Perché nelle democrazie il tema dell’investimento in conoscenza viene spinto dalle Banche centrali, come in Italia fa meritoriamente Ignazio Visco, e dai think tank finanziari ed ignorato dalla politica? Nel 2003 Alan Greenspan predisse: senza investimenti sull’istruzione non sarà possibile creare un’economia trainata dalla conoscenza e quindi una crescita senza inflazione grazie all’incremento della produttività. Robert Reich, ministro del lavoro (1992-96) nell’Amministrazione Clinton cercò una sorta di terza via tra il modello statunitense delle garanzie indirette e quello europeo delle garanzie dirette, inserendo l’educazione (continua) come nuova garanzia. Clinton lo licenziò. In quegli anni iniziai a studiare un welfare di investimento che trovasse convergenti destre e sinistre centriste e potesse diventare un modello unico per America ed Europa: meno tasse e loro impiego prevalente non per spese di apparato, ma per finanziare un vero potere cognitivo di massa. Chiamai tale nuovo welfare “terza fase della rivoluzione democratica” intesa come trasferimento di facoltà dai pochi ai molti: prima, del potere politico (democrazia); seconda, della ricchezza (capitalismo di massa); terza, della conoscenza. Scenarizzai che senza la terza fase le prime due non si sarebbero stabilizzate, facendo implodere il sistema, non più spinto dalla demografia, per una restrizione nella trasformazione del capitale umano in finanziario e viceversa. Lo scrissi ne Il fantasma della povertà (Mondadori, 1995),¸Lo Stato della crescita (Sperling, 2000); Futurizzazione (Sperling, 2003); Il nuovo progresso (Angeli, 2012), ecc. Nei think tank il tema ha fatto presa, ma i referenti politici sia in America sia in Europa hanno sempre reagito con terrore all’idea di smontare gli apparati statali per riallocare più risorse fiscali a favore della qualificazione cognitiva di massa. Il punto: l’istruzione che servirebbe per una vera economia trainata dalla conoscenza implica costi di investimento molto maggiori di quelli attuali che interferiscono con altre allocazioni di spesa. Va aggiunto che la sinistra non ama l’idea di un welfare con la missione di trasformare i deboli in forti perché la sua offerta è calibrata sulla persistenza dei primi e che la destra liberista americana teme standard che violino la libertà dell’individuo anche di essere ignorante. L’interferenza fiscale e il passaggio da una missione assistenziale ad una di investimento del welfare tolgono consenso politico ad un’innovazione senza la quale la base del capitale si ridurrà. Per questo bisogna insistere.