La ripresa in Italia è lenta per diversi motivi: l’intensità della crisi, il semicongelamento del mercato finanziario ed il fatto che il modello economico italiano, anche per il peso del debito pubblico, non favorisce la crescita e quindi nemmeno le riprese rapide. Nei commenti economici c’è la tendenza a premere sul governo affinché rimuova i blocchi che comprimono la crescita interna. Ed è un punto irrinunciabile per migliorare l’economia. Ma c’è poca attenzione su un fattore che è altrettanto decisivo, se non di più, che riguarda il sistema finanziario: il credito appare insufficiente per sostenere una ripresa forte. Devo usare la parola “appare” perché nei dati aggregati la riduzione del credito non risulta vistosa. E comunque sembra intrecciata ad una minore domanda di capitale da parte degli attori economici. Ma i dati “dalla strada” fanno ipotizzare che il problema sia più grosso. E se lo è veramente, allora c’è un freno finanziario che è priorità assoluta capire e rimuovere.
Da quasi due anni ci sentiamo dire che il sistema bancario italiano è solido e che ha resistito meglio di altri alla crisi finanziaria (perché era meno esposto alle operazioni a debito). Tutti noi siamo felici di sapere che le nostre banche non salteranno per insolvenza. Ma nessuno ci sta dicendo quale sia il vero potenziale di credito delle banche stesse. I dati “dalla strada”, appunto, dicono che è poco ed insufficiente in relazione alla domanda. Molti che stanno riprendendo fiducia e che vogliono sfruttare il momento di prezzi relativamente bassi del mercato immobiliare non trovano accesso ai mutui. E ciò deprime la ripresa in un settore vitale per il ciclo economico. Molte aziende, sane o risanate, sono pronte ad investire per cogliere il rimbalzo della domanda globale, ma trovano capitali insufficienti e ciò deprime la ripresa sul lato cruciale – per l’occupazione - degli investimenti. In breve, sono tanti i dati di realtà che indicano una restrizione del credito anche se ciò non appare con chiarezza nelle statistiche. Perché? Diverse probabili cause. Con i tassi molto bassi per una banca è più remunerativo usare la liquidità per operazioni di “commercio finanziario” che non di credito normale come i mutui. La difficoltà di vendere i mutui via loro cartolarizzazione, cioè rinunciare a parte del profitto futuro per avere nuova liquidità subito, riduce la quantità di mutui stessi erogabili. Le banche devono usare molta liquidità per tamponare i buchi della crisi e questa non viene data dagli azionisti, ma drenata dalla raccolta così togliendo risorse alle operazioni di credito. In sintesi, le banche non hanno soldi sufficienti in relazione al fabbisogno di credito. Ovviamente questa non è un’accusa alle banche stesse: sono entità commerciali private incondizionabili fino a che rispettano la legge bancaria (in Italia molto buona). Ma c’è un problema di governo finanziario generale: se manca una parte del capitale necessario alla crescita del mercato bisogna trovare un modo per reperirlo o si soffoca la ripresa. Come? Una possibile ricetta: (a) rilassare i requisiti di riserva di capitale delle banche fino a che la ripresa non sarà piena per trasferire più denari al credito; (b) nuova legge che favorisca i fondi di investimento non-bancari e la loro entrate nel capitale delle imprese in modo di rifinanziarle non a debito; (c) potenziare le garanzie, anche con denari pubblici, al piccolo credito per ridare capitale ai commercianti, artigiani e microimprese in generale; (d) più concorrenza e meno “cartello”. In conclusione se c’è un problema nel credito lo si dica apertamente invece di nasconderlo. Le soluzioni ci sono.