La Cina fa intendere di voler continuare a comprare titoli di debito delle euronazioni più inguaiate. Tale intenzione è stata ribadita recentemente da Li Keqiang, influente Vicepremier cinese, durante la sua visita in Spagna. Molti commentatori, sulla stampa europea ed italiana, hanno valutato positivamente la prospettiva di un ingaggio cinese sia nel sostegno dell’eurodebito sia nell’acquisizione di industrie ed infrastrutture europee, usando una logica di analisi economica normale per cui, semplificando, chi ci mette dei soldi è più che benvenuto. Ma la Cina non è un attore normale nel mercato internazionale. E’ un regime autoritario che sta attuando una strategia di dominio globale di tipo “asiatico”, cioè con metodi indiretti e nel lungo termine, i cui atti vanno valutati con gli strumenti analitici della “geopolitica economica”.
Nei think tank occidentali, da tempo, è luogo comune spiegare con quattro motivi l’interesse cinese a dimostrare volontà di aiuto alle euronazioni più deboli: (a) sostegno dell’euro affinché la sua svalutazione, dovuta al rischio di insolvenza dei debiti, non riduca l’export cinese; (b) ottenere da singole nazioni, come già avvenuto in Grecia, in fase di negoziato in Spagna e, solo in avvio, Italia, ecc., il permesso ad aziende cinesi di comprare sia industrie cariche di tecnologia sia porti e sistemi logistici; (c) formare un club di amici della Cina che impedisca in sede Ue di prendere misure protezionistiche nei confronti della concorrenza sleale e penetrazione economica cinese; (d) e che rimuova il blocco, imposto dall’America all’Europa, di esportazione di tecnologia militare. A questi motivi se ne possono aggiungere altri due di fondo: (e) una nazione massimamente dipendente dall’export per la sua crescita ha l’interesse, e talvolta la necessità, di finanziare l’importatore comprandone il debito; lo fece il Giappone dagli anni ’70 in poi, ora tocca alla Cina; (d) tutti i competitori dell’America hanno l’interesse a separarla dall’Europa per depotenziarla e la Cina lo sta facendo offrendo doni. In particolare alla Germania che è il potere europeo maggiore: contratti di favore per le sue industrie - cosa che, per inciso, spiega la metà della miracolosa produttività e crescita tedesca - in cambio di convergenza politica. Ma Pechino ha ottimi pensatoi e servizi segreti e sa che, alla fine, Berlino mai si staccherà da Washington e che, se proprio dovesse farlo in caso di implosione dell’impero americano, punterebbe all’alleanza con Mosca per bloccare il dominio cinese della Siberia (in atto) e per formare una superpotenza euroasiatica in competizione con la Cina per il controllo geoeconomico dell’Asia centrale e del “quadrante turco-iraniano”. Pertanto la Cina, oltre che amicizia privilegiata, deve dimostrare alla Germania una capacità di ricatto accordandosi direttamente con altre euronazioni, dando qualche spicciolo a quelle più in bisogno. Inoltre, appunto, ha bisogno di porti e simili sia per ridurre i costi logistici del suo export in Europa sia per non farselo limitare e li cerca in Grecia, Spagna, Italia (e San Marino), alcuni già presi. Poi ha la priorità di prendere know how tecnologico sia militare sia civile perché su questo punto è più debole. Per decenni ha rubato segreti industriali, spaziali e nucleari all’America, ma questa ora li sta difendendo meglio. Ed ha istituito un’agenzia per la valutazione degli investimenti stranieri che sta bloccando molte acquisizioni cinesi di valore strategico. Infatti, riservatamente, Pechino sta chiedendo ad alcune euronazioni di bocciare la proposta, sacrosanta, del Commissario Antonio Tajani di istituire analoga agenzia presso la Ue. Questa è la chiave realistica per leggere la strategia cinese verso l’Europa che l’opinione pubblica italiana, finora troppo influenzata – mi è parso - da agenti di Pechino o comunque disinformata, deve valutare. I soldi cinesi ci fanno gola, ma non al punto di farcela tagliare.