di difficile contenimento. In conclusione, il Giappone appare in grado di gestire con proprie risorse le fasi di soccorso e ripristino, per esempio tempestiva la mossa della Banca centrale di rendere disponibili 130 miliardi di euro per dare liquidità al mercato nel momento peggiore dell’emergenza, riassicurando tutto il mondo. Ma non è così certo che Tokyo riuscirà a sostenere i costi di ricostruzione senza destabilizzare il debito e la valuta. Pur remoto e non precisato, tale rischio comunque consiglia di predisporre per tempo un’architettura finanziaria internazionale di sostegno alla ricostruzione in Giappone, materia per un G7 urgente con evidente interesse italiano, vulnerabile per il suo il debito, che tale sistema di aiuto venga montato.  

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