L’Italia è l’unica nazione rimasta in crisi nel mondo, cioè con ripresa minima, lenta ed incerta. La crisi globale del 2008 può dirsi finita: l’America quasi in boom, la Germania solida, il Giappone reattivo, anche troppo, alla crisi di deflazione, la Cina in crescita, pur meno del passato, altri Bric come Brasile, Russia e India meno emergenti, ma comunque crescenti. L’Africa australe finalmente in sviluppo. Nell’Eurozona le sofferenti fino a poco fa Spagna, Grecia e Irlanda stanno guarendo e ciò rende l’Italia l’unico malata d’Europa. Ciò è sorprendente oltre che preoccupante perché l’Italia, nonostante due anni di recessione gravissima, resta tra le prime potenze industriali del pianeta ed ha una popolazione con un tasso di risparmio e patrimonializzazione (la proprietà della casa) tra i più alti al mondo nonché un indebitamento privato tra i più bassi. Dove è il problema, allora? Dai primi anni ’90 l’Italia ha una crescita che tende ad essere la metà della media europea ed un quarto di quella americana e la produttività (il valore di un’ora di lavoro) è stagnante. Tali dati indicano che la creazione della ricchezza è soffocata strutturalmente dal modello politico-economico nonostante il buon potenziale industriale. I dati dal 2008 ad oggi mostrano che l’Italia ha reagito alla crisi aumentando il debito senza cambiare modello e incrementando la pressione fiscale per ripagare gli interessi sul debito stesso. Ovviamente un modello politico-economico inefficiente (compressione del mercato) con debito (oggi attorno al 130% del Pil) e tasse crescenti (pressione fiscale al 44%) entro una gabbia europea che non permette né inflazione né svalutazione competitiva non può e non potrà fare crescita sufficiente. Come mai la Spagna, con minore scala industriale, sta uscendo dalla crisi? Perché ha riformato il modello liberando più ricchezza e soluzioni dal mercato. Il dato: una euronazione con molto meno industria e risparmio privato dell’Italia riesce ad uscire dai guai perché la sua politica ha fatto riforme dolorose, ma nella giusta direzione, come l’Irlanda: tagli alla spesa pubblica per ridurre debito e tasse nonché forte deburocratizzazione. In sintesi, la gabbia dell’euro impedisce reflazioni d’emergenza indolori, ma se un sistema politico ha la capacità di fare cose dolorose poi l’economia riparte. Se no declina e cade nella deindustrializzazione. La Germania ha fatto mezza riforma dolorosa ai primi del 2000 e va, pur dovendo fare l’altra metà. La Francia senza volontà riformatrice raggiungerà presto l’Italia in camera di rianimazione. I dati parlano chiaro, quando lo farà la politica?