Nel promettente scenario “Industria 4.0” bisogna valutare quali fonti di capitale, e come, potranno alimentare la trasformazione competitiva delle aziende italiane via investimenti in nuove tecnologie. Da un lato, il governo ha reso disponibili rilevanti incentivi fiscali. Dall’altro, per centinaia di aziende di medie dimensioni e non quotate, potrebbero esserci limiti per il capitale necessario alla trasformazione. Il sistema bancario potrebbe avere a sua volta limiti e ciò chiama in campo i fondi mobiliari chiusi di investimento. Se così, la comunità di attori interessati alla nuova rivoluzione industriale italiana, assumendo che il know how 4.0 già esista o sia importabile, dovrebbe mettere allo studio due temi finanziari: a) detassazione sostanziale dei rendimenti da investimenti industriali attuati da fondi chiusi, materia che implica un completamento dello stimolo governativo; b) disegno di fondi chiusi di nuova generazione, particolarmente adatti all’investimento 4.0, materia di competenza delle Sgr di settore e dei regolatori, Banca d’Italia e Consob, che devono autorizzarli. L’ipotesi preliminare è che i fondi chiusi adatti al 4.0 non possano essere solo di Private Equity o di Private Debt, ma debbano essere misti, cioè ibridi. Forse dovrebbero essere “più ibridi” di quanto già noto e praticato, cioè assumere una configurazione VMF (Very Mixed Fund). Per esempio, consideriamo un investimento in forma di prestito diretto convertibile, parzialmente, in equity. In molte situazioni italiane l’azienda interessata è già carica di debito bancario e per un fondo di Private Debt sarebbe troppo rischioso esporsi in una posizione subordinata. Una soluzione è impacchettare debito bancario, nuovo credito e, in alcuni casi, equity in un’obbligazione sintetica emessa dal fondo (e non dall’azienda), per esempio, una di tipo variabile e/o con scadenza bullet, quotabile su una piattaforma titoli, cioè resa liquida. Con l’aggiunta dell’autorizzazione al fondo di cartolarizzare, la banca avrebbe un beneficio di bilancio senza perdere remunerazione, l’azienda avrebbe i capitali, il fondo stesso potrebbe semplificare il proprio intervento e, soprattutto, rendere disponibile l’investimento specifico, trasformato in parte o tutto da illiquido in liquido, ai fondi aperti. Poiché i fondi aperti in Italia gestiscono centinaia di miliardi e quasi niente di questi si trasforma in investimenti sull’industria italiana, il pensare a fondi chiusi con formula che possa creare un ponte tra i due, pur qui solo idea in bozza, appare un punto chiave di tutto il movimento 4.0.