Il governo ha calibrato la propria politica economica 2016-18 in base ad ipotesi di condizioni internazionali e monetarie più stabili di quelle che in realtà ci saranno. Ciò implica il rischio o di non cogliere l’opportunità di condizioni più favorevoli del previsto o di trovarsi impreparati di fronte a situazioni avverse. La Bce ha una strategia di contrasto della deflazione attraverso la svalutazione dell’euro per aumentare il prezzo delle importazioni e così far risalire velocemente l’inflazione verso l’obiettivo del 2%. L’urgenza dipende dal fatto che l’inflazione troppo bassa azzera i rendimenti finanziari collegati ai tassi, destabilizzando i fondi pensione, in particolare tedeschi, e il sistema bancario. La Fed, che finora ha frenato la svalutazione dell’euro rinviando il rialzo del costo del denaro in dollari, ora dovrà farlo un po’ perché riparte l’inflazione in America e molto per un motivo poco commentato. Da un anno la Cina non compra più debito americano. Pertanto l’Eurozona deve sostituirla per bilanciare con flussi finanziari il deficit commerciale statunitense, cioè finanziare la capacità del mercato americano di importare. Si intravede uno scambio. La Fed accetta una forte rivalutazione del dollaro sull’euro per ottenere flussi di capitale dall’euro stesso. In cambio offre l’opportunità di rendere più competitivo l’export in euro nell’area del dollaro, temporaneamente. Per inciso, la divergenza apparente tra Fed e Bce, se così, sta rivelandosi una collaborazione strategica. Se l’euro arrivasse alla parità di cambio con il dollaro, o sotto, nel 2016 vi sarebbe un boom superiore al previsto dell’export italiano (e tedesco) che proietterebbe il Pil italiano oltre il 3% contro l’1,5% ora previsto. Ma tale scenario potrebbe saltare per tre motivi: insolvenze di Stati e gruppi internazionali indebitati in un dollaro in rialzo; caduta ulteriore dei prezzi delle materie prime con impatto grave sulla domanda globale; svalutazioni a catena, a partire dalla moneta cinese, che destabilizzerebbero il mercato internazionale. Se ciò non avvenisse, speriamo, l’inflazione salirebbe velocemente nell’Eurozona inducendo la Bce a terminare il programma di allentamento monetario e costringendo nel 2017, prima se previsto dal mercato, l’Italia a fare i conti con un, ora, imprevisto aumento del costo del debito e una minore competitività valutaria. La giusta politica sia per cogliere l’opportunità sia per parare il rischio è di stimolare di più il mercato interno e di tagliare molta più spesa per consolidare il bilancio, cosa che ancora non si vede.