E’ probabile che lo scenario mediterraneo rimanga stabile dopo i golpe militari in Tunisia ed Egitto. Ma a certe condizioni, per lo più geoeconomiche, che è utile esplorare anche perché influenzabili dall’Italia.
Prima va chiarito cosa sia realmente successo. L’inflazione alimentare ha creato iniziali moti di protesta. Questi hanno dato l’opportunità ai militari, scontenti dell’eccessiva rapacità dei clan al potere, di defenestrarli manipolando le folle. Non è chiaro se l’azione sia stata spinta o solo accompagnata da Washington, ma, certamente in Egitto, l’America ne ha preso la regia. La gestione è stata dilettantesca, ma la decisione razionale. Mubarak non avrebbe tenuto il potere. La sua conduzione non dava risposte all’impoverimento di massa. Inoltre il suo clan ha esagerato i comportamenti predatori togliendo profitti al resto dell’oligarchia economica, tra cui i militari stessi. Quindi è stata una strategia realistica quella di cambiare la testa del regime secolare e pro-occidentale in tempo utile per salvarlo ed evitare che l’implosione favorisse una soluzione islamizzante. Ed è anche condivisibile la decisione statunitense di imporre un’agenda politica che, trasformando il sistema da democrazia finta a semidemocrazia, pur sempre autoritaria, dia un contentino e qualche soldo in più alla gente. Questa linea è anche un utile messaggio ad Algeria e Marocco. La prima lo ha capito, l’autocrate Bouteflika ha annunciato che non si ricandiderà, e, ricca di petrolio, ha aumentato i finanziamenti al consenso. Il Marocco, pur senza risorse petrolifere, sta facendo lo stesso. Questa capacità di evoluzione propria non esporrà tali regimi al “contagio”. La Libia non ha colto il messaggio, ma ha tanto petrolio e poca popolazione. C’era preoccupazione sul fatto che l’Arabia saudita potesse spingere i suoi gruppi islamici (sunniti wahabiti) a prendere il potere nelle nazioni arabe secolarizzate. Ma non sta giocando questa partita. Anzi, in convergenza con Israele, ha la priorità di bloccare la minaccia iraniana e dei gruppi sciiti collegati (Hezbollah, Hamas, ecc.) nonché di quelli sunniti-jihadisti figliati da Al Qaida che minacciano in casa la stessa monarchia Saud. In sostanza, aiuterà a mantenere stabile l’area. Per tali motivi è più probabile, in prospettiva, la stabilità che l’instabilità. Ma manca qualcosa. I nuovi regimi militari in Egitto e Tunisia, nonché il Marocco, non hanno risorse petrolifere con cui ridistribuire ricchezza. Vivono di mercato normale con pesi molto forti del turismo sul Pil. Rimane pertanto il rischio che la transizione dall’autoritarismo secco alla semidemocrazia non venga alimentata da sufficiente ricchezza e sua speranza, cosa che bloccherebbe la creazione di una classe media e riempirebbe di consenso i partiti antagonisti, tra cui quelli islamizzanti. L’America continuerà a dare soldi ai militari egiziani e ne darà di più a quelli tunisini, anche perché il cambio di (testa del) regime ha ridotto l’influenza francese sulla nazione, nonché al Marocco. Ma sono spiccioli. I sauditi potranno dare di più, ma sarebbe un dono ambiguo. L’unica opzione seria è quella di dare più opportunità di mercato a queste nazioni. E anche più cibo a basso costo. L’Italia potrà e dovrà avere un ruolo chiave in questa azione di geopolitica economica. In particolare: (a) sostenere gli investimenti di nostre imprese nell’area via assicurazione privilegiata (Sace) del rischio finanziario; (b) far funzionare meglio gli accordi commerciali tra costa Nord e Sud del Mediterraneo; (c) aumentare oltre le quote ora fissate le produzioni alimentari europee in modo da poter esportare cibo a prezzi ragionevoli nelle nazioni arabe nordafricane. Non ha senso, infatti, che qui limitiamo le colture e gli allevamenti e lì la gente non trovi un tozzo di pane. Roma deve prendere l’iniziativa, con l’America, anche se la Ue sarà reticente.