Nei think tank occidentali si discute su due soluzioni della questione cinese. Realismo pragmatico: includere di più Pechino nella governace globale per responsabilizzarla. Realismo strategico: tenerla esclusa per condizionarla. In comune le due strategie hanno la priorità di evitare che un’implosione della Cina per disordine interno faccia esplodere il mercato globale. La strategia inclusiva è sostenuta da quattro argomenti: la Cina non è condizionabile con mezzi negativi perché è più grande di qualsiasi forza oggi esistente; se venisse esclusa da qualche area di mercato o istituzione mondiale avrebbe la scala per costituire la propria area economica di influenza ed istituzioni alternative, come per altro ha già dimostrato; se la pressione esterna mettesse a rischio la dittatura repressiva del Partito comunista, il sistema si frammenterebbe per le forti spinte regionaliste che lo caratterizzano; qualsiasi pressione condizionante favorirebbe l’ascesa al potere dei militari contro i politici. Da tali considerazioni deriva l’opzione di favorire la piena inclusione di Pechino e dello yuan nel Fmi ed il suo accesso al reticolo di trattati di libero scambio tra democrazie, TTIP nell’Atlantico e TPP nel Pacifico in particolare, dal quale è esclusa. La scommessa è che una Cina non esclusa sia invogliata a fare la brava. I sostenitori della strategia condizionante ritengono che la Cina non vorrà né potrà fare la brava per l’indisponibilità del Partito comunista a creare un sistema di governance più moderno che implica la dissoluzione del regime. Inoltre, l’assenza di democrazia comporta metodi violenti di sostituzione periodica delle élite, generatori di conflitti interni destabilizzanti. Pertanto tra la Cina a rischio di instabilità politica oltre che economica ed il mercato globale va alzato un argine. E se è vero che la pressione democratizzante potrebbe essere controproducente, bisogna comunque costringere il regime a darsi più ordine non più solo contenendolo, ma condizionandolo. Come? Costruendo un mercato integrato delle democrazie – il reticolo in evoluzione, appunto - più grande dell’area cinese e grazie a questa scala rinegoziare gli accessi della Cina, così condizionandola. Rischioso? Il realismo pragmatico sposta il rischio più avanti nel tempo, aumentandolo. Il realismo strategico prende un rischio subito per minimizzarlo nel futuro. Io sostengo il realismo strategico, ma il punto è che qualsiasi soluzione della questione cinese implica un rischio. La scelta è tra prenderne ora uno gestibile o uno differito probabilmente non più gestibile.