Letta profetizza uno splendido 2014. In questo fine 2013, dove l’economia italiana ha perso il 2% del Pil, potremmo essere ottimisti per il futuro: ci sono, infatti, segnali di inversione pur lenta dalla recessione alla ripresa. Ma quanta nel 2014? Il governo la stima vicina all’1% del Pil, confidando sull’effetto di circa 15 miliardi che le amministrazioni pubbliche stanno pagando alle imprese fornitrici e creditrici. L’Ocse, più realisticamente, calcola uno 0,6% mente la Commissione europea uno 0,7%. Su questi numeri si è accesa una polemica tra governo e le istituzioni citate, il primo ovviamente interessato a gonfiare le previsioni per non tagliare troppa spesa o alzare troppe tasse, nel vincolo europeo al pareggio del bilancio, cosa che renderebbe ancora più difficile gestire politicamente il già caotico iter parlamentare della Finanziaria 2014. Quale stima è più credibile? La maggior o minor crescita dipenderà da un mix di fattori tecnici e psicologici: (a) dalla domanda globale che traina l’export in combinazione con la competitività dell’euro; (b) dalla fiducia sul debito italiano che ne determina i costi di rifinanziamento in base al rischio di insolvenza; (c) dalla riduzione della spesa pubblica e delle tasse per lasciare più capitale a cittadini ed imprese; (d) dall’ottimismo nel mercato interno che determina il trasferimento dei capitali dal risparmio ai consumi ed investimenti. La domanda globale non è spettacolare, ma ha un buon tiraggio per l’export. Questo governo sta studiando un taglio di spesa e tasse di 32 miliardi in due anni, ma non è ancora credibile che lo riesca ad avviare vista una maggioranza dove prevale la sinistra che rifiuta per ideologia tale taglio. Se non ci riuscirà, allora il mercato pretenderà un premio di rischio maggiore - generando più costi in bilancio - per comprare debito italiano in quanto la poca crescita riduce la probabilità di poterlo ripagare. A queste condizioni tecniche, se l’euro resterà de-competitivo, il meglio in cui potremo sperare sarà uno 0,2% di crescita, con però il rischio di restare in recessione attorno al - 0,5% del Pil, numeri insufficienti per accendere il volano psicologico dell’ottimismo. Per confermare la crescita, quindi, saranno necessari una determinazione forte del governo per tagliare spesa e tasse ed una politica monetaria della Bce che comporti un cambio dell’euro più basso. La Bce lo farà, ma meno di quanto necessario. Quindi sarà il comportamento della politica il fattore principale che amplificherà o invertirà la ripresa. Quale sarà è cosa ancora incerta.