Nei giorni scorsi ha fatto notizia la crescita stellare dell’economia tedesca contrapposta a quella stagnante (+ 0,1% del Pil) dell’Italia. Cerchiamo di capire, con freddezza analitica, i motivi della superprestazione della Germania per capire cosa potremmo imitare.
Dalla metà degli anni ’90 fino al 2003/04 la Germania era in crisi di stagnazione, con una disoccupazione più elevata dell’Italia, attorno al 10%, per il peso di un modello economico depressivo simile all’Italia stessa. Cosa ha determinato la capacità di crescita osservabile negli anni successivi ed oggi in particolare? Semplificando, due fattori. Il primo, interno, lo ha creato il socialdemocratico Schroeder. Si è chiesto, con onestà non ideologica, cosa avrebbe potuto dare più crescita al sistema e ha trovato la seguente risposta: lasciare libere le imprese di adattarsi continuamente alle condizioni della concorrenza globale. Spinse per un legislazione che permetteva i licenziamenti e meno vincoli sindacali alle operazioni, ma mantenendo le garanzie economiche per i lavoratori e concordando con i sindacati stessi un tipo di relazioni industriali meglio calibrato per la competitività e l’efficienza aziendale. Soprattutto, ridusse le tasse alle imprese. E la combinazione di queste azioni le fece volare. In sintesi, la sinistra riformista tedesca prese atto della centralità dell’impresa e modificò il modello economico per riempirla di forza propulsiva. Le cronache di questi giorni hanno enfatizzato che Schroeder pagò un duro prezzo politico per il suo coraggio riformatore. Tuttavia è più rilevante analizzare come mai fu possibile in Germania un accordo sindacati-politica-industria che in Italia, non troppo diversa dalla Germania sul piano politico, manco ci sogniamo. Fu il comune sentire patriottico ad aiutare il compromesso competitivo. La potenza della Germania di oggi risiede nella forza della sua industria. Se si vuole una Germania potente – e la potenza comporta ricchezza – bisogna rendere potentissimo il suo sistema industriale. Un concetto analogo rese possibili le grandi coalizioni destra-sinistra per dare governabilità al sistema nei momenti difficili. In Italia dovremmo imitare quella legislazione propulsiva, ma ci manca la capacità di trovare compromessi in nome di un interesse nazionale superiore a quello della categoria rappresentata. Se, per miracolo, riuscissimo a capirlo, cosa dovremmo fare? Detassare al massimo le imprese, rendere flessibili i contratti di lavoro, abolire la cassa integrazione e portare gli stipendi dei lavoratori licenziati a carico della fiscalità generale, riducendo gli sprechi per creare gli spazi di bilancio. Potremmo farlo benissimo anche noi, in teoria, se sviluppassimo un progetto nazionale comune. L’altro fattore che favorisce la crescita tedesca è esterno. La riforma interna della competitività industriale trovò un mercato globale, soprattutto Cina ed India, con domanda crescente dei sistemi prodotti dal sistema manifatturiero tedesco. Da sempre la Germania cercava di massimizzare l’export per bilanciare la stagnazione del mercato interno, attuando una politica estera mercantilista. La forza geopolitica, moltiplicata dal ruolo di potenza singola europea, combinata con la nuova efficienza industriale e la domanda globale crescente ha mandato la Germania in boom. L’Italia non potrà imitarla a questo livello, ma va ricordato che è la seconda potenza manifatturiera ed esportativa in Europa, quinta nel mondo. Se facessimo una riforma competitiva del sistema industriale interno potremmo perfino superare la Germania nei volumi di crescita.