Da tempo il potere emergente della Cina pone un dilemma al pensiero strategico occidentale: nemico o partner? Le nazioni occidentali hanno preso una posizione di “sia possibile nemico sia partner”, interpretata con diverse gradazioni: più vicina alla nemicizzizazione, e conseguente azione di contenimento, quella statunitense e nipponica, meno quella degli europei. Nel 1978 Deng Xiaoping avviò una sequenza di riforme con l’obiettivo di creare un’economia di mercato come strumento di potenza che avrebbe permesso alla Cina di dominare in 4 o 5 decenni l’Asia e da tale posizione il resto del mondo. L’arretratezza – e l’aiuto dell’America in cambio del divorzio con l’Urss - fece scegliere a Pechino un modello export-led e di attrazione di investimenti esteri che ne collocarono il mercato al centro di quello globale. Tale strategia di lungo termine, poco variata dai leader successivi, sta avendo successo: la Cina è ormai così centrale nel mondo che il darle problemi li trasferirebbe, amplificati, al mercato globale. Ciò spiega lo stallo strategico dell’Occidente: la Cina è un partner inevitabile anche se possibile nemico. Ma apre un problema finora poco discusso: al centro del mondo c’è una non-democrazia dove la sostituzione periodica delle èlite è regolata dalla violenza e non dal voto. Se nel 2022 la successione a Xi Jinping accendesse un conflitto destabilizzante, la tempesta globale conseguente porterebbe il mondo in depressione prolungata. Più che l’aggressività cinese, il mercato finanziario deve temere la possibile implosione della Cina e iniziare la misura di tale rischio. Da un lato, Pechino vuole mostrare che le procedure di sostituzione sono e resteranno ordinate. Dall’altro, c’è evidenza di scontri violenti tra fazioni in ogni evento di successione. Inoltre, nei prossimi anni Pechino dovrà cambiare modello economico e gestire, probabilmente, una decrescita. La combinazione tra instabilità politica e condizioni di possibile impoverimento impongono di alzare il rischio prospettico e di pensare a misure di salvaguardia, in particolare: (a) convergenza euro-dollaro per creare un prestatore di ultima istanza di scala sufficiente per gestire l’impatto globale di un’eventuale implosione cinese; (b) blocco della convertibilità dello yuan; (c) strategia occidentale di condizionamento della Cina affinché renda più affidabile il suo sistema politico interno. Per salvare la Cina da se stessa ed il mondo da una sua eventuale destabilizzazione, l’Occidente dovrebbe ricompattarsi su una strategia capace di condizionarla più che di contenerla.