Da mesi sostengo su queste pagine che l’Eurozona e l’Italia potranno uscire dai guai solo attraverso una svalutazione dell’euro che pompi l’export e renda più attraente l’Europa sia per investimenti sia per il turismo extraeuropeo. I dati più recenti mi confortano perché la ripresa in alcune aree europee, Italia in particolare, sta accelerando proprio grazie alla svalutazione. Ora il punto è: quanta e per quanto tempo sarà utile?
La domanda ha senso perché la caduta dell’euro, finora, non è stata intenzionale, ma indotta da una crisi di fiducia. Questa si è manifestata come minore disponibilità del mercato a rifinanziare i debiti pubblici ed ha costretto le euronazioni a varare piani d’emergenza per dimostrare al mercato che i debiti stessi non cresceranno via taglio della spesa pubblica. Con una battuta amara si può dire che questa è solo mezza soluzione che raddoppia, in realtà, il problema. Il mercato non ha fiducia nell’euro in quanto moneta gestita senza politica economica comune, per giunta “alla tedesca”, cosa che la rende insostenibile per economie con base industriale meno forte, e minore produttività, della Germania. Le economie più deboli dovrebbero svalutare per tornare in equilibrio, ma ciò è impedito. E se non possono svalutare devono ridurre i valori di qualcosa altro: salari, prezzi, spesa pubblica e tutele. In particolare, non potendo rendere flessibile il cambio devono rendere flessibile il mercato del lavoro. Questo è il problema della moneta unica in generale. La priorità particolare di azzerare i deficit pubblici lo amplifica fino al punto di chiedersi come le nazioni reggeranno la deflazione, cioè l’assenza di crescita. E se lo chiede il mercato che, ovviamente, vuole ordine contabile, ma soprattutto, crescita come garanzia che i debiti verranno ripagati. Per ottenerla, la soluzione di liberalizzare i mercati interni richiede tempi lunghi e resta solo quella di pompare la crescita via svalutazione competitiva. Ne serve molta per bilanciare la doppia deflazione sistemica e contingente. Ma la Bce non vorrà una svalutazione forte e duratura per timore che importi inflazione. Non lo vorrà l’Amministrazione Obama che punta ad un dollaro svalutato a lungo per riparare il motore americano della crescita. Non lo vorrà la Cina che cresce principalmente grazie ad una supersvalutazione competitiva. Cina ed America vogliono l’euro forte e che l’Eurozona paghi i costi del riaggiustamento dell’economia globale. La Bce e la Germania che la influenza, in modo suicida, accettano tale costo in cambio della bassa inflazione. Ma così l’Europa andrà in deflazione catastrofica. Ciò è talmente chiaro che ritengo scontata una posizione svalutativa della Bce e degli eurogoverni. Ma non sono certo che sia chiaro il quanto sarà necessario. Si nota un tentativo di tenere l’euro attorno all’1,20 sul dollaro per qualche mese, per poi farlo risalire. Se così, tale punto di equilibrio potrà soddisfare America e Cina nonché l’ossessione anti-inflazione della Bce e della Germania, ma non le condizioni per la crescita di tutte le altre euronazioni, tra cui l’Italia il cui export è più sensibile al cambio di quello tedesco. Secondo me serve una svalutazione più forte, attorno a 0,80 euri per un dollaro, e che duri almeno un biennio per dare una botta di crescita omogenea a tutta l’Eurozona. Sarà dura farlo accettare al mondo ed alla Germania, sarà pericoloso per l’inflazione, ma o puntiamo a questa quota o rischiamo la fine per insostenibilità dell’euro oppure reazioni violente all’impoverimento di massa necessario per reggerlo.