Molti chiedono cosa indichi il termine “Industria 4.0” che sempre di più appare nei giornali come novità in arrivo. Il nome nasce in Germania nel 2010 e indica una rivoluzione nei processi e nei prodotti dell’industria manifatturiera resa possibile dalle nuove tecnologie dell’informazione. Semplificando, la quarta rivoluzione industriale permetterà di costruire sistemi e componenti in modo più rapido e, soprattutto, con varianti personalizzate in modi impensabili nell’era precedente, cioè oggi. Per esempio, un cliente chiede a un fornitore di variare il prodotto in un giorno. Ciò è oggi possibile, per dire, in tre mesi. Domani lo sarà in poche ore. Come? Robotizzazione totale, processi iperflessibili; connessione istantanea tra tutti i fattori rilevanti e dialogo diretto tra macchine. Tale tecnorivoluzione è il motivo principale per cui già dai primi anni del 2000 molte industrie residenti in nazioni con alti costi sindacali, per lo più in America, hanno riportato i loro impianti in patria, chiudendoli nelle aree in via di sviluppo con costo del lavoro più basso: la possibilità di produrre in un sistema territoriale evoluto e così godere della superefficienza tecnologica rende meno rilevante l’incidenza del costo del lavoro. Tale fenomeno è chiamato “reshoring” e da qualche anno è visibile anche in Europa, particolarmente in Germania. Ciò impone all’industria italiana, di cui una gran parte fornisce componenti a quella tedesca, di adattarsi velocemente ai nuovi standard 4.0. E i produttori italiani di sistemi dovranno fare lo stesso per restare competitivi. Cosa manca? Una rete con la capacità di trasmissione istantanea di quantità enormi di dati. Fortunatamente è in costruzione (nuova rete con banda ultralarga in fibra ottica). Ma manca il capitale d’investimento per facilitare la trasformazione delle imprese, in particolare le più piccole, 3.0 o ancora 2.0 in aziende 4.0. Alcuni fondi privati si stanno muovendo, ma sarà necessaria una facilitazione normativa di cui il governo, pare, è consapevole. Le competenze, invece, per la robotizzazione e il disegno dei nuovi processi e prodotti ci sono e sono massime. Ma tali buone notizie sono ombreggiate dal timore diffuso che l’industria 4.0 toglierà lavoro a molti. Questa è solo paura del nuovo. Da un lato, i lavoratori dovranno essere meglio formati e ciò implica uno sforzo di qualificazione. Dall’altro, la nuova industria avrà bisogno di più addetti qualificati. Pertanto la novità va vista come opportunità di più lavoro e meglio remunerato e per questo sostenuta.