Chi e cosa sta destabilizzando i regimi oligarchici nell’area islamica-mediterranea? Apparentemente è in atto una mobilitazione spontanea di massa contro l’inflazione alimentare, combinata con la richiesta generale di maggiori libertà e giustizia redistributiva. In realtà la tensione creata da condizioni di vita in peggioramento è utilizzata da nuove èlite per sostituirsi a quelle vecchie, in alcuni casi strumentalizzando ed amplificando i moti spontanei, in altri inducendoli.
Alla fine degli anni ’90 i reduci dello Jihad antisovietico in Afghanistan, organizzati a partire dal 1993 da Al Qaeda, progettarono un “Grande Califfato” che avrebbe dovuto unificare tutto l’Islam, facendo cadere come birilli tutti i regimi o troppo nazionali o filo-occidentali. Produssero una variante estrema del credo islamico per reclutare una massa sufficiente di guerrieri, dappertutto, dando loro orgoglio e missione panislamica. Attaccarono l’America, nel 2001, con lo scopo di dissuaderla dall’interferire. Ma Bush reagì sia mostrando la capacità di insediarsi nel loro territorio (Afghanistan e Irak) sia rafforzando i regimi filo-occidentali. La seconda azione fu eseguita amicizzando le Forze armate dei Paesi a rischio e assicurando sostegni e risorse a dittatori, re e simili. Per tale motivo le oligarchie dell’area diventarono più durature e repressive. Fu una conseguenza non intenzionale della missione di contrasto ad Al Qaeda. I regimi furono aiutati senza controllarne la degenerazione, anzi coprendola. Per questo motivo divennero meno capaci di rispondere alle esigenze della popolazione, assunsero configurazioni dinastiche con vistose pratiche di corruzione. Ora tale modello di controllo non funziona più perché suscita più dissensi che consensi. In Tunisia questi hanno dato l’opportunità ai militari di influenzare un cambio di testa nel regime senza modificarlo, ma adeguandolo al consenso. E’ difficile dire se ciò sia sostenuto da una nuova strategia americana o sia un gioco autoctono di sostituzione delle élite. Ma certamente la nuova priorità occidentale è quello di avere regimi sia amici sia capaci di governare bene ed ottenere consenso. Anche perché la strategia di Al Qaeda, pur ancora residualmente pericolosa, è fallita ed ora la priorità è stabilizzare i sistemi via capitalismo di massa richiesto dalle popolazioni. Pertanto è interesse occidentale che le nazioni dell’area passino da regimi autoritari repressivi a semidemocrazie efficaci sul piano della creazione e redistribuzione della ricchezza. Algeria e Marocco sono su questa strada, la coesione tra politici e militari piuttosto forte. La Tunisia andrà meglio con la nuova gestione. Lo Yemen dovrà restare controllato in maniera “dura” perché è luogo di scontro tra Al Qaeda residua, iraniani, sauditi, americani, ecc. Giordania ed Arabia saudita lo stesso, per motivi simili. Resta la grande incognita dell’Egitto. Il regime corrente è ormai incapace, ma se sostenuto dalle Forze armate potrebbe ancora durare. Decisione difficile perché, da un lato, non c’è un gruppo politico forte di sostituzione, ma, dall’altro, proprio in Egitto, culturalmente evoluto e politicamente complesso, c’è il rischio che si mescolino protesta sociale e islamismo radicale se la prima non trova risposte efficaci. La decisione dei generali egiziani, probabilmente presa in consultazione con l’America, sarà cruciale per tutta l’area. Tuttavia, il teatro islamico-mediterraneo è sempre più frequentato da altri poteri emergenti. La Cina ha conquistato buona parte dell’Africa, eliminando l’influenza residua francese e di altri, per assicurarsi il rifornimento a basso costo di materie prime. La Turchia ha creato un’area di mercato che include Iran e Siria. Pechino ed Ankara, ma anche la Russia, puntano ad estendere la loro influenza nel Mediterraneo ed hanno interesse a sostenere le élite che lo facilitino. Nessuno è interessato ad una destabilizzazione totale, ma la complessità della partita potrebbe indurla.