Famiglie e operatori di mercato osservano con molta preoccupazione gli andamenti dell’inflazione e la tendenza al rialzo del costo del denaro. Hanno ragione perché il problema non ha soluzioni normali.
L’inflazione in atto da noi non è dovuta ad un boom economico dove i prezzi aumentano perché l’ottimismo diffuso porta la domanda dei beni a superare l’offerta e quindi all’incremento dei prezzi per normale dinamica di mercato – infatti l’Eurozona è ancora in ripresa lenta – ma ad una levitazione anomala (per picco di domanda in Asia) dei prezzi del petrolio e degli alimentari. Questo tipo di inflazione non è contenibile in modi calibrabili nell’Eurozona, ed in America, dagli strumenti ordinari di politica monetaria. Se va fuori controllo, la Bce ha il solo strumento di alzare il costo del denaro a livelli tali da mandare in recessione l’economia per ridurre il livello assoluto di domanda di carburanti e, in parte, del cibo. Con una complicazione. Petrolio ed alimentari potranno continuare ad aumentare di prezzo anche se l’economia è in recessione in caso di blocchi alla loro produzione o comunque continuazione della forte domanda in Asia. Pertanto abbiamo di fronte a noi due rischi di caso peggiore: ricaduta in recessione; stagnazione combinata con inflazione energetica, cioè “stagflazione”. La Bce comunica che riuscirà ad evitarli farlo con rialzi non recessivi del costo del denaro. Ma è difficile crederle, pur comprendendo che ha l’obbligo di produrre fiducia, perché tra il 2005 ed il 2008 il rialzo dei tassi non fermò quello dei prezzi energetici ed alimentari ed arrivò a livelli tali da indurre una recessione, in America ed Europa, oltre ad innescare la crisi di insolvenza dei mutui (inizio 2007) nella prima, poi diventata crisi finanziaria a sua volta esplosa (agosto 2008) in megarecessione. Il punto: la politica monetaria non riesce a tenere sotto controllo l’inflazione energetica e quella alimentare. Chi o cosa lo potrebbe? Una Parte del rialzo dei prezzi petroliferi è dovuto a speculazione ed al cambio del dollaro, moneta in cui viene fissato il prezzo del petrolio. Combattere i fenomeni speculativi aiuterebbe a calmierare i prezzi? Solo in parte. Il problema è che veramente la domanda tende ad eccedere l’offerta a causa dello sviluppo in Asia. Sarebbe più efficace il valore di cambio del dollaro. Quando scende, infatti, i produttori tendono ad aumentare i prezzi con rialzi più che proporzionali. Si potrebbe, inoltre, aumentare l’offerta di petrolio, ma su questo c’è un limite e poco accordo tra i produttori. La Bce, anticipando l’aumento dei tassi in relazione alla Riserva federale, tende a far alzare molto l’euro sul dollaro amplificando così, con effetto controproducente, l’aumento dei prezzi del petrolio. L’unica soluzione, quindi è quella di combinare: (a) un accordo sui cambi; (b) una pressione geopolitica sui produttori; (c) e, pur di peso minore, freni tecnici alla speculazione. Al riguardo dell’inflazione alimentare, il cibo nel mondo è scarso non solo per le anomalie nella produzione avvenute nel 2010, ma perché aumenta la domanda in Asia. L’unica soluzione è quella di incrementare l’offerta, cosa che in Europa significa togliere i limiti alle produzioni per farla diventare granaio globale. In conclusione, il lettore deve sapere che l’inflazione energetica ed alimentare si può contrastare solo con azioni (geo)politiche, inutili o suicide le azioni di politica monetaria, e chiedere che i governi, e non le Banche centrali, diano soluzioni. Prima di tutte quella di ridurre le tasse sui carburanti per tenerne costante il prezzo ed evitare il contagio inflazionistico.