La tendenza rialzista del dollaro appare consolidata. Il mercato globale sta scontando la decisione della Federal Reserve di alzare il costo del denaro verso metà dicembre e orienta i flussi di capitale verso il dollaro stesso alla ricerca di rendimenti finanziari più elevati. Tale movimento è amplificato dalla previsione che le Borse statunitensi continueranno a crescere nel 2017, basata sull’idea di forti stimoli fiscali adottati dalla prossima Amministrazione Trump, mentre fino a poche settimane prevaleva la sensazione di una loro contrazione perché i valori delle azioni erano (e sono) troppo superiori agli utili reali. Nello scenario borsistico, in realtà, tale tendenza non è ancora stabilizzata perché resta una certa probabilità di un ribasso allo scopo di creare uno spazio di nuova crescita nel 2017. Le tendenze di fine novembre, infatti, non sono indicative perché i gestori finanziari chiudono i conti in questo periodo e ovviamente sono inclini a favorire un picco di rialzo o a evitare l’avvio di una contrazione. Ma sembra stabilizzata la rivalutazione del dollaro sull’euro se la Bce confermerà la continuazione della politica monetaria superespansiva dopo il marzo 2017, cioè costo del denaro di fatto a zero e acquisto di titoli di debito, questo un modo per stampare moneta. Parecchi analisti prevedono la parità tra dollaro ed euro nella seconda metà del prossimo anno, a partire dal rapporto corrente di 1,06 dollari per 1 euro, ricordando che questo fino a poco fa era di circa 1,12. Equivale a una svalutazione competitiva importante dell’euro. Questa è una buona notizia per l’Italia che esporta e che attende da troppo tempo che il mercato internazionale riconosca che lo sconto sui valori di Borsa italiana, che ha perso circa il 25% nell’ultimo anno per il deprezzamento dei titoli bancari, valga il rischio di riportare flussi di investimenti verso l’Italia stessa. Tale rischio è percepito come rilevante: possibile instabilità politica, semicrisi bancaria, alto debito e bassa crescita. Ma chi opera in dollari avrebbe un premio di rischio ancora maggiore per la svalutazione dell’euro appena l’Italia riuscisse a dare un segnale di stabilità. Ci sarebbe uno svantaggio sull’aumento del prezzo del petrolio combinato con quello di rivalutazione del dollaro in cui l’energia fossile è prezzata? In realtà un dollaro più alto tende a calmierare i prezzi petroliferi e viceversa. In conclusione, si può iniziare a ipotizzare, pur con cautela, che la dinamica del dollaro potrebbe alzare le stime correnti di crescita del Pil italiano.