Le euronazioni hanno mantenuto la sovranità sul debito, ma la hanno ceduta sui mezzi per ripagarlo, moneta e bilancio, senza compensazioni delle facoltà perdute. Questo difetto di architettura è aggravato da uno statuto della Bce che le impedisce sia di stimolare la crescita sia di essere garante di ultima istanza degli eurodebiti. Così il rischio di insolvenza resta differenziato nazionalmente pur nell’ambito di una moneta unica, cosa che rende la moneta stessa non-unica, un aborto. Il punto: l’architettura dell’Eurozona non permette alle nazioni di ripagare il loro debito via crescita. Nemmeno alla Germania: il fatto che abbia azzerato il deficit annuo, e che conti di ridurre il debito via inflazione non cumulandone altro non implica necessariamente che riuscirà a ripagarlo via crescita sufficiente. In sintesi, l’Eurozona è un’area a crescita compressa e ad alto debito con rischio crescente di insolvenza. Il mercato non sta scontando questo rischio perché remoto e, al momento, minore di quello in altre regioni del globo. Ma tale rischio latente ha un orizzonte di attualizzazione entro un decennio e quindi potrebbe impattare in qualsiasi momento, dissolvendo l’euro. La Bce ci sta mettendo una pezza temporanea con una reflazione d’emergenza ed operando di fatto come garante degli eurodebiti. Ma quando tale operazione straordinaria terminerà, il problema riesploderà nuovamente. Come risolverlo? Conferire i debiti nazionali ad un agente europeo e trasformare la Bce in loro garante di ultima istanza implica revisioni dei trattati ed un passo confederale su cui non c’è consenso. Stimolare fiscalmente più crescita nelle euronazioni allegerendone il welfare sarà azione politica difficile e troppo lunga. Finis Europae? Ci sono due opzioni salvifiche. Prima, impiegare il patrimonio pubblico di una nazione per ridurne il debito via finanziarizzazione del primo (cartolarizzazione) assistita dalla Bce. Per esempio, in Italia una tale operazione potrebbe abbattere di 400-500 miliardi il debito statale e di circa 15 miliardi il costo annuo del debito stesso a favore della crescita. Secondo, avviare il mercato unico euroamericano, completando il negoziato TTIP ora all’8° round, per poi far convergere nei prossimi decenni euro e dollaro consolidandoli ambedue in un nuovo sistema integrato. Dettaglierò in seguito queste soluzioni che oggi non sono considerate, la prima per poca competenza tecnica, la seconda per insufficiente realismo (geo)politico.
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