Per chiarire meglio ai lettori il progetto di riforma fiscale provo ad immaginarmi neo-nominato ministro dell’Economia impegnato a sintetizzare una proposta d’azione per il Consiglio dei ministri. Immaginiamo che Tremonti si sia dimesso per assumere un importante incarico internazionale, lasciando una bozza di riforma fiscale. Ecco la memoria che preparerei.
La politica economica del governo ha tre missioni: (a) portare al pareggio, cioè a “deficit zero”, il bilancio dello Stato per non aumentare il debito, rendendo così credibile la sua sostenibilità; (b) tagliare sostanzialmente le tasse per lasciare più capitale a famiglie ed imprese affinché possano aumentare consumi ed investimenti, cioè la crescita; (c) riformare il modello di welfare in modo governato preservando le garanzie essenziali e tagliando solo sprechi e spesa inutile. La bozza Tremonti puntava a realizzare la prima missione senza attuare le altre due con il rischio di creare una “deflazione da rigore” non bilanciata da più crescita, con la complicazione di una riduzione non governata delle garanzie. Tremonti non ha previsto una detassazione sostanziale, ma solo uno spostamento delle tasse, perché non ha voluto considerare un’operazione “patrimonio contro debito” e la cancellazione dei trasferimenti attuali dallo Stato e Regioni alle imprese. Senza queste due operazioni, in effetti, i soldi non ci sarebbero. Ma facendole, ci sarebbero, come segue.
Operazione patrimonio contro debito. Si tratta di impacchettare almeno 250 miliardi in un veicolo finanzia rizzabile: 80 miliardi conferendo partecipazioni statali (azioni) e 170 di immobili e concessioni. Poi si vende tale veicolo nel mercato globale al prezzo di 200 miliardi. I 50 miliardi di differenza (20% di profitto potenziale iniziale in base ad una stima del Nav, valore netto periziato dei beni) sono l’incentivo per comprare subito una proprietà che poi sarà venduta nel lungo termine, ad opportunità, con possibilità di profitto finale molto elevato. Il compratore farebbe un ottimo affare. Ma anche lo Stato venditore perché userebbe quei 200 miliardi di cassa per ridurre del 10% il volume assoluto del debito, risparmiando circa 10 miliardi annui di spesa per interessi nonché almeno 4 o 5 per il minor costo di rifinanziamento del debito restante per la maggiore fiducia conquistata sul mercato grazie all’operazione di riduzione assoluta, pur parziale.
Riconfigurazione dei trasferimenti. Invece di dare soldi pubblici ed incentivi alle imprese in dati settori si dovrebbe usare tale cifra per ridurre il carico fiscale su tutte, valutando un regime misto incentivi/detassazione solo per il settore strategico delle energie alternative. Da qui si potrebbero ricavare almeno 70 miliardi dopo un periodo di attuazione graduale.
Così la spesa pubblica potrebbe scendere di circa 90 miliardi annui (dal 2014). Di questi, circa 40 vanno utilizzati per portare il deficit vicino allo zero. Altri 50 per ridurre le tasse. Tale robusta detassazione innescherebbe un ciclo virtuoso di più crescita (e gettito annuo) che poi metterebbe in grado la politica di riorganizzare il welfare mantenendo le garanzie dove servono e riducendo gli sprechi, senza traumi, entro il 2020. Concluderei chiedendo la delega per dettagliare il progetto entro la fine del 2011 in modo tale da poterlo presentare in sede europea nella primavera del 2012 e lì ottenere un “bollino blu” che ne faciliti la vera realizzazione. E consenta all’Italia di negoziare un’agenda di riduzione prospettica del debito più sostenibile potendo dimostrare più crescita compatibile con il rigore.