La ripresa c’è, ma gli effetti della recessione non si sono ancora esauriti. Nel 2015 vi sarà un picco di piccole imprese in crisi che finora erano riuscite a resistere, ma che ora non ce fanno più. Si osserva, infatti, un numero crescente di domande di concordato e di altre procedure pre-fallimentari nonché un aumento parossistico delle richieste di interventi di ristrutturazione. Una situazione del genere non sarebbe di per sé un problema sistemico se le parti sane del mercato assorbissero quelle in crisi e se le leggi permettessero una gestione efficiente delle situazioni di stress evitando che cadano in fallimenti. Tale soluzione di mercato è visibile, ma non in numeri sufficienti perché le norme disincentivano l’ingrandimento delle imprese e non ci sono acquisitori settoriali con scala adeguata. Pertanto la soluzione giusta è quella di tentare di far vivere e rilanciare tali aziende in pre-crisi. Queste mostrano, per lo più, una precedente buona posizione nel mercato. Sono andate in crisi o per credito insufficiente o perché la proprietà famigliare non è riuscita a reagire adeguatamente, cioè via manager qualificati, alle nuove situazioni o per incidenti che le hanno destabilizzate a causa della sottocapitalizzazione. Molte potrebbero essere salvate da: (a) un accesso sufficiente al credito; (b) interventi di ri-patrimonializzazione; (c) compratori/investitori e conseguente ri-managerializzazione. Poiché in tensione, queste aziende non hanno sufficiente merito di credito e le banche non possono darglielo in base alle nuove regole prudenziali. Ma le banche lo potrebbero fare se un fondo pubblico garantisse almeno al 70% il credito stesso. Tale funzione esiste, per esempio i confidi, ma è del tutto sottodimensionata in relazione al fabbisogno. La ri-patrimonializzazione potrebbe essere facilitata attraverso sia un fondo temporaneo pubblico sia una defiscalizzazione incentivante. Ma tali funzioni non esistono. Se il diritto fallimentare, poi, permettesse di gestire l’azienda in amministrazione controllata senza costringerla al concordato per proteggerla dai creditori, come il “Chapter 11” in America, tante imprese avrebbero tempo per riprendersi ed i creditori prenderebbero più soldi. Il punto: tante aziende potrebbero essere risanate con un fondo statale di garanzia (non di spesa) tra i 30 e 40 miliardi e da un modernizzazione del diritto fallimentare. Ma non c’è segno che il governo, pur rapido nell’aiutare grandi gruppi, voglia salvare i piccoli. Dovrebbe accorgersi che il tema riguarda almeno mezzo milione di posti di lavoro.