Le buone cose che ci sono e si fanno in Italia vengono danneggiate dalla cattiva immagine della nazione nel mercato internazionale e dal suo peggioramento. I commenti sul declassamento, deciso venerdì scorso da un’agenzia di rating canadese che era l’ultima, tra quelle rilevanti, a dare il voto “A” all’affidabilità finanziaria dell’Italia, mentre le altre hanno già assegnato un “B”, si sono concentrati sulla stima di quanto ciò avrà impatto in Borsa e sulle operazioni di finanziamento delle banche presso la Bce garantite da un pegno in titoli di Stato il cui rischio è peggiorato. Probabilmente l’impatto non sarà catastrofico pur portando costi aggiuntivi. Ma non è questo il punto. Lo è, invece, la priorità di interrompere il lento, ma continuo, scivolamento dell’immagine dell’Italia percepita a rischio crescente di futura implosione. Questo rende sempre più guardinghi gli investitori esteri nel portare capitale sull’economia italiana e alza il costo sia del rifinanziamento del debito, togliendo risorse alla spesa pubblica, sia di qualsiasi operazione finanziaria privata. Due interrogativi. La valutazione negativa delle agenzie di rating (voto di affidabilità) e delle correlate analisi fatte da Fondo monetario, Ocse, Commissione europea, ecc., è vera o falsa? Come migliorare l’immagine? La sintesi delle analisi valutative sull’Italia fotografa un sistema in declino perché da decenni cresce meno della media europea e aumenta il suo debito invece di ridurlo. Dove la previsione peggiorativa è alimentata dalla constatazione che la politica italiana non riesce a modernizzare il modello economico, a creare le condizioni per l’incremento della produttività, per la ripresa dell’occupazione e per contenere l’impoverimento del meridione. Purtroppo è vero, aggiungendo che la forza industriale residua e la grande propensione al risparmio delle famiglie italiane riesce a rallentare il declino, fatto riconosciuto dai valutatori, ma non a invertirlo. In tale situazione dovremmo tutti prendere il toro per le corna, invece che tentare di schivarlo rassegnandoci a un destino di declino lento, e mettere in priorità nel dibattito nazionale ciò che serve per più crescita economica. Da un lato, il declino non ha ancora compromesso la possibilità di un rilancio. Dall’altro, la politica non appare averlo messo in priorità, quasi nascondendone l’urgenza per evitare le scelte difficili sul piano del consenso che servirebbero. Così non va: ogni giorno le teste italiane creano buone sorprese economiche, ma la testa del sistema guarda altrove e le annulla.