Il progetto di bilancio 2016 sarà esaminato dalla Commissione europea e dal gruppo dei ministri economici e finanziari della Ue (ECOFIN) per poi essere proposto, eventualmente con correzioni e varianti, all’approvazione del Parlamento italiano alla fine del di novembre. In ambiente Ue tutti i progetti di bilancio statale devono ricevere una sorta di bollino blu che ne certifichi il rispetto dei trattati europei. Quello italiano ha un’impostazione di stimolazione della crescita, ma con un eccessivo ricorso al deficit e nessun piano per una sufficiente riduzione prospettica del debito. In particolare, la stimolazione via detassazione è poca perché non mirata sui veri motori economici e non rende credibile un forte impulso alla ripresa. In relazione al recente passato della politica economica italiana è un miglioramento, ma in riferimento ai criteri di bilancio è evidente che la crescita così stimolata non produrrà un rialzo del Pil tale da attutire l’impatto del deficit non decrescente, lasciando nel 2017-18 l’Italia lontana dall’impegno sia al pareggio di bilancio sia alla riduzione del debito (oggi circa il 131% del Pil con un costo annuo per interessi di 70-80 miliardi). Lo squilibrio sarà fatto notare dalla Commissione. Probabilmente raccomanderà di tagliare spesa in modo strutturale almeno per 10-12 miliardi, per ridurre il disavanzo, al posto dei 4 “veri” dimostrabili. Il nostro governo non vorrà né potrà farlo. Quindi, come successo dal 2011 in poi, confermerà clausole condizionali di rialzo delle tasse nel triennio 2016-2018 e ne attiverà di nuove nel caso fosse necessario per garantire la stabilità secondo i parametri europei. Sposterà, cioè, nel futuro la garanzia di equilibrio che avrebbe dovuto dimostrare nel presente. Quanto? Nel 2016 lo Stato incasserà parecchi miliardi in più dal gettito fiscale perché mai ha ridotto le tasse, ma solo spostate, e ciò potrebbe ridurre il problema. Ma non al punto da rendere credibile l’azione stimolativa più importante promessa:ridurre sostanzialmente nel 2018 le tasse sulle imprese. Da un lato, il premier confida in un negoziato politico che conceda all’Italia più spazio per il deficit. Dall’altro, fino a che la spesa pubblica non sarà tagliata sul serio e non vi sarà un’azione credibile di riduzione del debito, tale spazio sarà concesso per un anno, ma poi negato quello dopo. E quello che ci concederà l’Ue sarà annotato come inaffidabilità crescente del debito italiano da parte del mercato finanziario globale. Non si scappa, il governo deve tagliare più spesa pubblica per rendere credibili le promesse.