Analisi costi/benefici multivariata del piano statunitense per cessazione del conflitto in Ucraina. Qui “multivariata” significa che viene tentata una valutazione dal punto di vista/interesse degli attori direttamente coinvolti nel caso, cioè Stati Uniti, Russia, Ucraina, Unione europea e Regno Unito senza dimenticare sullo sfondo la Cina.
Tecnicamente appare prematuro tentare questo tipo di analisi, ma c’è un dato (vettore probabilistico) che la orienta: sabato scorso gli europei rilevanti dell’Unione ed il Regno Unito hanno dichiarato che il piano americano è una “base” per arrivare ad una pace equilibrata. L’Ucraina, nei giorni scorsi, aveva già dichiarato la volontà di discutere con l’America, ma senza respingere a priori un piano che appariva sbilanciato per eccesso di penalizzazione dell’Ucraina stessa. Semplificando, il dilemma pronunciato da Volodymyr Zelensky, cioè se perdere l’America – che ha imposto un termine di pochi giorni a Kiev per accettare la proposta - come alleato chiave oppure l’orgoglio nazionale, ha una risposta chiara: né gli europei né l’Ucraina possono rischiare una divergenza eccessiva con Washington. Pertanto lo scenario dei prossimi giorni vedrà un picco negoziale tra alleati, a ridosso della trattativa bilaterale tra Stati Uniti ed Ucraina per fare alcune modifiche al piano di Donald Trump, mentre la Russia farà il massimo sforzo militare per evitare che il piano statunitense venga modificato sostanzialmente.
Stati Uniti. Evidentemente Washington è riuscita ad ottenere qualcosa da Mosca nei negoziati bilaterali riservati mai interrotti che ha indotto Trump ad una pressione fortissima su Zelensky per fagli accettare il suo piano con minaccia di sospensione degli aiuti. L’interesse di Trump è certamente un recupero del consenso interno, cedente, combinato con quello degli strateghi tecnici statunitensi che ritengono chiave per la vittoria sulla Cina un distacco tra Mosca e Pechino, considerando anche la ricchezza mineraria russa che potrebbe annullare il monopolio cinese su alcuni minerali critici. Va aggiunto l’interesse di Trump di caratterizzare la sua presidenza come globalmente pacificatrice combinata con il mantenimento del ruolo di maggiore potenza militare globale, ma ormai troppo piccola per gestire fronti molteplici di conflitto. In sintesi, il piano statunitense di pace in Ucraina corrisponde al massimo vantaggio valutato dal governo corrente. Ma va notato il problema: l’atteggiamento detto induce gli avversari dell’America a percepirla come troppo debole. Per tale motivo Washington non potrà rinunciare a dare garanzie all’Ucraina che ora nel piano sono vaghe, probabile oggetto di negoziato bilaterale.
Russia. Appare potenza vincitrice, ma in realtà non può sostenere a lungo lo sforzo militare diretto e un’economia di guerra. Pertanto è disposta ad un compromesso che rispetti però la possibilità di dichiarare la vittoria dell’operazione speciale in Ucraina e la demilitarizzazione di Kiev. In sintesi, avrebbe il massimo vantaggio dall’applicazione del piano americano che anche difenderebbe Mosca sia dalle pressioni europee, sia dalle sanzioni nonché dalla perdita della Bielorussia con un potenziale di insorgenza tale che basterebbe una stimolazione esterna per staccarla da Mosca. Il principale fattore negoziale di Putin è la disponibilità, pur enunciata indirettamente, ad utilizzare armi nucleari. Ma è anche motivo che incentiva la sua eliminazione. Pertanto ha interesse ad un compromesso che lo tolga da guai diretti.
Europei. Percepiscono che l’America non può sperare di restare potenza globale senza di loro. Sanno che dovranno pagare il più della ricostruzione dell’Ucraina. Francia e Germania percepiscono, tuttavia, un vantaggio nell’aggressione russa dell’Ucraina perché permette loro di investire cifre enormi in un riarmo che traina la modernizzazione competitiva sul piano globale dell’industria civile. Ma sul piano della sicurezza e dell’export hanno bisogno di una convergenza euroamericana molto forte, certamente nei prossimi 5/10 anni. Poi lo scenario è aperto a nuove configurazioni geopolitiche e geoeconomiche. Comunque, nel periodo critico corrente, gli europei non mostrano l’intenzione di sabotare un compromesso sull’Ucraina.
Ucraina. Analizzando i punti del piano americano che Mosca è disposta a valutare si trova uno svantaggio per l’Ucraina, ma in relazione all’obiettivo di riconquistare i territori perduti e non alla sopravvivenza dell’Ucraina stessa come nazione indipendente. Divieto di aderire alla Nato? Può essere bilanciato da un accordo militare con l’Ue che poi include di fatto la Nato stessa. Limite alle forze armate di non più di 600mila soldati? La robotizzazione della difesa li rende più che sufficienti, considerando la natura paramilitare, volendo, della Protezione civile. La perdita di 1/5 del territorio? Kiev non ha la forza per riconquistarlo. Quindi il compromesso è un vantaggio, ovviamente valutabile quando l’America chiarirà le garanzie per l’Ucraina. L’orgoglio nazionale? Se finisce con un compromesso, all’Ucraina va riconosciuto: Davide non ha battuto Golia, ma nemmeno Golia ha sconfitto Davide. Ma vale di più per la popolazione la fine di un conflitto erosivo. Alcuni punti del piano vanno limati, lasciando all’America il compito di negoziarli con una Russia che non può pretendere troppo.
Cina. Non vuole perdere il controllo sulla Russia e ne sta preparando uno più pieno quando Putin non sarà più al potere. Né vuole perdere lo status di potenza che può condizionare Mosca per bilanciare le pressioni americane nel Pacifico. Ma al momento non vuole rischiare un confronto aperto con l’America e ciò crea una finestra di possibilità per una pace in Ucraina, forse non giusta, ma razionale.


