Dove il sereno, dove si addensano le nuvole?
Nel panorama globale, che è fondamentale per il traino esterno della crescita del Pil italiano via esportazioni, c’è un mezzo sole tra nubi temporalesche. Non c’è accordo tra i governi del G20 su come ribilanciare gli squilibri del mercato mondiale, ma nessuno vuole far esplodere le divergenze perché ciascuno perderebbe troppo. Infatti, dopo il nulla di fatto nel vertice in Corea del Sud, il negoziato è continuo con piccole concessioni reciproche, per esempio la rinuncia a protezionismi eccessivi. Pertanto la crescita della domanda globale continuerà, pur di meno nel 2011 e con gravi rischi prospettici. Infatti l’Ocse stima che la crescita italiana il prossimo anno sarà attorno all’1,3%, in questo finirà all’1%, dato migliore delle previsioni precedenti. La ripresa italiana è lenta in quanto solo trainata dall’export e nulla dal mercato interno – i consumi sono in recessione alla luce degli ultimi dati Istat e gli investimenti pochi – ma c’è. Da un lato, con questo ritmo, l’economia italiana ci metterà altri quattro anni a riprendere i volumi che aveva nel 2007. Dall’altro, il sistema tiene.
La legge di stabilità per il 2011, la vecchia “Finanziaria”, ora all’esame del Parlamento è stata disegnata con la priorità di contenere l’indebitamento, mantenere le tutele per i lavoratori delle aziende più colpite dalla recessione 2008-09 e non tagliare troppo la spesa pubblica per non aggiungere questo tipo di impatto deflazionistico a quello della crisi irrisolta in molti settori. I tagli sono “lineari”, cioè un tot per tutti senza distinzione. Ciò è criticabile sul piano tecnico, ma bisogna tener conto che il governo è immobilizzato dai dissensi e qualsiasi scelta selettiva sarebbe contrastata. In sintesi, il progetto di bilancio 2011 è finalizzato alla “tenuta” del sistema, con limature per contenere il deficit, e va valutata in base a tale criterio. Regioni e Comuni, nonostante i circa 400 milioni in più trovati in extremis per loro, non avranno denari sufficienti per mantenere i livelli di spesa corrente. Pertanto, chi più chi meno, dovranno tagliarla o aumentare le tasse. Da un lato, i maggiori poteri locali creati dal federalismo fiscale in fase di approvazione metteranno gli Enti locali in grado di poter fare questa scelta. Dall’altro questa potrà essere solo tra, per dire, il tagliare un assessorato o aumentare le gabelle locali. In teoria il nuovo strumento dovrebbe proprio permettere il taglio della spesa inutile locale. In pratica ciò crea enormi problemi di consenso ai governanti locali: possono scegliere solo da chi prendere sberle, o da chi è colpito dai tagli o da quelli che si vedono aumentate le tasse. Per questo suggerisco di valutare una procedura di applicazione del federalismo fiscale che controlli meglio questo problema nella transizione dal sistema attuale a quello nuovo. Poi nel progetto di bilancio si trova una riduzione della spesa per investimenti infrastrutturali di modernizzazione, quelli per cui ha senso pagare le tasse in quanto troppo complessi per essere gestiti dal mercato privato. Il governo si è sforzato di tenerne in vita alcuni, ma è evidente che sono insufficienti. In sintesi, la “tenuta” c’è nel breve termine, ma la prospettiva è di degrado per mancanza di selettività su dove investire di più e dove tagliare nel nuovo ambiente dove la priorità del debito porta il bilancio statale verso il “deficit zero” per non aumentare il debito stesso. Sta al lettore tirare un respiro di sollievo per il pallido raggio di sole di oggi o preoccuparsi per il domani viste per le nubi che si stanno addensando.