Analisti e attori economici si chiedono se sia in atto solo un riaggiustamento del mercato globale oppure se il mercato stesso stia entrando in una crisi duratura. Perché si stanno facendo una domanda così inquietante? Le Borse sono salite, nel mondo, spinte dalla massa di capitale resa disponibile dalle Banche centrali dal 2009 in poi, ma la crescita dell’economia reale non è stata altrettanto robusta e quindi sta aumentando la distanza tra valori nominali e reali dei corsi azionari che implica un riallineamento dei primi verso i secondi. Circa il 20% in meno, calcolano alcuni. Fino a qui sarebbe un riaggiustamento temporaneo che prepara un nuovo periodo rialzista. Ma se l’economia reale non crescerà in modo più solido, non riuscirà a reggere la nuova espansione dei valori quotati e le Borse stagneranno o peggio. Interverranno nuovamente le Banche centrali con iniezioni di liquidità? In caso, lo faranno, ma è uno strumento ormai spuntato perché c’è già tanta liquidità in circolazione che annaffia troppo le operazioni finanziarie e troppo poco l’economia reale. E il non aver trovato un modo per trasmettere meglio, in America e in Europa, lo stimolo monetario all’economia reale sta convincendo il mercato che la ripresa globale guidata dal traino finanziario nelle “aree locomotiva” del pianeta non è riuscita a consolidarsi né lo farà. Si aggiunga che la (co)locomotiva cinese è deragliata per disordine proprio gettando in crisi gli esportatori di materie prime, per esempio Sudafrica, Brasile, Russia, Venezuela, ecc. in recessione pesante e in alcuni casi destabilizzante. Infatti, la Banca mondiale ha rivisto al ribasso la crescita globale 2016 portandola dal 4,3% al 3,9%. Niente di tragico, ma certamente situazione dove il rischio di peggioramenti tende a essere più elevato della probabilità di miglioramenti. Pesa, poi, il rischio di nuova crisi finanziaria a seguito della strategia saudita di creare un eccesso di offerta sulla domanda di petrolio per abbassarne il prezzo al punto di buttare fuori mercato le produzioni concorrenti a più alti costi di estrazione. L’Iran, da sabato non più limitato da sanzioni, esporterà ancora più petrolio e ciò amplificherà la tendenza ribassista con due effetti devastanti. Prima, distruzione degli investimenti finanziari nel settore con effetto catena. Dopo, verso il 2017, rialzo dei prezzi a picco per la scarsità così ottenuta. Da un lato, il tutto può essere ancora gestito, attutito e riequilibrato. Dall’altro, non si vede l’aggiustatore e per questo, in particolare, il mercato tende a scontare il peggio.