La Germania vuole che la Grecia ed altri in difficoltà ristrutturino il debito perché insostenibile. La Banca centrale europea non lo vuole perché teme un contagio di sfiducia su tutti gli altri debiti nazionali e la conseguenza di una crisi bancaria globale e catastrofica. Il confronto tra queste due posizioni sta diventando scontro, in particolare tra il ministro delle finanze, Schauble, ed il presidente della Bce, Trichet. Ciò impone all’opinione pubblica di prendere posizione in materia, particolarmente in Italia perché l’esito di tale scontro avrà un impatto sulla gestione del nostro enorme debito pubblico.
Il termine “ristrutturazione”, in questo caso, significa “insolvenza parziale: convertire i titoli di debito greci in altri garantiti da un fondo dell’Eurozona, ma con una perdita di valore. La soluzione riguarda un problema reale. La Grecia non potrà ripagare l’enorme debito ormai cumulato né sostenere i costi del suo rifinanziamento e degli interessi. Per evitarne il fallimento conclamato e l’uscita dall’euro, nonché una crisi bancaria diffusa, si pensa che il mercato possa accettare il seguente scambio: titoli buoni ad un valore minore che sostituiscono quelli cattivi di valore maggiore. In teoria la mossa potrebbe funzionare se la perdita di valore fosse contenuta entro i limiti, per dire, del 20%. Gli istituti finanziari hanno la capacità, teorica, di recuperare questa perdita in due o tre anni usando i titoli di qualità migliore come base per prodotti finanziari ad alto rendimento. Ma quale percentuale di abbattimento dei valori dei titoli, e quindi del debito greco, sarebbe efficace? Nessuno può calcolarlo con precisione, ma è probabile che per rendere sostenibile il debito della Grecia in relazione alle sue capacità economiche sia necessario non meno del 30%, forse perfino vicino al 50%. A tali livelli il sistema bancario dovrebbe registrare una perdita netta e secca e ciò accenderebbe l’effetto contagio. Pertanto, sul piano tecnico, la Bce ha pienamente ragione nell’opporsi all’idea tedesca. Ma la Germania immette nell’analisi costi/benefici un criterio politico: gli elettori tedeschi non saranno disponibili a finanziare un debito greco insostenibile, cioè a rendere disponibili denari nazionali per il Fondo europeo (di 500 miliardi, previsto a regime nel 2013) con la missione di comprare titoli di Stati nei guai che il mercato non vuole comprare o acquista solo a prezzi insostenibili per la nazione emittente. Potrebbero accettare un minore esborso combinato con uno da parte del mercato che accetta la perdita parziale per ottenere un volume di debito greco poi sostenibile da quella nazione. Ma chi può assicurarlo? Appare probabile, invece, che una volta aperta una fessura di ristrutturazione per il debito greco si scateni la sfiducia sui debito di Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia, Francia e, perfino, Germania stessa. Per poi estendersi fino a quello giapponese (200% del Pil) e statunitense, in aumento pauroso. L’unica garanzia contro questa crisi catastrofica è che il mercato sia certo che alla fine ci sia un prestatore di ultima istanza, banche centrali e governi, che paghi le obbligazioni al valore facciale. Pertanto, costi quel che costi, gli eurodebiti non possono essere ristrutturati. Ogni nazione, piuttosto, dovrebbe ridurli vendendo patrimonio e facendo più crescita, nel frattempo sostenuta da fondi straordinari europeo. Per questo, e per l’interesse italiano, ritengo giusta la posizione della Bce.